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7 febbraio 2017

Mongolia in bancarotta e la gente regala i cavalli

Il Corriere della Sera dedica una pagina e un ampio servizio online sulla singolare situazione creatasi in Mongolia, dove i cittadini e i nomadi hanno donato soldi, oro e bestiame allo Stato per ripianare il debito pubblico. Scrive Guido Santevecchi: "La Mongolia, democrazia stretta geograficamente e politicamente tra Russia e Cina, è anche strangolata dal debito pubblico. A marzo scade una tranche di bond da 580 milioni di dollari, le casse dello Stato sono quasi vuote e il governo si è rivolto a tutti, finora senza trovare nuovo credito. Si sono mobilitati i cittadini, donando soldi in contanti, gioielli, oro, bestiame, anche i cavalli della loro straordinaria cultura nomade per riscattare il Paese. Parlamentari e manager di aziende stanno contribuendo alla colletta con sottoscrizioni fino a 100 milioni di tugrik, la moneta locale. Ma siccome l’anno scorso il tugrik ha perso un quarto del suo valore, 100 milioni significano solo 40 mila dollari". Il commento di Federico Pistone: "Benvenuti nella terra dell'orgoglio. Qui sono tutti figli di Gengis Khan, dio nell'olimpo del Tengher - l'immenso cielo che protegge la Mongolia - lui che l'ha trasformata nell'impero più grande della storia e che è stato riconosciuto uomo del millennio scorso, non dal Mongol Messenger ma dal Washington Post "per avere collegato Est e Ovest consentendo la creazione della civiltà moderna". I mongoli sono orgogliosi di vivere nel Paese più emozionante e disabitato del mondo, il più fotogenico secondo il National Geographic, perfino di vantare le temperature più estreme con un'escursione di 100 gradi nel deserto del Gobi, e le faglie più spaventose aperte dai terremoti. Dopo aver dominato metà del pianeta, hanno sofferto l'infamia della dominazione cinese al punto di salutare i sovietici come liberatori, nonostante l'ecatombe di monaci e monasteri ordinata da Stalin. Con la fine del comunismo e l'autonomia riconquistata, i mongoli hanno ripreso a consultare febbrilmente gli sciamani - quelli sopravvissuti alle purghe bolsceviche - e a autotassarsi per ricostruire i simboli più importanti della fede lamaista. Come la statua alta 26 metri al monastero di Gandan, il principale tempio di Ulaanbaatar, che riproduce la divinità buddhista Megjid Janraiseg. Era d'oro massiccio, colato e portato a Mosca nel 1937: una commovente colletta popolare ha permesso la ricostruzione dell'imponente monumento in acciaio e rame, provenienti dalle miniere di Erdenet e fregi d'oro dal Nepal. Vent'anni dopo, una nuova colletta, meno spirituale, ma sempre nel segno dell'orgoglio".