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9 novembre 2020 CULTURA

Zanabazar raccontato in "Qui giace un poeta"

Tra le 60 tombe d'artista raccontate nello splendido libro edito da Jimenez "Qui giace un poeta", - insieme a personaggi immortali come Kafka, Poe, Virginia Woolf, James Joyce, Leopardi, Sartre, Michelangelo, Mozart - c'è anche quella di Zanabazar nel racconto di Federico Pistone. L'importanza dell'opera, culturale e mistica, dell'insigne personalità mongola è testimoniata anche dalle 10 pagine a lui riservate, più di ogni altro personaggio dell'arte e della storia mondiali. Un volume prezioso, a cui hanno collaborato scrittori di alto livello, per chi vuole conoscere la nostra civiltà senza limiti né preconcetti. Come è scritto nella prefazione, "sembra quasi che in quelle tombe lo spirito del defunto e della sua opera si sia fuso con lo spirito del luogo, e che chi ne ha visitato la tomba non sia andato fin lì solo per vedere cosa diamine c'era da vedere. Ma per incontrare una persona". Nel caso di Zanabazar, è stato il giornalista Federico Pistone ad affrontare questa avventura e a "incontrare" questa "persona" davvero eccezionale, tra mistero, cronaca e leggenda. Ecco l'incipit del racconto, con l'invito a visitare attraverso la lettura di questo libro tutte le lapidi raccontate.

Dov'è la tomba di un dio? Non è mai dove la cerchi. Il percorso per trovarla è inclinato, insidioso, trascendente.
Zanabazar è stato un dio, incarnazione del Buddha, primo Bogd Gegen, il santo che risplende, maestro spirituale e politico della Mongolia dal 1638 – quando era una creatura predestinata di appena tre anni che recitava a memoria i testi sacri – al 1723, avvelenato dai Manciù, che temevano il suo potere e la sua presunta immortalità. A quell'epoca nessuno arrivava ai novant'anni, e nessuno ci arrivava con quella energia.
Zanabazar, il dio-re, discendente diretto di Gengis Khan, inventore, matematico, poeta, scrittore, scultore – i suoi bronzi sublimi hanno segnato l'arte di tutta l'Asia – e poi mago, architetto – a dodici anni costruì il primo monastero, lo Shankhiin khiid, non un modellino – musicista, pittore, astronomo, economista, medico, stilista (ha perfino disegnato gli abiti dei monaci, copricapi compresi). Come linguista ha inventato l'alfabeto decorativo del Soyombo, che ancora fregia la bandiera mongola. E, assicura il suo biografo coevo Luvsanperenlei, Zanabazar aveva poteri sovrannaturali e faceva miracoli: come quando si trovò a pregare in un tempio sperduto nelle montagne del Tibet e contemporaneamente, a migliaia di chilometri di distanza, stava fondando l'accampamento mobile di Urga, destinato a diventare la nuova capitale della Mongolia, Ikh Khuree e, dal 1924, la definitiva Ulaanbaatar, l'eroe rosso. Altri testimoni giurano che, in quello stesso istante, Zanabazar stesse tenendo una funzione al monastero Erdene Zuu di Kharkhorin. Uno e trino... (segue)