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23 marzo 2015 CULTURA

L'ultimo lupo di Annaud tra politica e ambientalismo

Come annunciato da mongolia.it, il film L'ultimo lupo dal 25 marzo è nelle sale cinematografiche italiane. Ecco la recensione di comingsoon.it: Se Jean-Jacques Annaud dovesse riassumere il suo percorso umano e artistico in una parola, sceglierebbe "cuore". Così almeno ha dichiarato durante un’intervista rilasciata in occasione dell’uscita in Francia de L'ultimo lupo, kolossal da 40 milioni di dollari voluto e finanziato dalla Cina, che considera Il totem del lupo di Jiang Rong un monumento cartaceo nazionale. Di cuore ce n'è tanto nel tredicesimo film del regista francese, che vede ancora il cinema come un sogno e che, nonostante le cadute, ha sempre lottato strenuamente per costruire una sua personalissima macchina delle meraviglie. I primi ad accorgersene sono stati i lupi che hanno "recitato" nel film, a cominciare dal capo branco Cloudy che ogni mattina si lasciava accarezzare come un cagnolino d'appartamento. Poi è toccato a noi, che abbiamo visto la passione vibrare intensamente fra le steppe della Mongolia inquadratura dopo inquadratura. C'è anche un po' di sana passione politica in questa storia di disastrosa violazione di un ecosistema, perché, mentre Mao inviava giovani "emissari" della Rivoluzione Culturale a educare i nomadi e i pastori delle regioni più remote del suo immenso paese - avviando un danno ambientale irreparabile - un giovane Jean-Jacques militare in Camerun rifletteva sui danni del colonialismo. Quasi trent’anni dopo, dall'orlo dell'Apocalisse, il regista sventola ancora la bandiera del rispetto della libertà dei popoli e condanna l’attitudine a distruggere sistematicamente le vite degli altri, siano essi uomini, animali o piante. Infine, c'è estrema cura nella mise en scene di questo film che parla di speranza attraverso la relazione fra l’uomo e l’animale. C'è la fotografia evocativa di Jean-Marie Dreujou insieme alla magia che solo la silenziosa rappresentazione di un paesaggio incontaminato e smisurato può creare. Va detto, però, che delle due anime del film una è migliore dell’altra. E’ quella più selvaggia, quella che fa il tifo per i lupi, per la loro giusta aggressività, la loro lealtà e organizzazione sociale; quella che mostra una natura vendicativa, insomma, e che i bambini non dovrebbero vedere. Annaud la sviluppa visivamente quasi con ferocia, filmando la carneficina e restituendoci scenari che, in netta contrapposizione con la ieraticità e pacatezza di sequenze più contemplative, appaiono brulicanti come un quadro di Hieronimus Bosch, rossi di sangue come l' "Inferno" dantesco oppure spettrali, orribilmente raggelanti e raggelati. L'effetto è portentoso e l'emozione arriva inesorabile. Più debole, e forse troppo schematica nella divisione fra buoni e cattivi, è la parte degli uomini, con la saggezza e l’armonia con il cosmo dei mongoli da una parte e l’ottusità degli ufficiali governativi dall’altra. In mezzo, lo studente universitario Chen Zhen, personaggio forse guastato dalla sua universalità e dalla sua funzione di alter ego dello spettatore, che non ne comprende in pieno il mistero, la complessità. E’ qui che L'ultimo lupo non balza in avanti impetuoso e veloce come gli splendidi animali che descrive e che Jean-Jacques Annaud rischia di registrare un calo di tensione e di epicità, perché l’enigma più affascinante da penetrare è proprio l’essere umano, meno puro e coerente dell’animale, ma dotato di autoconsapevolezza e libero arbitrio". Vai alla sezione Film