ULAANBAATAR WEATHER
26 settembre 2016

Inquinamento a Ulaanbaatar, colpa del carbone nelle gher

Sul sito di Internazionale compare la traduzione, curata da Andrea De Ritis per Rue89), dell'articolo del giornalista francese Pierre Haski, che spiega i motivi per cui Ulaanbaatar, oltre a essere la più fredda, è anche la seconda al mondo per inquinamento, alle spalle di una città iraniana. Curiosamente sul numero cartaceo di Internazionale viene riportato un articolo del giapponese The Diplomat che "promuove" (si fa per dire) la capitale mongola al primo posto di questa classifica poco onorevole. Ecco un estratto dal reportage di Haski. "Secondo le Nazioni Unite Ulan Bator, la capitale mongola che conta ormai più di un milione di abitanti (più di un terzo della popolazione del paese) è la seconda città più inquinata del mondo. La ragione principale è il carbone, che permette agli abitanti di “Ger city”, la città delle iurte che sorge intorno alla città moderna e sempre più splendente, di riscaldarsi durante il lungo e rigido inverno (le temperature possono scendere fino a 40 gradi sotto zero). L’impatto sull’ambiente e sulla salute degli abitanti è disastroso. Ulan Bator è una capitale paradossale. Per decenni è stata una città dalla tipica architettura sovietica, riscaldata da enormi condutture di acqua bollente che portavano il calore negli appartamenti delle case popolari. Oggi la città è divisa tra una rapida modernizzazione e un’altrettanto rapida espansione delle bidonville. La scomparsa dell’Unione Sovietica nel 1991 ha avuto un impatto considerevole su questo paese gigantesco ma scarsamente popolato (meno di tre milioni di abitanti) e schiacciato tra due imperi rivali, la Russia e la Cina. Così i nomadi, che erano diventati funzionari statali durante l’era sovietica, sono tornati alla vita tradizionale dopo un’interruzione durata diversi decenni. Ma come mi ha spiegato un vecchio mongolo mentre seguivo una campagna elettorale nel deserto del Gobi qualche anno fa, le nuove generazioni fanno fatica a riprendere la vita nomade, soprattutto durante gli inverni più rigidi, che qui sono chiamati dzud". Leggi l'intero articolo. (foto David Gray Reuters/Contrsato)