ULAANBAATAR WEATHER

L'anima spirituale di UB

GANDAN
È il monastero più grande e frequentato della Mongolia con 400 monaci e centinaia di fedeli ogni giorno (a sinistra, foto di Federico Pistone). Eppure conserva un'atmosfera di gioia mistica unita ad allegria terrena che lo rende una vera oasi nel caos della città. Il nome completo è lungo e impronunciabile, Gandantegcinlen khiid (significa “il monastero della felicità perfetta”) ma per tutti è semplicemente Gandan. Dalla collina spunta improvvisa la sagoma del tempio principale, il Megjid janraiseg (il dio che guarda ovunque), uno splendido edificio candido in stile tibetano sovrastato da una struttura a pagoda tipicamente cinese con porticati in legno rosso e tegole verdi. E’ questo il vero simbolo di Ulaanbaatar. Per entrare in questa cittadella della fede dovete prima varcare un delizioso porticato sempre a forma di pagoda ornato di fregi religiosi. Il piazzale è costellato da strutture sacre: muri, pedane e pali dove i mongoli, dai bambini ai più anziani, si affollano per pregare con gesti semplici e suggestivi. La prima cosa che catturerà la vostra attenzione appena entrati nel tempio principale è la statua alta più di 26 metri. Non è Buddha come molti potrebbero credere ma Megjid Janraiseg, il Dio che guarda ovunque, conosciuto anche in molte altre denominazioni come Avalokiteshvara e Chenrezi. Il Dalai Lama in persona, considerato la reincarnazione di questo santo, ha consacrato la statua nel 1996 dopo cinque anni di lavoro affidato a cinquanta artigiani e artisti: la struttura pesa 20 tonnellate ed è in acciaio e rame proveniente dalle miniere di Erdenet con fregi d’oro e argento dal Nepal e dal Giappone e duemila pietre preziose. I monaci assicurano che all’interno sono conservati molti gioielli, una quantità enorme di piante medicinali e più di trecento libri di preghiera. Per sessant’anni la zona centrale del tempio era rimasta vuota, dopo che i sovietici, nel 1937, avevano trafugato la meravigliosa scultura precedente, in oro e bronzo, alta 20 metri che il Bogd Khan aveva fatto erigere nel 1911 dedicandola sempre a Janraiseg. Quando riuscirete a distogliere lo sguardo dal santo, potete girare intorno, in senso orario, alla statua e ammirare il resto del tempio. Il dio della longevità, Amitayus, vi guarda dal chiaroscuro di centinaia di immagini che ornano le pareti ma anche dagli inquietanti personaggi dei tankha, gli arazzi sacri del buddhismo. Le funzioni religiose, a cui si può assistere sempre nel massimo silenzio e senza fotografare, cominciano di solito alle 10 del mattino. Sulla sinistra, sempre dando le spalle al tempio, si apre un altro cortile dove si possono ammirare altri templi. L’Ochidara (o Vajradara), costruito in pietra e mattoni nel 1841, ospita le principali funzioni lamaiste sotto la protezione della statua di Tsongkapa, fondatore dell’ordine dei berretti gialli del buddhismo tibetano. Nello stesso cortile si trovano il tempio Zuu (tempio di Buddha), detto anche tempio del gioiello, edificato nel 1869 per accogliere il giovanissimo settimo Buddha vivente (Bogd gegeen) e il tempio di Didan-Lavran che ospitò la biblioteca del quinto Buddha e lo stesso Dalai Lama nel 1904. Gandan è ufficialmente aperto dalle 9 alle 11 tutti giorni, dalle 9 alle 13 la domenica, ma ci si può recare anche nel resto della giornata fino alle 21. Sito ufficiale: www.gandan.mn (foto 1)

GHESAR
Fa parte del monastero di Gandan ma è leggermente discosto verso nord est e separato dai templi principali da una strada trafficata, la Khuvisgalchdyn gudamj. E’ dedicato al mitico re tibetano Ghesar ed è una deliziosa struttura in stile cinese molto frequentata dai fedeli mongoli che qui possono comprare delle benedizioni e delle erbe “miracolose”. L’ingresso, dalle 9 a mezzogiorno, è gratuito anche per gli stranieri.

BAKULA RENBUCHI
A chiudere il triangolo con Gandan e Ghesar, sorge questo tempio simbolo della cooperazione religiosa fra Mongolia e India. Fondato nel 1999 dall’ambasciatore indiano Bakula Renbuchi, reincarnazione di un lama del Ladakh, ospita un centro di medicina buddhista e testimonianze dell’antica scrittura uigura. All’interno di uno stupa sono conservate le ceneri di Bakula.

CHOIJIN LAMA
Torniamo in centro città: dando le spalle alla piazza principale, percorriamo cento metri e sulla sinistra, inconfondibile, si apre un complesso di templi rossi con il tetto verde: è il monastero-museo di Choijin (pronuncia Cioigin, è un alto grado gerarchico dei monaci) Lama, aperto tutti i giorni d’estate dalle 10 alle 17 e con orario più incerto nel resto dell’anno. Qui visse il fratello minore del Bogd Khan dal 1908, Luvsan Haidav, potente monaco lama. Il monastero fu poi chiuso nel 1938 e trasformato in museo nel 1942, evitando così la distruzione. Oggi non si svolgono più riti religiosi ma una visita ai cinque templi è obbligatoria sia per la bellezza della struttura esterna, impreziosita da dipinti dedicati al Buddha, sia per i capolavori contenuti. Il primo padiglione (Maharaja) è protetto da quattro minacciosi guardiani e porta al tempio principale, detto anche “della passione”. Qui si ammirano una statua di Buddha, i resti mummificati di Baldanchoinbol, tutore del Bogd Khan, antichi libri di preghiera, maschere Tsam, splendidi thanka e, in mezzo alla sala, il trono. Si prosegue nel tempio di Zuu, dedicato al Buddha Sakyamuni. Il tempio di Yadam è solitamente chiuso ai visitatori e contiene tesori d’arte religiosa fra cui una statua di Sitasamvara scolpita da Zanabazar. L’ultimo tempio, di Amgalan, è ricco di oggetti preziosi fra cui molte opere dello stesso Zanabazar. (foto 2)

PALAZZO D’INVERNO DEL BOGD KHAN
Dopo il ponte sul fiume Selbe potete già distinguere le sagome del Palazzo d’inverno dove per vent’anni visse il Bogd Khan (foto a destra, di Federico Pistone), personaggio singolare che per primo governò la Mongolia dopo l’indipendenza del 1921. Il suo vero nome è forse il più lungo della storia, 44 lettere: Agvaanluvsanchoooyjindanzanvaanchigbalsambuu. Era a metà strada fra un santo, reincarnazione di Zanabazar, e un condottiero senza scrupoli: nel 1872 si impadronì del potere e nel 1911 viene proclamato Bogd Khan e posto al vertice del movimento di indipendenza mongolo sui manchu prima di essere eletto a capo del Governo Popolare della Mongolia senza però nessun potere effettivo. Muore nel 1924 tra alcolismo e scandali sessuali. Il suo spirito eccentrico lo si intuisce dall’inquietante esposizione nel palazzo di una quantità esagerata di animali rari imbalsamati e di una gher rivestita con le pelli di 150 leopardi delle nevi che, anche grazie a questo signore, oggi sono quasi estinti. Il complesso del Palazzo, ristrutturato alla fine del 2007, è gradevolissimo con una serie di stanze affondate nel verde. I gestori vi seguiranno con le chiavi aprendo le varie sale di volta in volta e richiudendole appena ne uscirete. Troverete aperto il complesso di solito dalle 9.30 alle 16.30 (gli orari però sono piuttosto elastici: attenzione perché resta chiuso, misteriosamente, il mercoledì e il giovedì). L’ingresso del Palazzo del Bogd Khan, diventato museo dal 1961, è un sontuoso portone di legno realizzato senza l’utilizzo di nessun chiodo ma con 108 incastri, numero sacro per il buddhismo. Ma i visitatori entrano da una porticina laterale, alla cui destra si apre il vero e proprio Palazzo d’inverno, un edificio bianco arredato da sfarzosi doni portati al padrone di casa da autorità straniere, come un paio di stivali d’oro massiccio offerti dallo zar di Russia, gioielli, magnifici vestiti e mobili d’epoca. Al piano superiore si trova una decina di sale: si possono ammirare il trono e altre poltrone di pregio, una notevole collezione di thanka, da non perdere, la parrucca e i gioielli della regina, una catena di teschi in avorio, una pelliccia del sovrano confezionato con 80 pelli di volpe oltre a una giacca che è costata il sacrificio di 600 zibellini, il documento originale della dichiarazione d’indipendenza dalla Cina e, paradossalmente, alcuni vasi cinesi. Proseguendo nel cortile del Palazzo si può passeggiare fra i vari templi e padiglioni, che conservano autentici gioielli di arte e religione, fra cui capolavori di Zanabazar, il più grande artista mongolo vissuto nel Seicento. Di fronte alla residenza del Bogd Khan si trova il Tempio di Maharajas che custodisce strumenti musicali, pitture e oggetti religiosi; più avanti il Tempio degli Apostoli (detto Naidan) con due tempietti laterali addobbati da pitture buddhiste e, in fondo, il tempio principale, chiamato Nogoon laviran: questo era il luogo riservato al Bogd Khan per le sue preghiere. E’ arricchito da sculture di artisti mongoli e tibetani del Settecento e dell’Ottocento. (foto 3)

DAMBADARJAA
Anche se resta poco dell’originale di fine Settecento, è interessante una breve escursione a nord della città per ammirare questo monastero costruito dall’imperatore manchu che accoglieva circa 1.200 monaci. Nel 1937 è stato trasformato in ospedale ma conserva ancora alcuni dei 30 templi originali.

DASH CHOILON
Attraversando la piazza principale da via Sukhbaatar e proseguendo mezzo chilometro a nord est, si incontra il Dash Choilon, un monastero ricostruito nel 1991 all’interno di tre strutture che ricordano delle enormi gher, ereditate dal circo di stato. Un centinaio di monaci vivono qui ma, contrariamente a Gandan e ad altri monasteri mongoli, sono “berretti rossi”, concorrenti dei “berretti gialli” legati al Dalai Lama. Aperto dalle 10 a mezzogiorno, con possibilità di assistere, discretamente, alle funzioni religiose.

OTOCHMAARAMBA
Proseguendo un chilometro a nordest rispetto al Dash Choilin (siamo già nella polverosa periferia della capitale, oltre la “tangenziale” dell’Ikh toiruu nel distretto Bayanzurk), c’è l’Otochmaarambam. Come monastero non offre molto di interessante ma, sulla base delle tradizioni conservate dai monaci, ospita la sede del Mamba Datsan, clinica di medicina buddhista. E’ aperta dalle 9 a mezzogiorno.