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LAURA GATTI

Lettera per convincere un'amica a partire per la Mongolia.

Carissima Emanuela,

anzitutto grazie per esserti ricordata del mio desiderio di sapere del Tibet e per la tua lettera molto acuta che mi ha ben inquadrato l’argomento! Io e la mia amica abbiamo poi rinunciato al Tibet come meta perché agosto risultava un po’ a rischio pioggia. Anche la Mongolia è a rischio pioggia in agosto ma abbiamo pensato che le condizioni delle strade in Tibet potevano risultare più impegnative e così… siamo partite per quel posto assolutamente incredibile che è la Mongolia. Ti confesso che ho ricevuto molto più di quanto mi aspettassi, forse soprattutto grazie a qualche divinità favorevole (esiste un Budda del clima incantato?) che ci ha sferzato solo una volta con un temporale estivo ma ci ha concesso sempre delle giornate splendide, con luci indimenticabili.

La sintesi del mio viaggio è che abbiamo vissuto due settimane dentro un documentario naturalistico: dove uomo e ambiente perfettamente integrati testimoniano cosa possano essere ancora armonia serenità poesia. Ogni giorno percorrevamo 200 o 300 km facendo soste continue per assistere a eventi comunitari: la mungitura delle giumente, la preparazione delle lane di feltro, scene pastorali o bambini a cavallo che con orgoglio ci mostravano la loro abilità (altro che corsi di tennis!), il nadaam (lotta tra uomini, una sorta di sport nazional-popolare in verità piuttosto ridicola per noi ma anche per loro che spesso sorridevano) e il tiro con l’arco. E’ stato bello anche perché nulla era veramente programmato, ma gli eventi si susseguivano casualmente, come scoperte continue, ricche di fascino.

Sopra di noi giocavano i rapaci inseguendosi l’un l’altro e così giocavano tra loro i cani e i capretti in spazi infiniti; e dalle gher (le abitazioni circolari, tende di feltro ben strutturate ma semovibili) ci accoglievano (solo una volta apparentemente con ferocia) cagnoni simpatici, sorta di numi tutelari della famiglia, neri pelosoni scarmigliati e spesso sporchi o zoppini, a volte gialli (come nel film), talvolta li vedevi dormire pacifici tra le dunette nell’infinito verde. Distese di erba cipollina tutta bianca fiorita e una volta un mare di fiori indaco-violetti come una Provenza asiatica. Villaggi fatti di capanne di legno recintate e nel recinto anche una gher, per le famiglie più recenti. Posteggiati fuori dai negozietti nei rari villaggi: un cavallo e una moto old fashion, a volte un carretto o uno scassato camioncino pronto a contenere un numero imprecisato di locali. Gli ovoo, fatti di pietre, amuleti e sciarpine votive, intorno a cui devi girare tre volte in senso orario per ricevere la fortuna … Sciamanesimo o superstizione? Era bello sgranchire le gambe coi tre giri attorno all’ovoo lanciando sassolini e pensando a desideri da realizzare…

Per me, inoltre, la prima volta che assisto a cerimonie tibetane nei monasteri piccoli e grandi: mi chiedevo quale fascino hanno su di me le religioni islamica e buddista, in entrambe quanta sensualità e poca invece nel nostro cattolicesimo, così severo … ma sono discorsi grossi.

E che dire delle gher che punteggiano candide il verde infinito delle pianure e delle colline: quel tubo centrale da cui esce un rivoletto di fumo quando la temperatura si fa rigida… nella mente mi scorrevano le immagini dei Racconti indiani di Jaime De Angulo che tanto avidamente avevo letto nella mia adolescenza. E confesso che un po’ ho mescolato i racconti degli indiani d’America a questa Asia inaspettatamente così fiabesca … E nella gher possono anche venire a scaldarti la stufa alle tre di notte, se lo desideri. E questo in nessun racconto l’avevo mai letto! Certo se piove un po’ piove anche dentro… ma non è mica grave, basta spostare il tavolino.

Un viaggio faticoso, che richiede un po’ di geni alla Gengis Khan: dal caldo del deserto al rigido della montagna, cibo con un gusto molto differente dal nostro e spesso immangiabile per alcuni (e per me), il fuso orario, le lunghe piste sconnesse, insetti nel letto e sopra il letto, inizialmente compagni di poca simpatia. Ma guarda da me non potrai che ricevere incoraggiamenti perché è stata un’esperienza esaltante. Dunque per non annoiarti troppo, se decidi di partire per la Mongolia conta su di me per ogni tipo di informazione.

Laura

P.S. Leopardi, Rousseau e un cambio di registro. Ma forse la mia descrizione ti apparirà idealizzata. In realtà, so bene che le condizioni di vita in Mongolia, soprattutto per i nomadi, sono molto difficili. Mi risulta che non solo d’inverno i capi di bestiame siano decimati dai rigori del clima ma muoiano anche esseri umani, in dettaglio non so come e quali categorie di persone. Ma la difficoltà, l’asprezza delle condizioni di vita, la crudeltà della natura costringono ad una lotta che rinfranca, che indurisce. Forse per metà uccide e per metà nobilita, o santifica. Certo depriva di quella condizione di malata insofferenza di cui spesso siamo vittime noi occidentali europei così viziati e istericizzati.

Voglio dire che l’umanità costretta a reagire a condizioni dure, condizioni naturali comunque, per questo deve mantenersi molto salda e forte, e sarà certamente più affine ai ritmi e alle tensioni della natura. Armonia serenità poesia saranno il risultato visibile di questa lotta: l’apparenza offerta a noi visitatori; un piccolo inganno dietro il quale allenarsi a ricercare la verità.