ULAANBAATAR WEATHER

IL LEOPARDO E LO SCIAMANO

In viaggio tra i misteri della Mongolia
di Federico Pistone
2018 • Sperling & Kupfer • 220 pagine • 16,90 euro

Dalla prefazione di Sveva Sagramola:
Latte e terra. L’odore della Mongolia è fatto delle cose che danno la vita, e un viaggio in questa regione nel cuore dell’Asia è in grado di restituirci una fotografia antica di noi stessi, quando, agli albori della nostra umanità, nomadi, ci spostavamo per adattare le nostre esistenze ai cicli stagionali. Ancora non c’era separazione con la natura, e i confini tra la vita e la morte, l’umano e il divino, erano difficili da distinguere, così come il cielo dalla terra, nello sconfinato orizzonte delle steppe. È in questo spazio senza tempo, dove l’essenza del nostro essere al mondo si staglia nitida, che ci conduce il libro di Federico Pistone, un diario di viaggio che avvince e si legge come un romanzo, emozionante, perché racconta non solo le storie, le abitudini e la vita quotidiana di un popolo abituato da oltre cinquemila anni a vivere nelle tende sfidando inverni che arrivano a cinquanta gradi sottozero, ma ne cattura anche i sogni, le credenze, i misteri. Quel senso del sacro, che i mongoli non hanno mai perso, dato dal rapporto quotidiano con una natura ostile e imponente, che può essere assecondata e mai sfidata, e attraverso cui viene naturale sentire di essere una parte del Tutto, strettamente legati al destino delle piante, degli animali, dei fili d’erba, dell’aria, dell’acqua, di ogni essere vivente. Per i mongoli c’è uno spirito in ogni elemento della natura a cui rapportarsi, con rispetto e familiarità; sentimenti che, se fossero stati mantenuti dall’umanità che ha conquistato il mondo nei tempi moderni, avrebbero evitato la catastrofe ecologica che sta investendo il Pianeta. Federico ci accompagna sotto cieli che ancora si accendono di stelle, perché la Mongolia è uno dei Paesi meno abitati al mondo, dove le stelle si vedono, e sono così luminose da rischiarare la notte. Ci fa entrare nelle tende dei nomadi, che chiamano gher la propria casa. Provate a pronunciare questa parola a voce alta e vi accorgerete che ha un suono dolcissimo, caldo, come la loro ospitalità. Ci fa conoscere vite faticose, dove però la mancanza di beni di consumo lascia spazio all’essenziale, alle cose veramente importanti e necessarie, al senso di comunità, di famiglia, di amicizia. Scopriamo insieme a lui le sfide della Mongolia moderna, dove l’urbanizzazione intorno alla capitale crea nuove povertà, e l’allevamento intensivo di capre provoca una desertificazione devastante, mentre la corsa allo sfruttamento delle risorse minerarie rischia di compromettere aree naturali ancora intatte, tra le ultime rimaste al mondo, di cui oggi ne è simbolo e abitante il leopardo delle nevi. È alla ricerca di questo animale meraviglioso, continuamente evocato e quasi mai incontrato, che andremo in queste pagine, inseguendo anche il misterioso «almas», la creatura paurosa e leggendaria, l’uomo selvatico di ogni mitologia di montagna. Un racconto che si fa spesso poetico, perché Federico guida il lettore in un Paese di cui ha una conoscenza profondissima, senza, per questo, essere invadente. Non giudica, ci lascia guardare, come se fossimo accanto a lui, in questo viaggio straordinario nella nostra umanità. Sa che non c’è un punto di appoggio per raccontare il mondo e le altre culture, che la vita è in continuo movimento, sotto ogni sua forma, e che i confini, in fondo, non esistono. Perché, come gli dice, il Santo Jamiyan, che legge Dante, e che Federico incontra a Shambala, il centro delle energie dell’Universo secondo la spiritualità tibetana, «le nostre vite sono un miracolo, così come le nostre trasformazioni, i nostri sensi, la nostra fede». Sveva Sagramola

Motivazione per il Premio Sergio Maldini di narrativa di viaggio: "Il leopardo delle nevi e lo sciamano sono due dei magici incontri dell’autore nel suo affascinante viaggio in una Mongolia descritta nella sua varietà e umanità. Racconto poetico, tra incontri e sorprese, di una terra estrema, che ci riguarda un po' da vicino anche se non lo sappiamo. Narrazione esatta, tesa, nata come esito di una conoscenza vera, profonda, colta e curiosa allo stesso tempo, condotta con una prosa elegante, asciutta, senza voluti preziosismi. L’uso costante della sinestesia fa sentire il lettore al fianco del viaggiatore: suoni, odori, colori, sapori sono descritti con tratti essenziali. Le pagine sono ricche di notizie, di eventi e di luoghi pieni di storia, ma la lettura è scorrevole ed immediata la partecipazione alle vicende narrate. Scrittore sapiente, Pistone sa discernere i centri nevralgici di una civiltà tutta da scoprire e tenere il lettore sul filo sottile sospeso tra l’ interesse per civiltà lontane, il bisogno di fantasticare e la curiosità per il presente, a cui accostarsi con rispetto. Il testo, arricchito da un pregevole servizio fotografico originale, si caratterizza per la compresenza  di istanze saggistiche di spessore antropologico e di desiderio d’avventura, sostenuto da una agilità che rende leggero l’impianto narrativo e suscita una profonda riflessione su un rapporto spesso latente nella vita dell’uomo contemporaneo fra  realtà e fantasia, fra scienza e mito, fra un passato lontano, un passato più recente, un presente di grandi cambiamenti  ed un futuro di difficile lettura, tra l’incredibile urbanizzazione, le offese mosse all’ambiente, la sperequazione sociale, la coesistenza tra forme di vita arcaiche ed altre tese ad un problematico progresso. Le pagine riescono a sostenere in modo convincente il fecondo equilibrio tra riflessione e racconto evocativo, tra il racconto personale di viaggio ed un altro tipo di racconto, in cui è l’umanità tutta ad essere coinvolta in un  cammino incessante, inarrestabile. Perché così vuole la nostra specie e così è sempre avvenuto. Per tutta l’ampiezza del libro, si respira un’aria di curiosità umana, di rispetto per ogni forma di vita e di serena accoglienza dei misteri della vita".


Incipit dal capitolo 1 Non rubare i ricordi del deserto

«Tany nas süüder khed ve?» chiede Baltan mentre lo abbraccio stretto per non finire disarcionato dalla moto sovietica che rimbalza sulle zolle ocra del Gobi. «Quant’è lunga l’ombra della tua vita?» È il modo romantico dei mongoli per chiedere l’età. Perché in Mongolia la vita è romantica. Tragica e romantica. Ci sono trentacinque gradi, è ancora mattina ed è maggio. Stasera la temperatura franerà sotto lo zero con la minaccia dell’Ugalz, la tempesta nera che ingurgita le dune e cambia la geografia.

Passaggio dal capitolo 9 Il giorno delle aquile

C’è tempo, ore su ore senza distrazioni, per giocare con i pensieri, per dare un valore e un contorno più preciso alla nostra esistenza, per capire quello che davvero conta e quello che è sopprimibile, le persone che ci arricchiscono e che meritano il nostro tempo e quelle che sono sterili, abbandonabili. Quando si torna da un viaggio in Mongolia si è più completi, lucidi, consapevoli, spirituali. Non si ha più bisogno di ingannare nessuno, tanto meno noi stessi. Con i suoi spazi e le sue gentili creature, è la purificazione del corpo e dell’anima.

Dall'ultimo capitolo Volando nella polvere rossa

La polvere rossa avvolge il tiepido cielo di luglio mentre sagome di cavalieri si mescolano in una sarabanda senza tempo. Vanno incontro alla terra scossa dal vento e dagli zoccoli dei soyoloon, concedendosi a quell’abbraccio sabbioso e propiziatorio. I soyoloon sono cavalli di cinque anni di età, i più forti, i veri protagonisti della corsa del Naadam che si sta concludendo nella vallata di Khüi Doloon Khudag, poco fuori Ulaanbaatar. A condurli, anzi, a sfiancarli per ventiquattro chilometri senza respiro, sono bambini e bambine dai cinque ai dodici anni che per tre giorni, dall’11 al 13 luglio, giocano a fare i Gengis Khan, proprio come i nostri ragazzini che, palla al piede, emulano le gesta di un Icardi o di un Dybala. Il vincitore svanisce travolto dalla nebbia e dall’entusiasmo degli spettatori, anche loro in sella. Mi ritrovo in mezzo a questa scena biblica, unico senza piedistallo equestre, un granello di pulviscolo perduto in una volta arancione. La macchina fotografica non mette a fuoco perché non ha punti di riferimento, poi si inceppa del tutto annientata dalla sabbia e forse da qualche anatema per impedirle di catturare nuovi segreti. I cavalli mi danzano intorno ignorandomi, cerco di uscire da quella foresta di polvere e nitriti. Non c’è scampo, come il mio obiettivo fotografico anch’io non trovo più un orientamento e mi immobilizzo, affidandomi alla clemenza equina. Improvvisamente si apre un varco visivo davanti a me. Mi sembra di riconoscere una figura. Sta in piedi incurvato dal pastrano di pelliccia e borchie e mi fissa attraverso la foschia. Strizzo gli occhi. Giurerei che è Tseren, lo sciamano. O la sciamana. Non è possibile. Come può essere qui? Forse è un’allucinazione. Forse è proprio lui e ha usato i suoi poteri magici per accompagnarmi, volando nel tempo e nello spazio. Facendomi largo attraverso i garretti dei cavalli, cerco di raggiungerlo.
In quel momento sento che la polvere rossa mi porta via.
 

Il leopardo e lo sciamano su amazon