ULAANBAATAR WEATHER

ADELE E ANDREA COBIANCHI

La Mongolia in camper 24.415 chilometri dal 30 giugno al 24 agosto 
La MONGOLIA: un viaggio sognato, programmato e preparato da molto tempo, con informazioni avute alla BIT di Milano, molte scaricate da internet e dalle numerose guide cartacee tra le quali: Mongolia, Lonely Planet; Mongolia di Jeane Blunden ed. Bradt; Mongolia l'ultimo paradiso dei nomadi guerrieri, di Federico Pistone ed. Polaris. Utilissima anche: Bienvenue en Mongolia, guide de voyage, ricca di foto, con testi in Francese e Mongolo; il frasario Italiano-Mongolo curato dall'associazione "Soyombo", indispensabile per dialogare e avere informazioni dai pastori nomadi. Discreta sia la carta turistica-stradale Mongolia ed. Gizi Map 1:2000000, che il dettagliato Atlante Road Atlas ed. Admon 1:1000000. Anche la cartografia GPS della Garmin si è rivelata preziosa.  Ci siamo rivolti all'agenzia "Io Viaggio in Camper" per ottenere i visti di Russia e Mongolia.

Il 30 Giugno, Adele ed io, partiamo a bordo dell'azzurro motorhome VAS New Line Evo su IVECO 35/18 di tre anni e con all’attivo 89000 km. La dogana di Kyakhta, tra Russia e Mongolia, dista quasi 10.000 km da Parma, e sono ben otto i fusi orari di differenza!! 10.000 Km percorsi in tredici giorni di viaggio, attraversando Slovenia, Ungheria, Ucraina, Russia e la monotona Siberia.  Russia e Siberia hanno notevoli città d’arte e meritano di essere visitate, cosa che faremo nel viaggio di ritorno, ma la meta è la Mongolia.  Queste le principali città attraversate all’andata: Lubiana, Budapest, Leopoli, Kijew, Mosca, Kazan, Ufa, Chelyabinsk, Kurgan, Omsk, Novosibirsk, Krasnoyarsk, Irkutsk, Ulan-Ude, e finalmente nel pomeriggio del 13 Luglio arriviamo nel polveroso piazzale della dogana Mongola di Kyakhta.

Personale gentilissimo (molti parlano Inglese, a differenza dei colleghi Russi) ci fanno superare alcune auto Mongole e Cinesi, dopo i timbri sui visti d'ingresso, pago 50 Rubli per la registrazione e l'importazione del mezzo, poi a turno tutti i doganieri visitano il camper a loro sconosciuto, e definito "la Gher sulle ruote". Lasciamo la dogana, e nel vicino box, dove stipuliamo l'assicurazione per il camper (1000 Rubli per trenta giorni) conosciamo Jean, un motociclista Francese che gira la Mongolia in solitaria. *(www onelife-experience.com). Dopo circa 30 km di buona A0402 arriviamo a Suhbaatar, sostiamo di fronte al monastero Buddhista di Khutagt-Ekh-Datsan retto da un Dalai-Lama donna. Molti passanti si fermano e, mai invadenti, a gesti cercano di capire da dove veniamo. Arriva una pattuglia della polizia che ci invita presso la caserma per non essere infastiditi. Offriamo la cena a Jean, che appezza molto, poi lui cerca un albergo e noi, dopo un giro per la cittadina, raggiungiamo un piazzale presso la stazione ferroviaria per passare la notte.   

Oggi è festa (ultimo giorno del Naadam), banche chiuse e impossibile cambiare Euro in Togrog (Tang); così partiamo per Darhan, dove è segnalato un bancomat. Percorriamo circa 100 km sulla A0402, la strada è asfaltata ma con frequenti buche; entrando in città, essendo giorno di mercato, notiamo molta animazione, tantissima gente gira per le vie del centro anche a cavallo, purtroppo c’è una lunghissima coda al bancomat e non preleviamo. Troviamo un distributore che fortunatamente accetta la VISA, e dopo aver fatto il pieno, in un vicino supermercato, acquistiamo pane, birra e acqua minerale. La città è di chiara impronta Sovietica, solo il grande Buddha seduto e luccicante al sole ci ricorda che siamo in Mongolia; sulla collinetta opposta visitiamo il monumento del musicista Morin Khuur. Con una nuova circonvallazione usciamo da Darhan, mancano 180 Km per Ulaanbaatar; la A0401 scorre tra dolci colline con verdi prati e tantissimi animali che ne brucano l’erba; la strada è discretamente asfaltata, ma molto stretta, e spesso i pochi alberi ai lati "accarezzano" il VAS. S’incontrano numerosi "Ovoo", cumuli di pietre con al centro un palo avvolto da tante bandiere di preghiera azzurre e rosse. Assistiamo al rito votivo che consiste nel girare attorno al cumulo di pietre per tre volte e lanciare monetine e sassi facendo crescere il cumulo stesso; chi non si ferma annuncia il suo passaggio con tre suoni di clacson.  Frequenti i corsi d'acqua e le piste che, staccandosi dalla via principale, si perdono in immensi pascoli punteggiati da candide Gher.   Presso un fresco e limpido ruscello, sostiamo per pranzare, sotto un cielo terso e azzurro, la temperatura è di 33°; un vicino Buddha solitario ci osserva. Desta la nostra curiosità, un altro imponente Buddha che, attorniato da altre divinità, fa da custode a un grande cimitero, nel quale sorgono numerose Stupe di varie dimensioni in base all'importanza del defunto. In un tempio attiguo assistiamo a una toccante cerimonia di cremazione.  Nel tardo pomeriggio arriviamo alla periferia di UB; paghiamo per l'ingresso in città 1000 Tang (circa 0,50 €), traffico caotico e grande presenza di auto Giapponesi, tutte con guida a destra che costringono gli autisti a veri slalom per superarsi. Strada enorme ma piena di buche e nessuna indicazione; solo il moderno palazzo della cultura a forma di vela e visibile da vari punti della città ci indica il centro. Dopo una prima ricognizione di Ulaanbaatar, troviamo un ufficio di cambio nel moderno supermercato Nomin, poi nel piazzale del cinema-teatro ceniamo e preparato il programma di visita per l'indomani passiamo indisturbati la notte. 

Ansiosi di scoprire la capitale partiamo presto, non troviamo nessuna difficoltà per girare UB in camper, le strade sono ancora deserte. Vediamo il palazzo della Borsa, il Parlamento, con l'enorme statua di Gengis Khan, il teatro del balletto e il palazzo della cultura: tutti edifici che si affacciano su piazza Sukhbaatar con al centro la grande statua equestre dell'eroe nazionale. All'apertura dei musei visitiamo quello di storia naturale e il museo nazionale di storia Mongola. Davanti all'ambasciata Francese ritroviamo Jean, ha un piccolo problema elettrico alla moto, che io in cinque minuti risolvo; lui in cambio, in un discreto Russo, ci procura una guida per visitare l'antica capitale Karakorum. Presso l'ufficio turistico pranziamo insieme con un’ottima pizza, poi grazie alla connessione Wi-Fi, mandiamo i saluti a parenti e amici.

Entriamo nel piazzale del complesso Buddhista di Gandan; i vari templi sono edificati tra basse casupole color pastello e numerosissime candide gher. Visitiamo subito la Pagoda bianca, l’ingresso costa 3500 Tang a persona e 5000 Tang per le foto. Il tempio è stato rialzato con una struttura di legno in stile Cinese per accogliere il grande Buddha dorato alto 26 metri; numerosi i devoti che accendendo profumati ceri e lasciano cibo o denaro nei tanti altarini votivi. Meritano una visita anche gli altri templi, in uno di questi assistiamo a un matrimonio, dove tutti indossano costumi tipici. Con il camper ci avviciniamo a uno dei pochi pozzi presenti in città, c'è una lunga fila per acquistare l'acqua, molti riempiono grandi recipienti che poi con mezzi di fortuna portano alle varie abitazioni o tende; non ce la sentiamo di sottrarre questo bene prezioso e ci accontentiamo di soli venti litri di freschissima acqua. Torniamo nel piazzale del Monastero di Gandan e con il benestare dei monaci sostiamo per la notte. 

Con i riti mattutini ci svegliamo, abbiamo passato una fresca e riposante nottata, siamo così pronti per una nuova escursione. Ci dirigiamo al Palazzo d'Inverno Bogd Khan, per raggiungerlo superiamo il torrente Selbe Gol con un moderno ponte. Entriamo con il camper nel grande parcheggio per bus, molti autisti si avvicinano per spiare l’insolito veicolo; sono molto meravigliati quando diciamo che veniamo dall'Italia, e dopo aver appagato la curiosità, alcuni si offrono come parcheggiatori, altri come guida per il palazzo e addirittura ci offrono il biglietto per l'ingresso. Il complesso è formato da un insieme di sei bellissimi templi in stile Cinese, gli interni sono adornati da dipinti su seta, altarini, raffigurazione di divinità e strumenti di preghiera; purtroppo cortili, giardini e aiuole sono malcurati, forse per mancanza di acqua. Nel palazzo fanno bella mostra animali impagliati e numerosi doni offerti a Bogd Khan da personalità straniere. 

Avanti un paio di km arriviamo al Buddha Park; parco giochi dove, oltre alle ruote di preghiera e a un enorme “gong”, s’innalza la più alta statua di tutta la Mongolia, quasi trenta metri, dedicata al Buddha Sakyamuni. Sulla vicina collina troviamo lo Zaisan, memoriale Sovietico consacrato ai soldati e agli eroi ignoti.  Torniamo verso il centro città e per fare rifornimento di acqua entriamo nel parcheggio dell'hotel Peace Bridge, il custode ci fa capire (in Mongolo) che solo se sosteremo per la notte e pagando 5000 Tang potrebbe darci l'acqua; le trattative vanno per le lunghe, ma poi fortunatamente ricompare Jean, che ha preso alloggio nello stesso albergo: conclusione dormiremo nel piazzale per 3500 Tang e notte-tempo ci faranno il pieno. Fiduciosi nel rifornimento ci concediamo una rinfrescante doccia con la poca acqua rimasta, cena e dopo aver cercato inutilmente la connessione internet andiamo a letto.   

Al risveglio notiamo che il serbatoio è ancora in "riserva"; il custode si scusa, ma per mancanza di acqua non ha potuto fare il rifornimento; ci regala quattro bottiglie di minerale, poi ce ne andiamo. La guida EDT dice che uscendo dalla città percorrendo la strada A0501 dopo circa 50 km si può visitare il grande monumento dedicato a Gengis Khan e il vicino Terelj park.  Con molta difficoltà per il traffico, il pessimo stato della strada e per mancanza d’indicazioni arriviamo nel bel villaggio di Nalayh. A un bivio prendiamo per il parco, ma ben presto ci dobbiamo arrendere, sono tante le piste che si diramano dalla strada asfaltata; strada che poi finisce in uno spiazzo straboccante di auto e con i pastori Mongoli che offrono i loro pregiati cavalli Takhi per l'escursione. Dopo una breve passeggiata, apriamo la veranda su un bellissimo prato punteggiato di "stelle alpine" e con il dolce gorgoglio di un limpido ruscello, pranziamo.  Offriamo un caffè ai pastori, e foto alla mano, chiediamo per il monumento: chi dice avanti, chi a destra, chi a sinistra, molta curiosità per vedere il camper, ma poca efficienza nel fornirci informazioni precise. Una signora in auto ci fa cenno di seguirla, ma poi prende per bruttissimo sentiero e non ce la sentiamo di andare oltre. Tornati sull'asfalto, alcuni ragazzi ci indicano una pista e ci fanno capire che in pochi km (22!!) vedremo la gigantesca coda d'acciaio del cavallo, e così è, ma giuro che cominciavo a "sudare". 

Nel grande piazzale lasciamo il VAS, e notato due ragazzi che innaffiano i fiori chiedo se fosse possibile fare il rabbocco del serbatoio dell'acqua; senza pensarci un attimo inseriscono il tubo nel bocchettone e fumando una sigaretta visionano dall'esterno il camper. Noi andiamo a visitare il gigantesco monumento di un luccicante acciaio; paghiamo 20000 Tang e con un moderno ascensore arriviamo alla criniera e alla testa del cavallo da dove si ammira uno stupendo panorama sulle colline circostanti con numerosi animali che pascolano liberi. Anche il museo dedicato a Gengis Khan merita un’accurata visita; ma la bellezza è data dalla grandezza e del luogo dov'è costruito, il tutto esaltato da uno spettacolare e infuocato tramonto. Tornati al camper, il serbatoio è pieno, i due giardinieri scomparsi, e le guardie ci invitano a uscire per la chiusura dei cancelli. In un vicino prato con alcune Gher di pastori ci fermiamo per cenare e dormire; dei 50 km menzionati dalla guida EDT, ne abbiamo percorso oltre 200!! 

Altra tranquilla nottata, all’apertura della porta del camper, troviamo due giganteschi cani e al loro abbaiare, dalle Gher, arrivano due splendide ragazze con due ciotole di “orrendo e disgustoso” latte di cavalla acido, prelibatezza locale, ma che non riusciamo a ingurgitare!! Ricambiamo con alcuni pacchetti di biscottini. Dopo altre foto al “nostro” accampamento e al monumento di Gengis Khan partiamo per UB, sappiamo che nella periferia sud della città c’è il “mercato nero”, è il più grande mercato della Mongolia dove si vende di tutto. Sono quasi le undici quando parcheggiamo il VAS nel grande piazzale tra auto, furgoni e carri trainati da cavalli; molti i curiosi che cercano di capire il modello e la provenienza, ci chiedono se siamo Americani!! L’ingresso alle contrattazioni è a pagamento, 300 Tang a testa, ci dirigiamo negli hangar destinati alle merci alimentari dove sono offerti i pochi prodotti locali, la stragrande maggioranza arriva da Russia, Cina e Giappone; molto più interessanti sono le tante bancarelle che propongono articoli di produzione Mongola: stoffe, sete, vestiti e costumi tipici; tende e attrezzature da campeggio, gli ultimi modelli di Gher (con tanto di personale che insegna a montarle), utensili agricoli, selle e finimenti per cavalli, i caratteristici stivali Mongoli, archi e frecce costruiti artigianalmente con ossa di Yak, tutti articoli molto apprezzabili, vere opere d’arte, ma dai costi elevatissimi; *(stivali=250/300 $; arco e 2 frecce=400/500$). Ci accontentiamo di fare numerose foto; alla domanda:“a-cu-da” (da dove vieni??) rispondiamo Italia, e tutti acconsentono di buon grado a farsi riprendere nelle varie attività. Pranziamo, poi ci dirigiamo in centro presso il supermercato Nomin, dove troviamo anche prodotti Italiani tra i quali notiamo: Trentin-grana, pasta Barilla, aceto balsamico di Modena, olio di oliva, lambrusco di Sorbara e diversi vini Italiani, biscotti Bucaneve e l’immancabile Nutella; al quarto piano vendono articoli di artigianato locale e souvenir. Con il camper ci portiamo vicino al Circo Nazionale della Mongolia, dove si svolge il campionato Mongolo di contorsionismo; purtroppo non ci sono più posti per assistere allo spettacolo, così ceniamo e dopo una passeggiata, a letto, domani alle sette abbiamo appuntamento con Michelle per andare a Karakorum.  

Michelle arriva puntualissima, è una dolce ragazza di ventidue anni che ci farà da guida per andare alla scoperta dell’antica capitale Mongola; subito ci dice che è la prima volta che accompagna i turisti e si scusa se non sempre sarà all’altezza del compito, parla un ottimo francese e questo ci basta. Preso posto al mio fianco sul camper, con una scorciatoia ci fa uscire velocemente da UB, prendiamo la A0301, è una moderna strada a due corsie per senso di marcia; traffico scarso di veicoli, ma molti i pastori a cavallo che conducono grandi mandrie di animali sulle verdi colline; incontriamo i primi yak dal lunghissimo e pregiato pelo e anche molti uccelli rapaci. Arrivati alla periferia di Lun, la strada finisce in un insidioso guado che dobbiamo superare per riguadagnare l’asfalto. Raggiunta Rashant, per una pista, deviamo verso il piccolo deserto di Hogno Han Uul e Michelle ci propone un’escursione a cammello sulle vicine dune. Al ritorno visitiamo la Gher dei cammellieri, e noi mostriamo loro il camper; dopo di che ci sconsigliano di proseguire con il nostro mezzo perché i lavori in corso verso Karakorum potrebbero impedirci di raggiungere il sito. Siamo dispiaciuti, ma accettiamo il consiglio; ci procurano un’auto con autista e lasciamo il VAS parcheggiato tra le Gher. Pranziamo in un vicino ristorantino con riso alla “mongola”, carne di yak cotta, birra e l’immancabile latte di cavalla.

Con un gran caldo ripartiamo, per i primi km ci sembra esagerata la proposta dei cammellieri: strada quasi perfetta, ma poi c’è una deviazione di 40 km per lavori in corso e l’autista si deve destreggiare per scegliere la pista migliore e non impantanarsi. Ancora asfalto sino a Raashaant, poi si deve prendere un’altra insidiosa pista per scollinare, siamo a oltre 2000 metri di quota e mi rendo conto che con il camper sarebbe stata dura; *(chi lo tira fuori un “bestione” di quasi 40 quintali??) a un bivio troviamo l’indicazione per Harhorin (Karakorum), prendiamo la A0601; altro bivio e dopo 15 km intravvediamo la cinta muraria dell’antica capitale. Michelle s’informa sulla possibilità di trovare una sistemazione per la notte, la trova presso Gher Hubilay Haan; lasciati i nostri bagagli, iniziamo l’escursione alla vecchia città e ai vari templi Buddhisti racchiusi dentro un quadrilatero di ben 108 stupe e possenti mura. L’ingresso costa 3500 Tang a testa, visitiamo tre templi-museo, ricchi di statue, maschere, amuleti e dipinti su seta e stoffe; nel tempio Tibetano, il più antico, sono in corso dei suggestivi riti di preghiera. Dopo numerose foto al sito e alla Tartaruga in pietra, simbolo di longevità, andiamo al monumento delle conquiste di Gengis Khan, che da una collina domina la piana del fiume Orkhon; prima di tornare alle Gher vediamo la “roccia fallica”. Al campo ceniamo (male) con altri turisti francesi e tedeschi, poi ci ritiriamo nella nostra tenda.  Notte insonne per la scomodità del letto e per il caldo.

Fatta colazione si parte per il sito archeologico di Bilge Khagan; nella zona è stata ritrovata una tomba e due stele di origine Turca; questi e altri reperti sono sistemati nel nuovissimo museo aperto da poche settimane. Michelle ci vuole portare al lago Ogiy Nuur per farci ammirare la bellezza del paesaggio, e non rimaniamo delusi. La pista per 30 km corre tra brulle colline, spesso disturbiamo qualche aquila che a fatica prende il volo, i cavalli pascolano liberi tra pecore, cammelli e yak, poi arriviamo al lago racchiuso tra monti piantumati a conifere e betulle; alcuni ragazzi fanno il bagno e altri fiocinano grossi pesci. Torniamo per pranzo al campo Gher e, ripresi i nostri bagagli, riprendiamo la via del ritorno. Giunti al nostro camper, salutato l’autista e i cammellieri, torniamo a UB accompagnati da bei ricordi e da violentissimi scrosci d’acqua; commossi salutiamo Michelle, oltre al dovuto doniamo un pacco di spaghetti e una bottiglia di vino. Per questa escursione abbiamo speso 270 $, e percorso 740 km.

Usciamo per circa 70 km da UB, presso un accampamento di pastori chiediamo la possibilità di sostare, e dopo il rito della visita del camper ci concedono di parcheggiare dove vogliamo; su bellissimo prato cerchiamo solo di non calpestare le numerose “stelle alpine”; ceniamo sotto la veranda e i numerosi bambini fanno la spola per donarci formaggio, pane e naturalmente latte di cavalla.  Nottata stupenda, prima di lasciare il campo regaliamo giochi, indumenti, quaderni e pennarelli per i bimbi, e torniamo in città. Lasciamo il VAS tra miseri palazzi in cemento armato che celano l’imperdibile monastero-museo di Choylin Lama; l’ingresso costa 5000 Tang a testa e ben 12000 per le foto, ma ne vale la pena.   Il complesso consta di cinque templi dedicati alle varie divinità, in uno di questi sono esposte alcune delle più belle maschere Tsam; maschere dalle espressioni terrificanti per scacciare gli spiriti maligni e che sono ancora indossate per rappresentazioni culturali e teatrali. Usciamo appagati della visita e con un bel resoconto fotografico. Torniamo al supermercato Nomin per fare qualche acquisto di generi alimentari e souvenir; presso l’ufficio turistico ci colleghiamo a internet per scaricare la posta e messaggiare con parenti e amici.   

Lasciamo la città, foto al camper con la scritta GOODBY ULAANBAATAR, e dopo il rifornimento di gasolio, ripercorriamo i 220 Km sino a Darhan,  qui prendiamo la A1001. Pessimi i primi 10 km su una scassata strada in cemento, poi un nuovissimo asfalto, che serpeggia tra campi ben coltivati, ci porta a Baruunburen.  Chiediamo come poter raggiungere il monastero di Amarbayasgalant; tra le varie opportunità accettiamo quella di seguire un signore che in moto, con moglie e figlia, si propone di accompagnarci. Fortunatamente parla un poco di Inglese, ma ciò non basta per convincerci a proseguire, dopo 4/5 km la pista peggiora e diventa impossibile per il camper, torniamo così nel villaggio. Presso un misero negozietto sostiamo, in attesa di prendere una decisione; arrivano molte persone e con il frasario e alcune foto cerchiamo di farci capire che siamo lì poiche’ vogliamo andare al monastero. Un signore, che ci sembra ubriaco, aiutato dal farmacista che parla un minimo d’inglese, ci dice che con il camper sarà impossibile arrivarci, ma che l’indomani potrebbe procurarci un’auto con autista; fiduciosi ringraziamo, ceniamo e passiamo la notte in perfetta solitudine. Alle sei, complice l’abbaiare di numerosi cani, ci svegliamo, fatta colazione attendiamo che arrivi qualche persona.  Le otto, le nove, non si vede anima viva; poi pigramente giunge il farmacista, ci fa segno di aspettare e se ne va; arriva il signore *(ben sobrio questa mattina!!) fa un paio di telefonate e alle 10 circa vediamo arrivare un vecchio macchinone Russo. Il conducente ci chiede 60000 Tang per il servizio, Adele ribatte 10000, l’autista sale in auto e fa cenno di andare via, lo fermo e ci accordiamo per 35000 Tang compreso della benzina. Partiamo, e ci accompagna anche il signore; utilissimo è il frasario per cercare di “dialogare”; scopriamo che sono genero e suocero, minatori disoccupati, ora contadini e pastori; ben presto ci rendiamo conto che sarebbe stato impossibile percorrere queste piste con il camper, per il pessimo stato, per i numerosi guadi e per la totale mancanza d’indicazioni. Alla mia richiesta se fosse possibile raggiungere il monastero con quest’auto, il taxista mi “dice”: “ho venduto il cavallo per comprare questa auto, e con questa auto devo andare dove andavo con il cavallo!!!”  “Giusto ribatto io”. 

Tra colline coltivate a cereali, pascoli, greggi, in un paesaggio mozzafiato, scatto numerose foto. Dopo una foratura, mancando il crik, do’ una mano a sistemare l’auto su una pila di pietre per sostituire la gomma; risolto il problema, gli accompagnatori si rinfrescano in un torrentello e abbondantemente ne bevono l’acqua. Proseguiamo, attraversiamo un campo Gher per turisti, e un villaggetto formato da numerose casette di legno abitate di alcuni “sciamani”; in lontananza, in una radura, ci appaiono le mura del monastero. Sulle colline retrostanti tra numerose “stupa”, sorgono due gigantesche statue di Buddha. Con una bella e scenografica scalinata saliamo al loro cospetto, gli amici ci propongono di fare le offerte rituali. Entriamo nel complesso e, accompagnati dagli amici, che si offrono come improvvisate guide turistiche, visitiamo gli otto templi dedicati alle varie divinità; sugli altarini numerose statue di Buddha, alle pareti bellissimi dipinti su stoffa e seta.  Nel tempio principale, consacrato a Tsogchin Dugan, assistiamo a una bellissima cerimonia di preghiera. Presso la torre della campana c’è aperto un piccolo bar, dopo esserci rifocillati con biscotti e dolci, lasciamo questo luogo “magico”, veramente imperdibile. Vista la nostra soddisfazione, gli amici ci propongono di visitare la valle del fiume Orkhon. La valle è disseminata di tante Gher di nomadi, che vivono apparentemente lontani dalla civiltà, ma tutti hanno la moto o l’auto, il cellulare, i pannelli fotovoltaici, l’antenna parabolica e spesso il computer. Alcuni pastori allevano cammelli addestrati per le gare di polo, sport nazionale; altri si dedicano alla caccia delle marmotte e degli animali da pelliccia. Siamo accompagnati in un “campeggio” affollato di bambini, e presentati come “amici Italiani”; poi s’intraprende la via del ritorno accompagnati da numerosi ragazzi a cavallo. Tornati in paese, foto con i famigliari del taxista, scambio d’indirizzi e dopo interminabili saluti ci dirigiamo verso Bulgan. 

Percorriamo la A1102 sino a Erdenet dove esiste uno dei più grandi giacimenti di rame al mondo, la città è di marcata impronta Russa, è molto animata e sembra ci sia un discreto benessere. Arriviamo alla miniera a cielo aperto, sembra possibile la visita, ma occorre fare in fretta perché al tramonto chiude; causa le lungaggini delle guardie addette al rilascio dei permessi oggi non riusciamo nell’intento, torniamo in città e presso il Selenge Hotel ci sistemiamo per la notte. Saputo che oggi, inspiegabilmente, non sarà possibile visitare la miniera, lasciamo la polverosa Erdenet per Darhan, e quindi la frontiera con la Russia. Non abbiamo fretta e strada facendo ci gustiamo questi paesaggi splendidi esaltati da un limpido cielo e una giornata calda e luminosa. Improvvisamente ci supera un ragazzo a cavallo con uno sgargiante costume tipico, ci si para davanti e “pretende” una foto: lo accontento e saputo che siamo Italiani porgendo la mano al cuore ci augura buon viaggio. Darhan già la conosciamo ma, spulciando tra le guide, Adele scova due curiosità: il monastero Kharaagiin, e in un vicino villaggio, un laboratorio artigiano per la costruzione di archi e frecce.  Nella città vecchia visitiamo il monastero; è un edificio di legno, soffocato da palazzi fatiscenti, ma con un’armoniosa struttura in stile Cinese; nel curato giardino antistante svetta un albero avvolto da numerose sciarpe votive di seta rosse e blu.

Proseguiamo direzione Suhbaatar, deviamo per Dulaankhaan, ma non riusciamo a trovare il laboratorio artigianale di archi e frecce; con il benestare dei ferrovieri ci accampiamo presso la stazione Trans-Mongolica  Pechino-Mosca e passiamo la notte tra possenti locomotive a gasolio.   Dopo aver disegnato su un foglietto arco e frecce chiediamo informazioni per arrivare alla fabbrica. Una giovane e bella signora si offre di accompagnarci; salita sul VAS è più interessata a visionarlo che indicarmi la strada; spesso deve chiedere e informarsi su come raggiungere il laboratorio, ma alla fine lo troviamo. E’ uno dei pochissimi artigiani rimasti e riesce a costruire solo 3/4 archi l’anno, per la grande richiesta vanno ordinati con parecchi anni di anticipo. Orgogliosamente ci mostra le varie fasi della, poi alla mia richiesta di acquistarne uno mi invita a lasciare un acconto e ripassare nel 2013!! lavorazione Riportiamo a casa la signora, ringraziandola con un pacchetto di spaghetti e una scatola di biscotti, poi ripresa la A0402 ci apprestiamo a lasciare la Mongolia. Nei pressi di Suhbaatar ci ferma la polizia; l’agente non chiede i documenti ma infila sotto al tergicristalli un foglietto e sul palmo della mano scrive: 3000 Tang; al mio rifiuto, toglie il foglietto e mi fa segno di seguirlo. Dopo aver percorso un paio di km si ferma, mi fa cenno di posizionarmi su un prato presso altri furgoni e auto, ripete il gesto di prima: foglietto sotto il tergi, richiesta di 3000 Tang e… finalmente capiamo che altro non è che il tiket per poter parcheggiare e partecipare a una festa.

C’e un gran movimento di gente, molti nel tradizionale costume, altri a cavallo; sui prati lungo la strada numerosissime Gher, da dove entrano ed escono uomini e donne tutti indaffarati a preparare cibarie varie da cucinare in grandi e improvvisate cucine da campo, barbecue o enormi pentoloni appesi sul fuoco. Tutti accettano di farsi fotografare nelle loro attività e nei loro stupendi costumi. Molti ci invitano a pranzare con loro, ma dopo qualche assaggio il cibo non ci soddisfa e educatamente salutiamo. Una ragazza, in inglese, ci spiega che è la festa finale e nazionale del Naadam. Ci accompagna nel vicino stadio dove si svolge la cerimonia di apertura dei giochi; giochi che consistono nella gara di tiro con l’arco, gara di lottatori di sumo, e corse a cavallo per bambini e adulti. E’ da brividi sentire l’inno nazionale cantato da un tenore; atterrano i paracadutisti con enormi bandiere della Mongolia; seguono vari balletti coreografici di ragazze e bambine accompagnati da musiche prodotte da strumenti tradizionali; la maggior parte degli spettatori indossano il copricapo della propria etnia e il costume tipico. Molti, specie gli anziani, chiedono di essere fotografati, hanno appuntato sul petto le medaglie dei vari raduni; una troupe televisiva ci riprende e ci intervista, rimangono meravigliati quando diciamo che siamo Italiani e ancor di più che siamo arrivati lì con un Motorhome, tanto che vogliono vederlo e fotografarlo; poi ci danno in omaggio una loro bandiera dove campeggia l’indecifrabile scritta: “Amici della Mongolia”. Continuiamo a vedere le varie attività sportive, la più emozionante è la corsa dei bambini a cavallo; cavalcano a ”pelo”, è una specie di staffetta, c’è un grande agonismo, e spesso li vedi piangere per non essere arrivati al traguardo. Il sole sta tramontando, vogliamo trascorrere un’altra notte in questa splendida nazione che ci ha emozionato con questa inaspettata festa. Ci lasciamo coinvolgere, e ospiti di improvvisate tavolate, tra uno spuntino e l’altro, beviamo latte di cavalla e wodka. Un gruppo canoro si esibisce con canti popolari, poi passano al repertorio lirico Italiano deliziandoci con alcune romanze Verdiane, ci augurano buon viaggio con “ O sole mio” e “ Nel blu dipinto di blu”, così termina la serata e ci ritiriamo nel camper. 

Bella nottata, con il sole già alto partiamo per la vicina frontiera di Altanbulag; spendiamo gli ultimi Tang in wodka e ci presentiamo ai doganieri. Vengono apposti i timbri di uscita sui passaporti e sul permesso di importazione temporanea del camper; nessuna ispezione del mezzo, calorosa stretta di mano con un doganiere e un imperioso saluto militare alla nostra partenza; poche centinaia di metri e siamo nella dogana Russa di Khyakhta. Dopo dodici giorni di Mongolia rientriamo in Russia e visitiamo senza fretta il lago Baikal, le tante e belle città della Siberia, della Russia Asiatica ed Europea, poi si torna a casa per raccontare a famigliari e amici questo splendido viaggio.    

BUON VIAGGIO !!

Adele e Andrea (Parma)