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23 maggio 2021 CULTURA

L'eredità (dimenticata) dell'Impero mongolo

Un immenso dominio euroasiatico basato sui commerci internazionali instaurò la prima forma di globalizzazione e fu caratterizzato da tolleranza e flessibilità politica. Ma è stata cancellata dalla storia occidentale, anche per assenza di monumenti, e considerata un fenomeno passeggero. Invece andrebbe ristabilita e messa nella giusta prospettiva.
Era basato sui commerci, sulla tolleranza tra popoli e culture (e religioni), sulla diplomazia internazionale. Il modello da prendere come esempio per i tempi moderni, sempre più interconnessi e globalizzati, è l’impero mongolo. Si tratta del Khanato dell’orda d’oro, descritta nel libro “The Horde: How the Mongols Changed the World” di Marie Favereau, professoressa di storia all’università di Parigi Nanterre. Una struttura sovrastatale che ha dominato l’Eurasia per un secolo e mezzo e, sostiene l’autrice, ha contribuito a formare gran parte del mondo che è venuto dopo, dalle rotte commerciali alla nascita degli Stati attuali. Per esempio, la Russia. Un contributo che, per secoli, è stato ignorato da gran parte del mondo occidentale. Eppure è stato un impero di enorme estensione: i confini del kahnato partivano, a ovest, dall’odierna Bulgaria, comprendeva la steppa del Mar Nero e arrivava fino al confine occidentale della Mongolia. Poco sotto c’era la dinastia Yuan, mentre nel Medioriente e nell’Asia centrale del Sud dominavano gli altri due khanati mongoli. Tutto comincia – e il libro lo sottolinea, come ricorda questo interessante articolo su Unherd – con Joci, il figlio primogenito di Gengis Khan (gli altri erano Chagatai, Ogedei e Tolui) che sposta, in una sorta di auto-esilio, la sua Orda verso il Mar Caspio. Siamo nei primi anni del XIII secolo. Le sue conquiste territoriali vengono suddivise tra i due figli, Orda, Batu e i regni che ne derivano presentano, fin dalle origini, i caratteri principali della mentalità del regno mongolo. Per esempio il rispetto reciproco del territorio (le due suddivisioni vengono mantenute e convivono in pace per un secolo), ma anche la capacità di privilegiare il pragmatismo e la flessibilità di fronte alle diverse situazioni. È quello che succede quando Berke, il terzo fratello, diventa Khan dopo la morte di Batu (che nel frattempo si era imposto su Orda per quanto riguarda la successione) e sceglie di convertirsi all’islam. Una mossa che gli permette di allearsi con i Mammelucchi egiziani contro l’Ilkhanato, governato dai suoi cugini (erano i figli di Tolui). E il motivo di questo scontro era economico: cioè il controllo delle rotte commerciali che attraversavano l’Eurasia.
Il tema è molto insistito nel libro. I khan mongoli dominavano territori immensi ma avevano a disposizione una popolazione dispersa e poco numerosa, insufficiente per mantenere, con la tassazione, le casse del regno. L’unica fonte di guadagno era lo sfruttamento dei commerci e degli scambi lungo la via della Seta. Questo spiega la costruzione di una vera e propria rete globale, che collegava le colonie genovesi del Mar Nero fino ai territori dell’odierna Cina. Ma spiega anche la collaborazione tra le Orde dei figli di Joci (non si trattava di affetto fraterno, insomma) e il boicottaggio, che avveniva anche a livello propagandistico, nei confronti dell’Ilkhanato. Ai viaggiatori veniva raccontato che la via meridionale era meno sicura e più cara. Loro, al contrario, erano aperti al business e offrivano delle esenzioni fiscali. Oltre ai commerci, che declineranno intorno al XIV secolo, quando nel 1368 la nuova dinastia dei Ming chiude le porte al resto del mondo e la peste bubbonica, che ha viaggiato proprio lungo le vie degli scambi, piega l’Europa, l’impero mongolo si distingueva per l’enorme apertura nei confronti della pluralità religiosa. Come si è detto, la conversione di Berke aveva islamizzato parte della popolazione mongola, ma la religione tradizionale, devota al dio Tengri, veniva rispettata. Al tempo stesso non c’erano preclusioni nei confronti di cristiani o buddhisti e, al contrario, erano previste esenzioni fiscali nei confronti della Chiesa ortodossa. Anche in questo caso, le ragioni sono economiche: si trattava di comunità di commercianti molto attive, che contribuivano con la loro attività al benessere del regno. Combatterli o anche soltanto escluderli sarebbe stata soltanto una scelta controproducente. Infine, è grazie ai mongoli che si sono formati alcuni Stati moderni. Il primo è la Romania, ma il più importante è senza dubbio la Russia. Secondo la tradizione, le origini sarebbero da ricercare nella cristianizzazione dei Rus di Kiev sotto Vladimir il Grande intorno al X secolo. Ma è prima, cioè con l’arrivo dei Mongoli che Mosca, prima orientata verso Occidente (Anna di Kiev divenne regina di Francia nel 1051) decide di cambiare direzione e volgersi verso i territori a Est. Non è stata una cosa pacifica, certo. Kiev fu distrutta. I vari poteri che si contendevano il suo regno vennero spazzati dai mongoli. Ma è dalle ceneri di questo disastro che sorge quella che, 300 anni dopo, diventerà la Russia di Ivan il terribile. Fu resa centrale Mosca, venne installata una nuova dinastia (quella dei Danilovich) e stabilito un nuovo ordine. Il sorgere dell’Impero russo nel XVI secolo dipenderà anche dalla conquista dei territori orientali (la Siberia, soprattutto) e dall’assimilazione della classe dirigente mongola, che nel frattempo si era cristianizzata. Soprattutto, venne assorbito un concetto di autorità centralizzata, che portò alla dichiarazione del primo zar. Quello che suggerisce il libro, insomma, è che l’eredità dei mongoli, cancellati dalla storia occidentale (anche per assenza di monumenti?) e considerati un fenomeno passeggero, andrebbe ristabilita, messa nella giusta prospettiva e ricompresa nella storia universale del continente euroasiatico. Anche perché dalla vicenda dell’Orda d’oro la contemporaneità, definita dal concetto di globalizzazione, ha ancora molto da imparare. (fonte linkiesta.it, articolo e foto di Dario Ronzoni)