“Ma perché proprio la Mongolia?”: ce lo hanno domandato amici, colleghi e parenti. La Mongolia inizia tanto tempo fa, per ragioni non meglio definite ma che hanno a che fare con la curiosità verso modi di vivere e paesaggi lontani da quelli a noi usuali. A un certo punto arriva il richiamo e occorre partire, anche se non si è viaggiatori provetti o non si è ancora visitato Roma. Paolo può affermare di essere stato a Ghinghis City ma non a Roma: è fantastico! Per entrambi non si è trattato solo di visitare luoghi incredibili, ma di mettersi alla prova in situazioni completamente nuove, anche per tentare di superare certe paure… È stato un viaggio faticoso, nuovo sotto tanti punti di vista, e il bello è che non finisce, ti ci ritrovi dentro anche quando attraversi i boschi della brughiera briantea!
Uno degli aspetti più belli è stato abbandonare il tradizionale senso dell’orientamento: abbiamo perso “la strada” per ritrovarci su piste talvolta solo abbozzate. Abbiamo percorso centinaia di chilometri su un minivan coreano: la steppa era il luogo dei picnic e delle pause fisiologiche… L’erba era profumata e morbida…
Sebbene la religione prevalente in Mongolia sia il Buddismo, sono ancora presenti i segni di uno sciamanesimo mai realmente abbandonato: tre giri in senso orario e un sasso come dono affinché gli spiriti proteggano il nostro viaggio (anche una banconota da 500 tugrug è ben accetta!).
Tsagaan Suvarga
A un certo punto non si sa dove volgere lo sguardo, tanta è la meraviglia che si prova. Più volte capitava di chiudere gli occhi: allora sentivi di essere soltanto tu e il vento. È stato bello inoltre scoprire di avere compagni di viaggio sintonizzati sulla tua stessa lunghezza d’onda: del resto, se si sceglie di andare in Mongolia, è probabile che si scopra di essere alquanto affini.
Yoliin am
Eccoci qua, negli spazi immensi e in una natura che si lascia vivere per quella che è. Si avverte un che di sacro, di saggezza e di inesorabilità: è bello sentirsi allo stesso tempo infinitamente piccoli e magicamente presenti in ogni spazio.
Khongoriin els
Non ce l’abbiamo fatta a raggiungere la cima! Il fisico fuori allenamento ha avuto la meglio… Pazienza… Un buon motivo per tornarci? Non crediamo… Però arrendersi ha voluto dire farsi tante risate e riposare sulle sabbie del deserto del Gobi al tramonto in attesa dei nostri valorosi compagni di viaggio che invece ce l’hanno fatta! Qui si perde proprio la dimensione temporale: è come se millenni di storia si fossero compressi e non avessero portato se non a noi lì, insieme ai disegni dei nostri genitori preistorici, a dirci la meraviglia di esserci.
Bayan Zag
Visitato al tramonto, questo luogo non ha confini. Qui sono stati ritrovati i più importanti fossili di dinosauro del pianeta. Calpestiamo la stessa terra rossa in cui sprofondavano questi animali giganti… Sembra che la terra continui a spaccarsi, a subire le scosse che danno vita a forme insolite, simile a un Gran Canyon… Ma non siamo negli Stati Uniti… La presenza di pochi turisti aiuta a godersi i secondi che portano al calare del sole: chissà come deve essere al buio più completo… In compenso ci ricorderemo di sciami e sciami di zanzare…
Karakorum. Monastero di Erdene-zuu
Della capitale dell’impero di Gengis Khan resta poco; intorno a quello che rimane del glorioso passato è bello usare l’immaginazione, farsi circondare dallo stesso vento che ha accompagnato la costruzione del più grande impero al mondo. E per la prima volta assistiamo alla preghiera dei monaci buddisti, scoprendo così un rito religioso completamente differente da quello cristiano, dove oltre a cantare si può sorseggiare una tazza di ayrag o mangiare una ciotola di riso… I nomadi sono bambini. Sono ospitali. Ci offrono da mangiare e da bere (i sapori sono acidi, faticosi). Noi offriamo loro pennarelli, quaderni e Didò.
Vivono nella natura. Allevano. Raggruppano mandrie di cavalli. Guardano la televisione. Le loro gher proteggono dal caldo e dal vento.
I nomadi sorridono.
Tempio di Onghiin Khiid
Silenzio. In una valle verdissima i resti del principale monastero del Gobi dove un tempo vivevano centinai di monaci.
Al risveglio nella nostra gher ci è venuto a trovare un rospo…
Il Nadaam è una festa ben strana ai nostri occhi: istituita da Gengis Khan, per i Mongoli rappresenta l’indipendenza. Tre discipline: corsa dei cavalli, lotta libera e tiro con l’arco. Il luogo in cui ci siamo recati la prima volta per assistere alle celebrazioni ci ha impressionato negativamente: una sorta di gigantesca fiera popolare dove non accade nulla o con tempi luuuunghi, circondati da distese di auto e di bancarelle cinesi. Per fortuna abbiamo potuto gustare una cioccolata e riconciliarci con sapori conosciuti! Assistervi invece in un piccolo paesino nella terra di Ghinghis ci ha restituito un’atmosfera completamente diversa: abbiamo ricevuto il benvenuto addirittura dal “sindaco” locale.
Ulan Bator. La capitale.
Abbiamo conosciuto la capitale in tre tempi diversi. Appena atterrati abbiamo visitato “Gandan”, il monastero più importante della città (ma non il più bello come abbiamo avuto modo di scoprire alla fine del nostro viaggio: per noi il più bello resta “Chojin Lama”). Certamente è una grande città in cui convivono tante anime diverse: ci sono ancora molti abitanti che vivono nelle gher in periferia; ci sono i grattacieli moderni; il traffico moderno… Eppure ci sono un cielo e un vento che arrivano dalle steppe e che ti fanno ricordare quanto il concetto di città sia molto molto relativo.