di Roberto Ive
1996 Bonanno - 100 pagine - 7 euro
E' il primo atto d'amore di Roberto Ive alla "sua" Mongolia. Lo scrittore triestino, che vive tra Germania e Mongolia, è stato testimone oculare dell'abbandono del Paese da parte dell'Unione Sovietica, alla fine degli anni '80. In questo agile volumetto, Ive ci racconta le reazioni gioiose (l'euforia per il ritorno delle effigi di Gengis Khan, dopo un forzato obnubilamento) e drammatiche (il disorientamento sociale ed economico).
Estratto: "Il silenzio era usato dai mongoli come un mezzo esplicito per difendersi dalla presenza degli 'altri', soprattutto da quelli sovietici. Fra i due mondi le comunicazioni erano in realtà solo di facciata: non c'era unione, nessuna fusione e, se lo scambio si proponeva apparente, il distacco invece era costante. Le continue affermazioni di amicizia e di alleanza riflettevano certamente una volontà politica, ma non fotografavano una fusione spontanea e consolidata a livello umano".
1996 Bonanno - 100 pagine - 7 euro
E' il primo atto d'amore di Roberto Ive alla "sua" Mongolia. Lo scrittore triestino, che vive tra Germania e Mongolia, è stato testimone oculare dell'abbandono del Paese da parte dell'Unione Sovietica, alla fine degli anni '80. In questo agile volumetto, Ive ci racconta le reazioni gioiose (l'euforia per il ritorno delle effigi di Gengis Khan, dopo un forzato obnubilamento) e drammatiche (il disorientamento sociale ed economico).
Estratto: "Il silenzio era usato dai mongoli come un mezzo esplicito per difendersi dalla presenza degli 'altri', soprattutto da quelli sovietici. Fra i due mondi le comunicazioni erano in realtà solo di facciata: non c'era unione, nessuna fusione e, se lo scambio si proponeva apparente, il distacco invece era costante. Le continue affermazioni di amicizia e di alleanza riflettevano certamente una volontà politica, ma non fotografavano una fusione spontanea e consolidata a livello umano".