2005 Feltrinelli - 158 pagine 14 euro
Un diplomatico brasiliano inviato in Cina deve ritrovare un giovane fotografo scomparso in Mongolia, sui Monti Altai. La missione all'inizio non lo esalta per nulla ma imparerà nel corso del viaggio ad amare un Paese “dal fascino violento e irresistibile”. Quello del quarantacinquenne scrittore carioca Bernardo Carvalho è un romanzo che è insieme avventura, diario di viaggio, saggio e thriller con un epilogo a sorpresa. Rileggendo il racconto si nota però una certa perfidia nei confronti della popolazione mongola, un pathos che a volte sfocia nell'allarmismo ingiustificato. In numerosi passaggi i nomadi vengono descritti come soggetti pericolosi, se non addirittura criminali. Un libro che è piaciuto pochissimo ai Mongoli, ed è facile capire perché.
Estratto: "Dopo essere passati dal villaggio di Khohomorit, probabilmente uno dei posti più desolati del pianeta, proprio mentre attraversavano la regione inospitale del gobi di Khuysyin, un deserto grigiastro e lugubre simile al fondale di un oceano antico e poco profondo, come sembra sia stata la Mongolia in un remoto passato, il motore della jeep iniziò a fare un rumore sospetto e Bauaa comunicò loro che non potevano proseguire. L’Occidentale continuava a chiedersi, tra sé e sé, come aveva fatto a mettersi in un tale guaio. Era furioso, ma non poteva esplodere. Era nelle mani della guida e dell’autista"