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Natura

La Mongolia come l'Africa. Anzi di più. Sedici ecoregioni, contro le 10 del Kenya e le 7 del Madagascar, considerate per antonomasia paradisi degli animali. Uno scenario unico al mondo: spazi immensi, che possono apparire un concentrato di “nulla” a un visitatore distratto, sono invece ricchissimi di vita animale e vegetale molto diversificata. Con aspetti perfino drammatici: il numero dei medi e grossi mammiferi in pericolo di estinzione in Mongolia equivale a quello di tutti i Paesi dell'Africa subsahariana. Ma negli ultimi anni molto si sta facendo per preservare questo ambiente straordinariamente bello e prezioso. Esistono territori inesplorati, dove è ancora possibile la scoperta di specie sconosciute. È il caso del recente ritrovamento di 22 nuove specie vegetali, avvenuto sulla remota catena montuosa dell’Altai, le famose montagne d’oro che formano un confine naturale fra l’ovest della Mongolia, la Cina, la Russia ed il Kazakistan. A un ricercatore italiano è bastato il campionamento di 18 pozze durante una vacanza da eco-turista per scoprire 6 nuove specie di crostacei di acque interne, del tutto sconosciute alla scienza. In Mongolia è più facile incrociare animali che uomini: potrete avvistare le grandi greggi dei pastori (formate soprattutto da yak e altri bovini, ovini, cavalli, cammelli), ma anche specie selvatiche e quasi mitologiche, come il leopardo delle nevi, l'argali, l'orso del Gobi, il gatto di Pallas,il cavallo Takhi, il cammello battriano, la volpe corsac, i cervi wapiti o le gazzelle della Mongolia. Il Mongolo, individuo nomade per eccellenza, è intimamente legato alla natura e la rispetta non solo per convenienza (sa che la sua vita dipende da lei), ma per convinzione quasi religiosa e per antichissima consuetudine. In quella che è considerata la prima “Costituzione” mondiale, il Codice di Leggi emanato da Chinggis Khan, la protezione dell’ambiente è in primo piano con un anticipo di mezzo millennio rispetto ai nostri tardivi tentativi di salvaguardia della natura. Il Codice comminava addirittura la pena di morte per chi recasse danni ai terreni e alle praterie con scavi non autorizzati, oppure per chi appiccava un incendio. Era inoltre vietato lavare dentro al fiume (o gettarvi qualcuno dentro!), una precauzione antinquinamento di stretta attualità e indubbiamente molto saggia. Non a caso, la prima area protetta del pianeta è stata istituita proprio in Mongolia, nel 1778: il Bogd Khan National Park. Un viaggio in Mongolia è un ritorno all’infanzia del mondo, ed è proprio la natura quasi intatta che affascina la maggior parte dei viaggiatori.  Purtroppo non tutti gli stranieri, e non tutti i mongoli, si accontentano di ammirare questo meraviglioso spettacolo: le battute di caccia e di pesca che si organizzano con sempre maggiore frequenza stanno impoverendo la fauna mongola, in certi casi portando addirittura al rischio di estinzione di intere specie animali. Nell'ultimo ventennio è cresciuta un'ulteriore minaccia per l’ambiente e la biodiversità della Mongolia: il passaggio da un sistema socialista centralizzato a un libero mercato sviluppato a partire dagli anni 90 è stato così rapido che molti processi socio-economici sono sfuggiti a una regolamentazione che garantisse una piena sostenibilità. Tra questi ultimi, il mercato del cashmere è tra quelli che ha conosciuto il maggiore sviluppo. La Mongolia è il maggior esportatore di cashmere al mondo, seconda soltanto alla Cina. I pastori nomadi, incentivati dalle prospettive di guadagno, aumentano esponenzialmente il numero delle capre da cashmere, che rappresentano però la specie forse più devastante per l'ambiente: uno spettro trofico più ampio le rende meno selettive nella scelta del cibo mentre la capacità di superare ogni dirupo o parete rocciosa permette di raggiungere qualsiasi ambiente provocando un impatto negativo. Nel corso dei due ultimi decenni il numero delle capre si è triplicato e il conseguente sovrapascolo, soprattutto nelle zone aride di semideserto o in alta montagna, ha generato uno spopolamento progressivo degli ungulati selvatici con conseguenze a cascata su tutta la comunità animale. Il simbolo di questa trasformazione è il leopardo delle nevi, a rischio di estinzione perché costretto a vivere in territori sempre più ampi e meno densi di individui appartenenti alla propria specie. Oggi la “red list” degli animali in pericolo è a quota 21. Alcune agenzie organizzano dei grotteschi safari con uccisione preda garantita: per abbattere un lupo, simbolo stesso della libertà mongola, si chiedono 500 dollari, per far fuori una delicata gazzella dalla coda bianca ne bastano 350, per un ibex si arriva a 1.500. Una caccia all’orso di sette giorni costa meno di tremila dollari, per una decina di giorni di caccia all’argali si arriva a 43.000 dollari. Gli allarmi lanciati dalle associazioni ambientaliste hanno recentemente convinto il governo della Mongolia che permettere agli occidentali la caccia indiscriminata non sia un buon investimento per il Paese. Una normativa entrata in vigore nel 1995 regolamenta in senso restrittivo la caccia e impone controlli alle frontiere e nel 2002 il Parlamento mongolo ha approvato una legge che protegge il patrimonio faunistico e floreale mentre negli ultimi anni sono state introdotte pene severe per chi non rispetta l'ambiente e gli animali e sono stati inaugurate nuove aree protette, in particolare per il leopardo delle nevi. Ecco una breve scheda per ogni tipo di animale raro che ancora si può incontrare sul territorio mongolo. Testi di Mara Tamburino e Federico Pistone per mongolia.it (foto di Federico Pistone)
II leopardo delle nevi (nome scientifico: Panthera uncia. In mongolo: Tsookhor Irves) è un meraviglioso felino elusivo, perfettamente adattato a vivere a grandi altitudini (in Mongolia fino a 4.300 metri) ma purtroppo sempre più raro e in pericolo di estinzione. Trascorre un lungo letargo in inverno e partorisce in tarda primavera, fino a quattro cuccioli alla volta. La causa del suo declino è da imputarsi principalmente al bracconaggio a cui è ancora oggi soggetto, con il commercio di frodo della sua preziosa pelliccia, l'utilizzo della carne che ha presunte proprietà taumaturgiche e perfino delle ossa, impiegate dalla medicina tradizionale cinese in alternativa a quelle di tigre. C'è poi la caccia da trofeo di cui sono vittime assurde il leopardo delle nevi, così come lo stambecco siberiano (Capra sibirica) e l’Argali (Ovis ammon), ambitissimi per le loro sontuose corna. Nel palazzo d’inverno del Bogd Khan si può visitare una gher realizzata con centinaia di pelli di leopardo delle nevi, cucite insieme: un vero simbolo dell'orrore. Ma c'è un altro aspetto che minaccia il leopardo: con la diminuzione delle prede naturali, principalmente lo stambecco siberiano, il meraviglioso felino è costretto a cercare cibo nelle greggi dei nomadi che, per difenderle, preparano trappole con cappi e morse. Alcune organizzazioni internazionali conducono attivamente una campagna di raccolta fondi e sensibilizzazione. Esiste una rete di esperti rappresentata dallo Snow Leopard Network (l'unico network dedicato a una sola specie) che condividono i loro risultati in un sito web, dal quale è possibile scaricare gratuitamente le pubblicazioni sul leopardo delle nevi e consultare gli esperti del network. Organizzazioni internazionali come lo Snow Leopard Trust intervengono sul territorio insegnando ai nomadi come è possibile salvaguardare questo prezioso animale traendone anche dei benefici economici, con il commercio di piccoli manufatti equosolidali, mentre il Wwf organizza sul posto squadre anti-bracconaggio e punta sull’integrazione dei bisogni delle popolazioni locali con quelle del felino. Oltre al pattugliamento contro i bracconieri, si punta al coinvolgimento attivo dei pastori, con la creazione di recinti di pietra alti almeno 3 metri e coperti interamente da una rete metallica sul soffitto, nei quali proteggere di notte il bestiame d’allevamento. La Mongolia è considerata comunque una delle aree più sicure e importanti per la sopravvivenza della specie, ospitandone la seconda popolazione più numerosa del pianeta. La maggior parte degli avvistamenti di leopardi delle nevi è avvenuta nella parte centrale del Gobi Altai e alcuni esemplari sono stati segnalati nelle montagne del Khövsgöl. Nel 2005 il governo mongolo ha approvato e resa esecutiva la legge “Politica nazionale di protezione del leopardo delle nevi”, ed esistono numerose oasi naturalistiche dove questo affascinante felino è attivamente protetto: Grande Gobi. Hökh Serkh, Türghen Uul, Altai tavan Bogd, Silkeem A e B, Tsanbagaraav, Alag Khairkhan, Burkhan Buudai, Tsaagan Shuvuut; Otgontengher, Gobi Gurvansaikhan e nella zona del monumento naturale di Eej Khairkhan. Di recente la densa, e ben studiata, popolazione nella Tost Mountain del Sud Gobi è soggetta a salvaguardia, grazie alla protezione dell'area. Gli ultimi rilevamenti valutano la presenza di leopardo delle nevi in Mongolia intorno ai 1.000 esemplari. È difficilissimo avvistare questo felino solitario: per la scarsa densità di popolazione, la natura sospettosa e la grande capacità di mimetizzarsi nel suo ambiente. Nel dicembre 2016 il Wwf della Mongolia è riuscito a filmare una femmina di leopardo delle nevi insieme a quattro cuccioli e dal 2015 è partito un progetto di salvaguardia di questo leggendario felino con il coinvolgimento degli Alpini e del Muse di Trento. Il leopardo delle nevi è oggetto perfino di letteratura, in particolare nell'omonimo libro dello scrittore Peter Matthiessen del 1978 e nel recente Il leopardo e lo sciamano di Federico Pistone (Sperling & Kupfer) che racconta l'«incontro» attraverso una lunga immersione fisica e spirituale attraverso la Mongolia. Testo di Mara Tamburino e Federico Pistone per mongolia.it   
Il Cavallo Przewalski è chiamato Takhi, un bellissimo nome - Takhi in mongolo significa spirito - per un animale altrettanto bello, prezioso e longevo: può vivere fino a 30-34 anni. Le pitture rupestri in Francia e Spagna indicano che anticamente era molto diffuso anche in Europa ed è il progenitore dei cavalli domestici. Ora è molto raro e vive libero nei Parchi di Takhi e Khustain nuruu dopo essersi totalmente estinto in natura ed esser stato reintrodotto, grazie all'azione congiunta di vari zoo e associazioni, partendo da uno stock sviluppatosi da 15 esemplari sopravvissuti alla deportazione e alla caccia sconsiderata: veniva catturato per il muco verde e denso che si trova nella sua gola, ritenuto miracoloso dalla medicina tradizionale per la clorofilla contenuta. Ora il Takhi è protetto e sono vietate le ibridazioni con cavalli domestici. Attualmente vivono liberi in Mongolia circa 300 esemplarii. È recentissima la notizia della nascita di un puledro chiamato “Effie” in un allevamento di Takhi in cattività, nella lontana Australia. Esiste un’associazione internazionale per la protezione del Takhi, con sede in Svizzera: www.takhi.org attraverso la quale si può aiutare questo antichissimo e splendido animale a superare definitivamente il pericolo di estinzione.
Il Manuul o gatto di Pallas (dal nome dello zoologo che lo ha classificato per la prima volta) è un piccolo felino un tempo diffuso dalle sponde del Mar Caspio fino al Tibet ed alla Mongolia. Vive ad alte quote (fino a 4.000 mt) in zone fredde, aride e sassose e nelle steppe dell’Asia Centrale. Il gatto di Pallas è una specie quasi estinta a causa del bracconaggio intensivo subito negli anni passati per appropriarsi della sua straordinaria pelliccia, la più lunga e folta della famiglia dei felini; alcuni pensano che le razze a pelo lungo di gatto domestico derivino dal Manuul ma è una considerazione del tutto falsa, dal momento che il gatto di Pallas, appartiene a un genere distinto (Otocolobus), rispetto a quello di qualsiasi gatto domestico appartenente alla medesima specie del gatto selvatico (Felis silvestris). Di abitudini crepuscolari, il gatto di Pallas pesa dai 2 ai 4,5 kg e ha altre caratteristiche uniche: pupille che contraendosi restano subrotonde, zampe corte e testa molto appiattita con piccole orecchie basse sui lati del cranio, forse una strategia per mimetizzarsi fra la bassa vegetazione, quando caccia i piccoli mammiferi e gli uccelli che costituiscono la sua dieta. Il colore della pelliccia è grigio-rossastro, con striature su muso e coda e la punta del pelo bianca, il che gli conferisce un bizzarro aspetto “congelato”. In Mongolia, fra il 2005 e il 2007, sono stati condotti accurati studi a mezzo di radio-collare applicato su 27 gatti adulti (12 maschi e 15 femmine), con l’obiettivo di comprendere le abitudini e salvaguardare questa splendida specie che è strettamente protetta dalle leggi sulla caccia in Mongolia (ultimamente anche in Cina). Il risultato delle ricerche è stato presentato nella primavera 2007 da un gruppo di ricercatori riunitisi per l’occasione nella capitale Ulaanbaatar. Il gatto di Pallas è ormai raro: uno studio dell’Iucn riporta la cifra di soli 117 esemplari in tutto il mondo, dei quali 48 vivono negli Stati Uniti. Testo di Mara Tamburino  
L' Orso del Gobi (Ursus gobiensis - Mazaalai, Baavgai) è un piccolo splendido urside, endemico della Great Gobi A Special Protected Area, nella provincia del Gobi Altai, estremamente raro e protetto in quanto molto sensibile ai mutamenti ambientali. Dopo la caccia intensiva dei tempi passati che lo ha portato sull’orlo dell’estinzione, ora questo plantigrado vive nell'area più occidentale del Gobi mongolo, nelle zone montagnose a protezione totale di Atas Bogd, Shar Khuls, Tsagaan Bogd e occasionalmente si sposta sui rilievi del Gobi-Altai in cerca di cibo. È attualmente soggetto a un piano di conservazione che prevede l'istituzione di siti di foraggiamento È stimata una popolazione dell'orso del Gobi fra i 24 e i 40 individui adulti. Di seguito la singolare descrizione annotata nel libro “Il leopardo e lo sciamano” dal giornalista del Corriere della Sera Federico Pistone: Fuori dalla tenda sento una presenza. Qualcuno si sta mangiando i biscotti. E non sono topi. Con un gesto rapido mi libero delle coperte. Dallo spavento, a un gerbillo si stacca la coda che comincia a dimenarsi. È il modo, ereditato dalle lucertole, per distrarre un aggressore. Ricrescerà in fretta. Ma intanto è lì che si muove. Apro un piccolo pertugio della porticina di legno. Una fauce spalancata sta ruminando l’ultimo biscotto. È un piccolo orso del Gobi che si è spinto fin qui dalla fame. Ha un aspetto trasandato, una sorta di tenente Colombo che al posto dell’impermeabile sdrucito e bisunto indossa una pelliccia grigiastra arruffata e ha un muso da cane. Sembra che non sia ancora sazio. Mi chiedo perché non si nutra di gerbilli, vista l’abbondanza di queste creature. Sarà per la coda che si stacca. L’orso ora guarda verso la gher. Starà fiutando la mia presenza, ma credo non abbia nessuna voglia di carne umana perché con uno sbuffo di disappunto mi dà le spalle e riparte per il buio della notte. Quella creatura arruffata che ho intravisto nelle tenebre è uno degli animali più rari del pianeta, ancora di più del leopardo delle nevi. A causa della caccia sconsiderata e delle condizioni ambientali sempre più problematiche, la popolazione totale dell’orso del Gobi è stimata intorno alle venti unità.  
Cervo rosso (Cervus elaphus Linnaeus - Khaliun Buga) Oggetto di discussione tra i tassonomi (gli studiosi che classificano gli animali): alcuni lo riconoscono come una specie riconducibile al Cervus canadensis, discendente dai cervidi che fino a 10.000 anni fa popolavano la Beringia, la vasta prateria che si estendeva sul'attuale stretto di Bering. Con l'immersione della Beringia, la popolazione di cervi rossi si divise tra il Nord America e l'Asia orientale. Studi genetici rivelano un legame di parentela più stretto tra i cervi mongoli e quelli americani, rispetto a quelli europei. È il cervo più grande della specie, un animale maestoso che può pesare anche 300 chili. Vive nelle foreste montane e nei pascoli boschivi della Mongolia. Può colonizzare anche grandi affioramenti rocciosi (fino a 50 km quadrati) isolati nella steppa. È facile osservare grandi branchi di cervo rosso nei mesi di settembre-ottobre quando sono in fregola e si riuniscono numerosi nelle grandi pianure aperte. È classificato in pericolo dalle leggi mongole, pur se non globalmente minacciato di estinzione, poiché in alcune zone - specie nel Khentii - i bracconieri gli danno una caccia spietata, per vendere a caro prezzo il velluto dei suoi magnifici palchi di corna e altri organi, considerati preziosi dalla medicina tradizionale. Questa situazione ha portato al declino della specie di oltre il 92% negli ultimi 18 anni. Numerosi esemplari di cervo rosso vivono anche nel Parco Nazionale Khustain. Si calcola che l’attuale popolazione oscilli fra gli 8.000 e i 10.000 capi in tutta la Mongolia. (foto 1) Scoiattolo di terra (Spermophilus Alashanicus - Gozooroi Zuram) È un piccolo roditore che non risulta globalmente minacciato di estinzione, ma è alquanto raro in Mongolia. Anche se non esistono attualmente programmi mirati alla protezione, questo scoiattolo è incluso nelle specie rare nel Mongolian Red Book e si ritiene che sia più abbondante nel massiccio del Gurvansaikhan. Lo scoiattolo di terra vive nelle steppe, nelle regioni collinari e sui pascoli alpini, fino ad altitudini di 3200 metri nei territori di Ikh, Baga Bogd, Gurvansaikhan e sui monti Gobi Altai. Non esistono dati sulla effettiva consistenza delle popolazioni dello scoiattolo terrestre, ma il forte incremento degli allevamenti di bestiame, e il conseguente degrado dell’habitat, rappresenta un rischio per la sua futura sopravvivenza. (foto 2) Marmotta siberiana (Marmota sibirica - Mongol Tarvaga) È un simpatico roditore dalla folta pelliccia, stretto parente della specie che vive sulle nostre Alpi ed è noto per gli acutissimi fischi che lancia la “sentinella” per dare l’allarme al suo gruppo. Scava tane particolarmente elaborate che servono da rifugio a diversi altri piccoli animali. Prospera in vari ambienti, dalle steppe e praterie fino ai rilievi montuosi dell’Altai. Attualmente è in fortissimo declino a causa della caccia intensiva a cui è sottoposta per ricavarne carne, pellicce e il famoso olio di marmotta fortemente richiesto dalla medicina tradizionale per l’alto contenuto di corticosterone. Dall’abbondanza degli anni ’40 a oggi la popolazione di marmotte è scesa da 40 a 5 milioni di capi. Dal 2008 è stata vietata la caccia alla marmotta su tutto il territorio mongolo. (foto 3) Castoro eurasiatico (Castor fiber - Yevrazi minj) Si tratta della più grande specie di roditore vivente in Mongolia, dalla tipica coda larga e piatta adatta agli ambienti d’acqua dolce, è presente in quasi tutta l’Eurasia ed è in forte diminuzione, classificata prossima alla minaccia sul Red Book. Sono in corso azioni di ripopolamento del castoro eurasiatico lungo i corsi dei fiumi Khovd sulle montagne dell’Altai e Tes nella catena montuosa Khangai nel nord della Mongolia. Fin dal 1965 lungo il fiume Bulgan è stata istituita la riserva naturale del Bulgan Gol, proprio allo scopo di proteggere i castori. Diversi fattori ne minacciano l’esistenza, innanzitutto la caccia illegale per procurare pelli, carne e castoreo (una sostanza usata nelle industrie profumiere), poi il degrado del territorio con disboscamenti selvaggi e inquinamento delle acque. Inoltre nella parte cinese del fiume Bulgan è stata costruita una diga che impedisce la migrazione dei castori, frammentandone rovinosamente l’habitat. La popolazione attualmente è stimata intorno ai 300 esemplari. (foto 4) Topo delle piramidi (Allactaga elater - Daviaa alagdaaga) Appartenente all'affascinante famiglia dei Dipodidi (ratti canguro), questo minuscolo roditore detiene qualche primato: è il più piccolo del suo genere e ha un record di velocità di oltre 48 km all’ora. Compie grandi balzi sulle zampe posteriori, che sono quattro volte più lunghe di quelle anteriori. Globalmente non è una specie minacciata, ma in Mongolia è raro: circa il 42% degli esemplari di topo delle piramidi vive in aree protette. Non si conosce l’esatta entità della popolazione del topo delle piramidi, ma alcuni topolini sono stati avvistati lungo il fiume Bodonch e nella località Khonin Usnii, entrambe nel Gobi Züün gar, nella zona B del deserto, a protezione integrale. Una possibile minaccia è rappresentata dal drenaggio delle risorse idriche e dalle perduranti siccità dovute essenzialmente ai cambiamenti climatici in corso. (foto 5) Gerboa dalle lunghe orecchie (Euchoreutes naso - Sooton alagdai) Il gerboa dalle lunghe orecchie possiede, in rapporto alla sua corporatura, le orecchie più lunghe del regno animale (35% più lunghe della testa) e naturalmente un udito finissimo: gli serve per cacciare i piccoli insetti che rappresentano il 95% della sua dieta. È considerato molto raro e divide il suo habitat con gli altri tipi di gerboa, criceti e gerbilli nel deserto Trans Altai Gobi e nella zona Zam Bilkhiin Gobi. Nel mese di dicembre 2007 un gruppo di ricercatori della Società Zoologica di Londra ha filmato per la prima volta un gerboa dalle grandi orecchie. Questa bizzarra creatura salta come un canguro, possiede orecchie enormi, un musetto da porcellino e peli sulle zampette che hanno la stessa funzione di scarpe da neve: gli permettono di compiere grandi salti sulle sabbie del deserto. Gli scienziati lo hanno soprannominato “Mickey Mouse”, poiché è scaltro e comico come il fumetto, ma ha un bel morso e si difende con vigore: hanno dovuto indossare grossi guanti per poterlo maneggiare. Rappresenta milioni di anni nella storia dell’evoluzione e pur assomigliando ad un roditore appartiene ad una specie molto differente. Il gerboa a tre dita è una variante con orecchie molto più piccole e solo tre dita per zampa. È in pericolo globale di estinzione per mancanza d’acqua: vive quasi esclusivamente in Mongolia, ai confini con la Cina, nella zona del deserto Gobi Züün Gar. (foto 6) Gerbillo della Mongolia (Meriones tamariscinus - Sukhain Chichuul) Ancora un piccolo roditore elencato come raro nel Red Book sulla fauna della Mongolia. Ha un aspetto snello e la pelliccia più folta sul dorso, ed è stato introdotto in occidente come animale da compagnia; in cattività il gerbillo della Mongolia può vivere fino a 4 anni. Ha una particolarità curiosa: se minacciato la coda si stacca come quella di una lucertola disorientando il predatore. Vive nelle zone prosciugate dei fiumi Bodonch e Bulga nel deserto Gobi Züün Gar, come pure nella parte nord-occidentale dei rilievi Aj Bogd, nel Gobi Trans Altai, tutte zone semi desertiche o steppe con vegetazione sparsa, oppure scava tane nelle basse dune dove vegetano cespugli di tamerici eurasiatiche. Alcuni ricercatori dell’Alabama hanno scoperto che i gerbilli mongoli imparano presto a distinguere gruppi di vocali emesse dalla voce umana. Questi studi servono a comprendere la differenziazione uditiva, cioè come i bambini apprendono i vari suoni prima che questi diventino parole con significato compiuto. (foto 7) Asino selvatico (Hequus hemionis – Khulan) L’asino selvatico o Emione, che un tempo colonizzava gran parte del continente asiatico fino alla penisola arabica, ora è quasi ovunque estinto in tutto il suo territorio d'origine. Nel sud della Mongolia vive oltre l’85% di tutti gli esemplari “puri” esistenti al mondo, principalmente nelle aree a protezione totale del Grande Gobi e nei deserti Züün Gar Gobi e Trans Altai Gobi. È un animale ormai raro, dalle zampe snelle, grande testa, lunghe orecchie e mantello dai bellissimi colori che variano nelle due distinte sottospecie. L’esistenza dell’emione è strettamente legata alla presenza di acqua nel territorio dove vive: per trovare l’elemento vitale questo mammifero assai intelligente è in grado di scavare buche profonde più di 60 cm nel letto dei fiumi in secca, un’attitudine ben conosciuta e sfruttata dai pastori nomadi che, seguendo le sue tracce, sono in grado di dissetare il bestiame; durante l’inverno l’emione ricava il prezioso liquido mangiando la neve. La caccia all’Emione è proibita dal governo mongolo fin dal 1953 ma purtroppo il bracconaggio, alimentato dal traffico illegale di carne e pelli con la vicina Cina, è ancora stimato in circa 3.000 esemplari uccisi ogni anno. Anche l’incremento rapido delle estrazioni minerarie che ha fatto sorgere strade e nodi ferroviari prima inesistenti, come pure la costruzione della ferrovia Ulaanbaatar-Pechino, stanno causando una pericolosa frammentazione del suo habitat. Nel 2003 la popolazione stimata di asini selvatici era di circa 20.000 esemplari, sono ora in corso rilevamenti più accurati con la collaborazione di Istituti di ricerca internazionali. (foto 8) Cammello battriano (Camelus bactrianus ferus - Khavtgai Temee) È il grande re del Gobi, quasi certamente una specie distinta dal cammello battriano domestico, poiché fra quest’ultimo e il suo progenitore selvatico esistono numerose differenze morfologiche e vi è una sufficiente differenziazione genetica, per definire la specie come distinta dal parente domestico. Il cammello selvatico è più alto e slanciato, ha un maggior volume dell’encefalo e diversa forma del cranio. Questo straordinario animale è uno fra i più forti mammiferi del mondo, capace di sopportare escursioni termiche estreme che vanno dai - 40°C ai + 40°C. In alcune aree carenti di acqua dolce, il cammello selvatico si è addirittura adattato a bere acqua salata e gli scienziati non sono ancora riusciti a capire come faccia ad espellere l’eccesso di sale. È elencato come molto raro dalla legge mongola sulla fauna e fin dal 1930 ne è proibita la caccia; tutti gli esemplari esistenti in Mongolia vivono in zone protette nel deserto Trans Altai Gobi, dalle zone precollinari nella catena montuosa di Edren fino alla zona di Shiveet Ulaan, dai monti Khökh Tömörtei fino ai confini con la Cina. Proprio in Cina, nel Gashuun Gobi (Lop Nur), che per 45 anni è stata la zona d’elezione per i test nucleari cinesi, il cammello selvatico non solo è sopravvissuto agli effetti delle radiazioni, ma è persino riuscito a riprodursi naturalmente. Attualmente in Mongolia sono presenti circa 500 cammelli selvatici, e il pericolo maggiore per questo incredibile mammifero è dato dall’ibridazione con i cammelli domestici; questa pratica è molto seguita dagli allevatori, anche se non se ne comprendono le finalità. Altro motivo di preoccupazione per la sorte futura del cammello battriano selvatico è la predazione dei giovani esemplari ad opera dei lupi, e il cianuro di potassio usato illegalmente dai cercatori d’oro anche nelle aree di protezione, un veleno che contamina mortalmente le falde acquifere. (foto 9) Argali (Ovis ammon - Argali) L’argali, famoso per il bellissimo palco di corna che porta regalmente sul capo (arrivano a oltre 150 cm) è la pecora di montagna più grande del mondo. Purtroppo queste due caratteristiche lo hanno da sempre sottoposto a intensa caccia da parte dell’uomo. In Mongolia, dove esistono due sottospecie endemiche, la caccia all’argali è stata proibita fin dal 1953, salvo una quota di animali da abbattere a pagamento, concessa annualmente dallo Stato allo scopo di raccogliere fondi per la salvaguardia di questo splendido animale. La caccia illegale, sovente ad opera delle guardie di frontiera, ha ridotto del 72% il numero di argali negli ultimi 26 anni. Sono in corso diverse iniziative, anche a livello internazionale, per modificare questo trend negativo. Gli argali, nel periodo invernale, migrano dalle zone d’alta montagna fino alle pianure e sono presenti tutto l’anno nei rilievi più bassi del deserto del Gobi. Si riuniscono in grandi branchi fino a un centinaio di individui, la stagione degli amori inizia a metà settembre e termina all’inizio di Ottobre, con gli agnellini - uno o due per ciascuna madre - che nascono in aprile o maggio. La distribuzione territoriale è piuttosto ampia, si possono osservare negli habitat montani dell’Altai, nel Gobi Altai, nel deserto Gobi Züün Gar, nel deserto Trans Altai Gobi e nell’Alashan Gobi. Circa il 14% della specie vive in aree protette. Il numero totale di Argali presenti attualmente in Mongolia è stimato fra i 13.000 e i 15.000 capi. (foto 10) Gazzella della Mongolia o zeer (Procapra gutturosa - Tsagaan zeer) Lo zeer è un’antilope di medie dimensioni, endemica delle steppe e regioni semi-desertiche della Mongolia, dove si stima viva il 92/96% della popolazione globale di questa specie. È protetta dalle leggi statali e la caccia è regolamentata, ma solo l’8% vive in zone protette. Nel 1995 è stato proibito l’uso di veicoli a motore per inseguire questa particolare velocissima gazzella, ai trasgressori che catturano illegalmente lo zeer viene comminata una multa fino a 40 dollari Usa. Il mantello dello zeer è particolarmente bello, bruno lucente con toni rosacei, più chiaro nei mesi invernali, una caratteristica particolare è la macchia bianca a forma di cuore sulla parte posteriore; solo i maschi possiedono corte corna a forma di lira. Durante la stagione degli amori ai maschi si gonfia la regione del collo, una specie di “pomo d’adamo” che serve da richiamo per le femmine. Lo zeer è un grande migratore, si trasferisce in massa - enormi gruppi che possono contare migliaia di capi - alla ricerca dei pascoli; attualmente è stanziato nella parte centro-meridionale della Mongolia, in particolare nelle zone del Gobi, steppa Khalkh, e nella Valle dei Laghi. Di recente è stato avvistato nella provincia di Dornod e nella zona montagnosa del Khentii. Proprio a causa delle grandi migrazioni che compie, è difficile stabilire l’effettiva consistenza della popolazione di questa preziosa gazzella; dati recenti stimano un massimo di 2.670.000 esemplari. Sono in corso censimenti più accurati. (foto 11) Antilope saiga (Saiga tatarica - Bökhön) L’antilope saiga, sottospecie endemica della Mongolia, è un curioso mammifero della famiglia dei bovidi, il suo naso con il caratteristico prolungamento simile alla proboscide del tapiro è il risultato di un millenario adattamento alle polverose e severe condizioni dell’habitat in cui vive: escursioni termiche che vanno dai -50°C ai + 50°C nel Deserto del Gobi. Si ritiene che la funzione di questo organo così particolare sia quella di scaldare l’aria dei gelidi inverni mongoli durante la respirazione, riducendo nel contempo la perdita di liquidi nei mesi più caldi. Questo mammifero è in grave pericolo di estinzione, in Mongolia circa il 24% della specie vive in zone protette. Alla fine del 2007 un sistema ad alta tecnologia - speciali collari contenenti trasmettitori Gps - è stato adottato su una decina di esemplari, lo scopo è di monitorarne gli spostamenti e comprenderne le abitudini in modo da promuovere un adeguato programma di conservazione. La maggior parte della popolazione di antilopi saiga è stanziata in un’area ristretta divisa fra la Riserva naturale Sharga negli Altai e la grande depressione dei laghi, più a nord, nella riserva naturale di Mankhan. Si stima che l’attuale numero di antilopi sia di soli 1.500/2.000 esemplari, anche a causa delle epidemie periodiche che ne decimano la popolazione. (foto 12) Cervo muschiato siberiano (Moschus moschiferus - Khüder) Il cervo muschiato indossa una folta pelliccia di colore bruno con macchie bianche. Non possiede corna ma è adornato di lunghi canini che possono crescere fino a 10 cm di lunghezza, un po’ meno negli esemplari femmina, nei periodi di carenza di cibo si nutre di muschio e licheni. La ghiandola posta nella zona genitale dei maschi secerne il preziosissimo “muschio”, ingrediente base per l’industria profumiera e per numerosi rimedi usati nella medicina tradizionale. Ciascun maschio in tutta la sua vita produce solo 25 grammi di muschio, ma i cacciatori di frodo uccidono indiscriminatamente maschi, femmine e piccoli per impossessarsi dell’essenza; si stima che per ogni ghiandola di muschio acquisita vengano abbattuti quattro o cinque cervi. È questo il principale motivo del declino rapido della specie, insieme al restringersi dell’habitat naturale (grandi foreste di conifere e larici) a causa degli incendi e delle attività umane. Per preservare questo splendido mammifero e altri animali in pericolo, la Mongolia ha istituito diverse zone di protezione : i Parchi Nazionali Khorgo, Terkhiin Tsagaan Nuur (sulle montagne dell’Khangai), Khövsgöl nuur, Gorkhi Terelj, e le aree di protezione totale Bogd Khan Uul e Khan Khentii. Negli anni 1980/1986 il cervo muschiato aveva una popolazione di circa 44.000 individui, ora si stima che la densità abitativa sia scesa a meno di 0,2 esemplari per kmq. È auspicabile uno sforzo congiunto fra le tre nazioni - Mongolia, Russia, Cina - per portare a termine un censimento su basi scientifiche. Un’ultima curiosità: non è ancora stata risolta l’attribuzione tassonomica del cervo muschiato, alcuni scienziati ritengono appartenga alla famiglia dei Moschidae, altri alla famiglia dei Cervidae. (foto 13) Alce eurasiatica (Alces alces - Khandgai) In Mongolia esistono due sottospecie di alce, il grande cervide che può raggiungere il ragguardevole peso di 650 kg. Della prima - alces cameloides - esiste una piccolissima popolazione di una settantina di esemplari nell’area di protezione totale Nömrög, nella catena montuosa di Ikh Hyangan. La seconda sottospecie - alces pfizenmayeri - è più abbondante e popola le grandi foreste del nord, in particolare le montagne del Khentii e gli spazi lungo i fiumi Onon ed Kherlen, dove si nutre anche con le piante acquatiche. Questo bellissimo animale è capace di coprire enormi distanze, fino a 2.000 km, in cerca di cibo. Entrambe le specie di alce eurasiatica sono sottoposte a una forte pressione venatoria per i trofei di caccia (palchi di corna) e per la carne, specialmente dopo il declino degli altri grandi mammiferi. Anche la perdita di spazi e l’inquinamento delle acque dovuto al grande sviluppo della ricerca mineraria concorrono al decrescere delle popolazioni di alce in Mongolia. Un dato abbastanza impressionante: fra il 1926 e il 1985 un milione e mezzo di tonnellate di palchi sono state esportate in Russia. L’ultimo censimento è stato fatto nel 1989, con una popolazione stimata di poco più di 14.000 esemplari. (foto 14) Zibellino (Martes zibellina - Oin Bulga) La splendida fitta pelliccia invernale dello zibellino è - per sua disgrazia - famosa in tutto il mondo. In Mongolia non è in pericolo di estinzione, tanto che la caccia, totalmente proibita dal 1953 al 2000, ora è permessa in un breve periodo dell'anno, comunque circa il 20% degli esemplari vive in zone protette. Due le sottospecie presenti in Mongolia: la M.z.Princeps, che abita le foreste di larici e pini nelle regioni montagnose del nord, Khentii e Daguur e la M.Z.Averini, presente nella catena degli Altai. Lo zibellino è un carnivoro, abilissimo cacciatore dalle abitudini notturne; fissa la propria dimora in cavità del terreno, anfratti naturali fra le rocce oppure nelle cavità degli alberi. Nel corso degli incendi naturali che percorrono le foreste i cuccioli sono particolarmente vulnerabili in primavera, quando non escono ancora dalle tane e possono rimanere intrappolati dal fuoco. Non esistono censimenti recenti della popolazione di zibellini in Mongolia. Gli ultimi dati risalgono agli anni ‘70, quando la densità abitativa nella zona del Khentii era stimata essere all’incirca di 10.000 esemplari, vale a dire 11,7 individui ogni 1.000 ettari. (foto 15) Gazzella persiana (Gazella subgutturosa - Khar süült) È una piccola elegante antilope, molto veloce e resistente nella corsa. Una volta la gazzella persiana era ampiamente diffusa nelle aree desertiche e semi desertiche dell’Asia Centrale e del Medio Oriente e sino a pochi anni fa molto comune in Mongolia. La caccia intensiva e la distruzione progressiva del suo habitat negli ultimi 50 anni ne ha causato un rapido declino, tanto che attualmente il 40-50% della popolazione mondiale di questa gazzella vive in Mongolia ed è stata di recente riclassificata in una situazione intermedia tra “prossima alla minaccia” e “vulnerabile”, come classificata dalla Red list della Iucn, l'Organizzazione mondiale per la salvaguardia della natura. Solo il maschio possiede le corna, che sono anulate dalla base all’apice e possono raggiungere i 115 cm. di lunghezza. Come la cugina gazzella mongola (Zeer), il maschio esibisce una laringe sporgente a mo’ di “pomo d’ Adamo”, molto più accentuato nella stagione degli accoppiamenti. È presente in abbondanza nel deserto Gobi Züün gar, ma vive anche nella depressione dei Grandi laghi, nella Valle dei Laghi e nei deserti Gobi Trans Altai e Eastern Gobi. Migra stagionalmente, raggiungendo d’estate altitudini di 2.700 metri in montagna, in cerca d’acqua e cibo. La popolazione stimata negli anni ‘90 era di 60.000 capi, sono in corso censimenti più accurati in collaborazione con organismi internazionali. (foto 16) Renna (Rangifer tarandus - Tsaa Buga) La renna selvatica, tipica dei climi freddi, è un cervide dalla pelliccia fitta e ispida, con ricca criniera sul collo e larghe zampe che le permettono di camminare agilmente nella neve; i grandi palchi di corna ramificati che terminano con una formazione palmata servono all’animale per scavare nella neve in cerca dei muschi e licheni, suo principale nutrimento. Diversamente da tutte le altre specie di cervidi, i palchi delle renne crescono annualmente in entrambi i sessi. In Mongolia vive la sottospecie R.t.Valentinae in due distinte popolazioni stanziate sulle montagne del Khövsgöl, nelle foreste ricche di muschi che si trovano lungo i fiumi Jodog, Byaranga, Tenghis, Narin Hoo, Sharga, Kheven, Zaluu Üür e stagionalmente migra in cerca di cibo, ma senza coprire lunghe distanze. La caccia di frodo e la condivisione del territorio con le renne domestiche sono determinanti nell’attuale declino delle renne selvatiche in Mongolia. Si sono verificati casi di contagio di una grave malattia - la brucellosi - e sono stati registrati episodi di ibridazione con il bestiame domestico. La popolazione stimata è di circa 1.000 renne selvatiche, ma non esistono dati recenti sull’effettiva consistenza dei branchi in Mongolia. (foto 17) Il cane mongolo (Bankhar) L’alleanza fra i nomadi e il cane è antichissima, molte pitture rupestri dimostrano che nell’Asia Centrale i pastori lo usavano per cacciare e sorvegliare le greggi. Nelle sepolture degli Unni sono stati rinvenuti oggetti raffiguranti la caccia con i cani, oppure cani cremati insieme al padrone nei riti funebri. Antiche fonti storiche cinesi descrivono i cani degli Unni come “grandi cani molto feroci, con gambe forti e torace largo” e questa razza non ha quasi subito variazioni da allora. In Mongolia ogni nomade possiede almeno due o tre esemplari di cane mongolo che vivono all’aperto anche durante i rigidissimi inverni, magari accucciati su una semplice piattaforma di legno, ma ben nutriti e accuditi. Il rispetto del mongolo verso il proprio cane è rafforzato da una legislazione antica, già nel Codice delle Leggi (1640-1709) erano previste pene per chi battesse o uccidesse un cane e questa regola è stata osservata e applicata fino al 1921. Come d’uso per l’amato cavallo, anche il cane veniva sepolto in luoghi rialzati, in modo che nessun piede ne potesse calpestare i resti. La coda dell’animale veniva recisa e posta sotto il capo come un cuscino, in bocca veniva introdotto un pezzetto di grasso mentre si recitava una formula di commiato che augurava al cane di rinascere in forma di uomo. Sono quattro le principali razze di cani in Mongolia: il Garz, un mastino tibetano usato principalmente come cane da guardia; il Taiga, un laika siberiano usato per la caccia; il Borts, un segugio originario dell’Asia Centrale e infine il Cane Mongolo, che alcuni ricercatori ritengono il solo autoctono. È un cane che rassomiglia molto al mastino tibetano ma possiede tratti fisici e morfologici differenti. Il vero cane mongolo ha una caratteristica particolare: un paio di macchie gialle o brune sopra agli occhi, che attestano la purezza della razza, anche se non è riconosciuta a livello mondiale. Questo imponente animale abbaia con tono basso e profondo, ha un udito finissimo (può sentire il fischio del padrone a una distanza di 250-300 metri) e pur non possedendo l’odorato incredibile del cane pastore alsaziano può seguire tracce per 20 o 30 km. Ha il pelo lungo e molto folto, alcuni usano lisciarlo con del grasso, in modo che il collo somigli alla criniera di un leone. Con il soffice sottopelo del proprio cane pettinato in primavera, le donne mongole confezionano calze invernali che lasciano il piede asciutto e caldo anche durante gli inverni più gelidi. Il cane mongolo non aveva un carattere facile al tempo degli Unni e da allora non è molto migliorato. Anche al giorno d’oggi il nomade che si avvicina a cavallo ad una gher fin da lontano avvisa della sua presenza con un grido, in modo che il padrone di casa abbia tempo di richiamare i cani, che sono sempre liberi, e ordinar loro di non toccare l’ospite. Il cane mongolo è un animale piuttosto pigro nell’obbedire agli ordini, ma al momento del bisogno, quando un branco di lupi attacca le pecore, mostra tutto il suo coraggio e una mortale efficienza. È l’unico animale domestico a ricevere l’onore di un nome proprio; in Mongolia gli altri animali - persino l’adorato cavallo - vengono chiamati con un nome che ne richiama il colore o la forma, ma il cane mongolo è, a tutti gli effetti, un membro della famiglia. (foto 18) Testi di Mara Tamburino per mongolia.it
Il cielo blu della Mongolia, uno dei più remoti e intatti territori del pianeta, ospita 457 specie diverse di uccelli, nessuna fra queste è endemica ma ben 245 specie trovano in queste terre estreme il territorio ideale per la riproduzione, 81 vi risiedono in permanenza, e 10 vi svernano. E ancora: sono 52 le specie migranti che attraversano di passaggio la Mongolia, 60 le presenze occasionali e 9 le specie di uccelli migratori che vi trascorrono l’estate. Anche se oggi sono in numero esiguo, gli ornitologi e i birdwatchers mongoli sono in costante aumento e ciò fa ben sperare per il futuro, poiché esistono ancora molte zone non adeguatamente studiate a causa delle difficoltà  che presenta lo studio di popolazioni disperse su un’enorme estensione di territorio, dove sovente non esiste alcuna strada.  Malgrado ciò gli habitat chiave (IBA – Important Bird Areas – vedi mappa) a oggi identificati sono 70, vale a dire circa il 5% del territorio nazionale. Fra questi già 23 IBA’s sono inclusi in aree a protezione totale, 6 sono solo parzialmente inclusi e 41 risultano attualmente non protetti, anche se alcune zone sono tutelate in quanto ricadono nel trattato internazionale di Ramsar, che la Mongolia ha sottoscritto. Ciascuno di questi territori presenta uno o più requisiti essenziali fra quelli stabiliti da Birdlife International, il massimo organo mondiale per lo studio e la salvaguardia degli uccelli, dal quale abbiamo tratto la maggior parte delle notizie. (foto 1)   OCA CIGNOIDE Swan Goose - Anser cygnoides (foto 2) 2009 IUCN Red List  VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 60.000 /80.000 in decrescita L’Oca Cignoide è un grande anatide (81-94 cm. ) che frequenta le zone umide di steppe e foreste, delta dei fiumi, laghi e zone paludose, come pure il corso dei torrenti di montagna. Recenti ricerche su individui inanellati e monitorati via satellite hanno rivelato che queste oche migrano a tappe, fermandosi in numerosi siti lungo il percorso fra le zone di nidificazione e quelle di svernamento. Si riunisce in grandi stormi a fine  Luglio, quando muta le penne prima di migrare. Questa specie è stata inclusa fra le vulnerabili in seguito alla diminuzione delle nascite avvenuta in anni recenti a causa della siccità e degli incendi. Anche lo sviluppo dell’agricoltura e l'eccessivo sfruttamento a pascolo ha causato impoverimento e perdita degli habitat, mentre il livello di predazione da parte dei cacciatori, specie in Cina dove sono ricercatissime le uova, è diventato ormai insostenibile. E’ importante sottolineare che oltre l’80% della popolazione mondiale di Oca Cignoide si trova in Mongolia ed è localmente protetta. OCA LOMBARDELLA MINORE Lesser White-fronted Goose - Anser erythropus (foto 3) 2009 IUCN Red List  VU = Vulnerabile Stima popolazione globale:  20.000 / 25.000 in decrescita L’oca minore (53-66 cm.) è una instancabile migratrice, dai siti di nidificazione della Russia artica raggiunge  ogni anno in Settembre le zone di svernamento nella Cina dell’est e nella penisola coreana, attraversando le grandi steppe dell’Asia. Nidifica in coppie in zone isolate, ma dopo la nascita dei piccoli si riunisce in grandi gruppi gregari presso i laghi ed i fiumi, nascondendosi ai predatori fra le erbe alte e le canne palustri. E’ una specie erbivora che si nutre di foglie, frutti e parti verdi di piante acquatiche e terrestri. Questo uccello è vulnerabile a causa di diversi fattori: l’incremento del turismo e della pesca nelle zone di nidificazione, la caccia illegale in primavera, il deterioramento e la perdita dell’habitat, come pure la predazione nei nidi da parte della volpe rossa (Vulpes vulpes). Studi recenti indicano che entro il 2070 sarà perduto il 28% dell’habitat dell’oca minore, anche la grande diga cinese delle Tre Gole ne ha ulteriormente ipotecato il futuro. ALZAVOLA ASIATICA Baikal teal – Anas formosa (foto 4) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 500.000/700.000 in decrescita L’alzavola asiatica è una piccola anatra (39-43 cm) dai disegni e colori affascinanti. E’ una specie gregaria, tende cioè a riunirsi in grandi stormi che dalle zone di nidificazione della Siberia, ricche di corsi d’acqua e paludi attorniate da larici e salici, migrano verso le zone di svernamento nella Corea del nord, attraversando la Mongolia. Durante il giorno rimane in acqua al riparo delle erbe palustri ma la sera esce in cerca di cibo, in prevalenza semi, lumache d’acqua, alghe, piante acquatiche e cereali. Quest’ultimo cibo è fra le cause del rapido declino della specie, poiché gli agricoltori avvelenano i chicchi di cereali per proteggere il raccolto. La caccia intensiva ha da sempre rappresentato la principale minaccia alla sopravvivenza dell’alzavola e purtroppo è ancora molto praticata, ma anche la sempre più frequente riconversione delle tradizionali risaie in appezzamenti destinati all’agricoltura e ad altri usi sottrae habitat prezioso per la specie. L’abitudine di riunirsi d’inverno in stormi molto numerosi moltiplica i rischi di infezioni: nel 2002 oltre 10.000 alzavole sono morte a causa della peste aviaria. MORIGLIONE DI BAER Baer’s Pochard – Aythya Baeri (foto 5) 2009 IUCN Red List  EN = Pericolo di estinzione Stima popolazione globale: 5.000 in decrescita Con i suoi particolari occhi chiari e la livrea scura, il moriglione di Baer è una bellissima anatra di discrete dimensioni (41-46 cm) purtroppo classificata in pericolo di estinzione (EN). Nidifica in Russia nel bacino dei fiumi Ussuri e Amur e nel nord-est della Cina, ben nascosta fra la vegetazione acquatica, oppure in stagni circondati da fitta foresta dove talvolta costruisce un nido galleggiante.E’ una nuotatrice formidabile, può rimanere immersa per circa 40 secondi raggiungendo profondità di oltre 2 metri in cerca di molluschi, gamberi, pesce ed alghe durante la stagione di cova,  piante acquatiche e semi nel corso della migrazione. In Mongolia è migrante assai rara e protetta dalla Legge. Non sono interamente chiari i motivi del forte declino del moriglione, ma si ritiene che la caccia, specie in Cina, sia fra i maggiori responsabili insieme alla progressiva distruzione delle zone umide dove nidifica e di quelle dove passa il periodo di svernamento. E’ di vitale importanza che questa specie venga protetta legalmente in tutto il suo habitat. GOBBO RUGGINOSO White-headed Duck – Oxyura leucocephala (foto 6) 2009 IUCN Red List  EN = Pericolo di estinzione Stima popolazione globale: 7.900/13.100 in decrescita Anche il gobbo rugginoso è attualmente in fortissimo declino, un tempo stanziale in Italia (ultimi individui avvistati in Sardegna nel 1976) e in altri Paesi del Mediterraneo, attualmente è residente solo più in Spagna, Algeria e Tunisia. E’ un’anatra piuttosto grande (43/48 cm), dal particolarissimo becco color azzurro vivo, che oltre ai pericoli di estinzione derivanti da caccia e distruzione dell’habitat, deve fronteggiare anche un ostacolo forse insuperabile: da alcuni allevamenti inglesi è fuggito il gobbo della Giamaica (Oxyura jamaicensis) molto più adattabile e resistente, si è riprodotto con gli esemplari spagnoli e gli ibridi stanno rapidamente colonizzando il  vecchio Continente giungendo fino in Asia. Sono quasi indistinguibili dagli originali e ciò rende molto più arduo il progetto di reintroduzione negli antichi habitat europei. Circa il 50% dei siti di nidificazione è andato distrutto nel corso del 20° secolo, molte delle rimanenti oasi di ripopolamento sono minacciate da siccità, inquinamento, pesca e avvelenamento dal piombo delle cartucce usate per la caccia. In felice controtendenza con il generale andamento negativo della specie, il gobbo rugginoso appare in crescita in Mongolia, dove nidifica. PELLICANO RICCIO Dalmatian pelican – Pelecanus crispus (foto 7) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 10.000/13.000 in decrescita Il pellicano riccio è un uccello enorme (160/180 cm) che nidifica nell’est Europa, in Asia centrale e orientale.La sua popolazione è attualmente piuttosto stabile dopo il massiccio declino registrato nel corso degli ultimi 200 anni. Ma in Mongolia, dove pure nidifica, è in forte diminuzione, tanto da essere ormai considerato “quasi estinto”. Normalmente si riunisce per la riproduzione  in grandi colonie fino a 250 coppie strettamente monogame, costruendo il nido fra la densa vegetazione acquatica di fiumi, estuari e zone umide, sovente su terreno collinoso. Si ciba quasi esclusivamente di pesce, gamberetti, anguille e molluschi, a seconda delle specie che trova nei diversi habitat che frequenta. In generale questa specie è in declino a causa del prosciugamento delle zone umide, della caccia e della distruzione dell’habitat; anche la morte per collisione con i fili delle linee elettriche e l’avvelenamento da cloruri, incluso il DDT, sono pericoli costanti per il pellicano riccio. In Mongolia il pellicano è protetto  (nel Parco nazionale del lago Khar Us c’è uno dei più importanti siti di nidificazione), dunque la caccia è illegale ma molto lucrosa per i bracconieri, poiché per antica tradizione gli allevatori di cavalli ritengono che usare la parte superiore del becco di pellicano come striglia per governare il proprio animale lo renda più forte e veloce. Attualmente al mercato nero un becco di pellicano (pelican bills) può essere scambiato con 10 cavalli e 30 pecore, un’enormità destinata a crescere poiché questi grandi uccelli in Mongolia sono sempre più rari, quindi sarà un business irresistibile per cacciatori di frodo. Per combattere questo stato di cose nel 2005 alcuni scienziati mongoli, in collaborazione con Oriental Bird Club, hanno intrapreso un’opera di sensibilizzazione dei nomadi a mezzo stampa, unita alla distribuzione di poster fra la popolazione e nei Parchi nazionali e regionali. FALCO GRILLAIO Lesser Kestrel - Falco Naumanni (foto 8) 2009 IUCN Red List  VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 140.000 in decrescita È un piccolo splendido gheppio (29-32 cm), in forte declino (meno 95% dal 1950) in Europa occidentale e nei territori di svernamento in Sud Africa, molto più presente nei suoi habitat asiatici. Non è ancora chiaro se questo rapace  stia cambiando i propri territori di svernamento, visto che nel 2007 è stato scoperto in Senegal un enorme posatoio dove sono stati contati oltre 28.000 individui. Il Falco grillaio presenta un dicromatismo sessuale molto pronunciato, in particolare il maschio si distingue per gli splendidi colori: dorso color rosso mattone, testa e coda color grigio-azzurro e striscia scura sulla lunga coda e sul contorno delle ali appuntite, il ventre è color crema rosato con piccole striature brune. Le sue caratteristiche di vista acutissima, artigli acuminati e becco possente ne fanno un cacciatore abilissimo, capace di piombare silenzioso sulla preda, afferrarla con gli artigli e ucciderla rapidamente con un unico colpo di becco sul retro del capo.In Mongolia il Falco Grillaio nidifica in colonie più o meno numerose, prediligendo zone aperte e steppose e praterie naturali o coltivate, dove si ciba principalmente di piccoli invertebrati o rettili. Il rapido declino di questa specie è dovuto soprattutto alla riduzione del suo habitat per l'introduzione di coltivazioni intensive che fanno uso di pesticidi; questi ultimi sono raramente causa diretta di mortalità, ma riducono fortemente il numero delle prede a sua disposizione. FALCO SACRO Saker Falcon – Falco Cherrug (foto 9) 2009 IUCN Red List  EN = Pericolo di estinzione Stima popolazione globale: 7.200/8.800 in decrescita Il rapidissimo declino, specie nelle zone di nidificazione in Asia centrale, del falco sacro, un grande rapace (47-55cm) presente anche in Europa, è in gran parte dovuto al livello insostenibile di catture di esemplari da destinare alla falconeria, oltre che al degrado dell’habitat e ai micidiali effetti dei pesticidi usati in agricoltura. Proprio in Mongolia, nel 2003, circa 3.500 km2 di steppa vennero irresponsabilmente irrorati con il bromadiolone, un potente derattizzante,  per combattere un eccezionale incremento di nascite dei piccoli roditori: una minaccia per i raccolti. Secondo gli ecologisti presenti nell’area, oltre 340 uccelli furono trovati morti o morenti, ma le perdite totali potrebbero essere state di molto superiori.  Il Falco Sacro si ciba prevalentemente di piccoli roditori dalle abitudini diurne ed è un cacciatore formidabile, le sue caratteristiche fisiche perfette gli consentono grande agilità e velocità anche quando sfiora il terreno per catturare le prede.  E’ di vitale importanza che vengano messe in atto severe misure di controllo sul commercio di falchi. Questa particolare specie rischia l’estinzione, non solo perché un grande numero di esemplari muore dopo la cattura, ma anche perché gli esemplari di falco ibridati dall’uomo a volte sfuggono alla cattività o vengono incoscientemente rilasciati in natura, e gli accoppiamenti con questi individui ibridi sono deleteri per l’integrità genetica della popolazione selvatica. AQUILA DI MARE DI PALLAS Palla’s fish-eagle – Haliaeetus leucoryphus (foto 10) 2009 IUCN Red List  VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 2.500/9.999 in decrescita È una grande aquila (78/84 cm) dal piumaggio bianco sul capo e caratteristica vistosa fascia, anch’essa bianca, sulla coda. E’ presente in gran parte dell’Asia, ma è in Mongolia che trova territori ideali in cui nidificare, anche se è poi costretta a migrare verso il Sud durante i rigidissimi inverni mongoli quando molti corsi d’acqua ghiacciano. Il vasto areale di diffusione dell’Aquila di mare di Pallas può trarre in inganno circa la vitalità della specie, poiché questo splendido rapace è comunque raro e isolato nei territori in cui vive, e in molti di questi non può nidificare. Solo lungo fiumi, laghi e zone umide incontaminate l’Aquila di mare di Pallas costruisce il proprio nido, generalmente su grandi alberi attigui a corsi d’acqua ricchi di grandi pesci, suo nutrimento fondamentale. Con la femmina forma una coppia monogama ed entrambi i genitori si occupano di nutrire i piccoli finché non sono pronti all’involo. E’ una cacciatrice opportunista dall’istinto piratesco: forte della sua notevole agilità e stazza può costringere gli altri uccelli a cederle la preda appena pescata. Si ciba anche di rane, tartarughe, rettili acquatici e nidiacei.  Come per altre specie, i pericoli maggiori per la sua sopravvivenza derivano dall’intervento dell’uomo. Prosciugamento di paludi, inquinamento, caccia (specie in Cina) e pesca intensiva sono fra i fattori che ne stanno pesantemente pregiudicando il futuro. AQUILA ANATRAIA MAGGIORE Greater Spotted eagle – Aquila clanga (foto 11) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 5.000/13.200 in decrescita L’aquila anatraia maggiore è di taglia media (62-74 cm), ha un piumaggio bruno scuro leggermente più chiaro sulle remiganti ed è abbastanza facile confonderla con altri tipi di aquila (A.nipalensis, A.rapax, A.heliaca). Il suo areale di diffusione è piuttosto frammentato, fra il Nord Europa e l’Asia, principalmente Cina e Mongolia. E’ una migratrice che sverna in piccoli gruppi in una vasta area, compresa l’Europa centrale e orientale e gli ultimi rilevamenti mostrano che la popolazione è in declino, anche se è d’obbligo sottolineare la difficoltà di identificazione di questo rapace. Come la sua cugina Aquila di mare di Pallas, nidifica su alti alberi presso i corsi d’acqua e si nutre di piccoli mammiferi, rane,serpenti e occasionalmente pesci. Un pericolo per la conservazione di questa specie è rappresentato dall’ibridazione con l’Aquila anatraia minore (Aquila pomarina) che appare decisamente più numerosa e ne sta occupando gli habitat ; non è chiaro se l’ibridazione sia un fenomeno naturale o una conseguenza della difficoltà di formare una coppia.  Questo rapace non sopporta la presenza dell’uomo nei propri territori e le operazioni di silvicoltura, unite alla caccia illegale e all’espansione dell’agricoltura intensiva, ne stanno accelerando il declino. AQUILA IMPERIALE Eastern Imperial eagle – Aquila heliaca (foto 12) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 5.200/16.800 in decrescita Non è ancora certo se l’Aquila imperiale nidifichi regolarmente in Mongolia, la popolazione globale è piccola, molto frammentata e necessita di studi più approfonditi. E’ un grande rapace (75/84 cm) dalla livrea scura con collo e capo color crema dorato, in Europa è ormai ridotto a poco più di un migliaio di coppie che fortunatamente appaiono in incremento in Ungheria e Slovacchia. E’ una specie di pianura che è stata costretta a rifugiarsi a grandi altitudini a causa della caccia e della perdita di habitat. Il maschio e la femmina dell’Aquila imperiale formano una coppia monogama a circa cinque anni d’età, costruiscono il nido sulla cima di alti alberi e rimangono uniti per tutta la vita. Generalmente questo bellissimo rapace caccia in solitaria nelle immense steppe asiatiche, in particolare piccoli mammiferi, con preferenza per un piccolo scoiattolo terrestre (Spermophilus citellus) che sta diventando più raro,  si nutre inoltre di rettili, di altri uccelli e non disdegna le carogne. La sua vista acutissima gli permette di avvistare le prede da lontano mentre veleggia maestoso in cielo, ma è anche abile ad appropriarsi del cibo di altri uccelli, ottenendo a volte in tal modo la maggior parte del suo nutrimento. L’Aquila imperiale, oltre che per il progressivo ridursi del suo areale, è anche minacciata dall’impatto con i tralicci elettrici che trova lungo le rotte migratorie e dalla predazione dei nidi da parte dei  bracconieri che alimentano uno sciagurato commercio illegale. OTARDA Great Bustard – Otis tarda (foto 13) 2009 Iucn Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 45.000 in decrescita L’Otarda è un grande (75/105 cm) gruiforme onnivoro che indossa regalmente i suoi splendidi colori bianco-grigio-bruno-dorato; durante il periodo degli amori il maschio sfoggia un paio di vistosi baffi bianchi e una banda di piume rossastre alla base del collo e sulla coda. E’ diffusa dall’Europa – principalmente in Spagna - all’Asia centrale, mentre in Mongolia si contano circa 1.000 individui nidificanti. Un importante progetto di reintroduzione è in corso nel Regno Unito. La maggior parte della popolazione di Otarde migra durante la stagione invernale verso le grandi steppe aperte dove trova in abbondanza il suo nutrimento a base di insetti, semi, frutti, ma anche bacche, bulbi e lucertole. In generale predilige le ampie pianure coltivate a cereali, dove l’impatto delle attività umane è minimo, costruisce il suo nido nel terreno, essendo incapace di appollaiarsi sui rami degli alberi. Pure se in lontananza il suo volo può rassomigliare a quello di un rapace, l’Otarda non riesce a planare ed è un uccello timido e diffidente, difficile da osservare perché al minimo allarme si nasconde nell’erba rimanendo pressoché invisibile e piuttosto raramente si invola.E’ un uccello che, se scampa ai numerosi pericoli che deve fronteggiare  (nel primo anno di vita la mortalità è dell’80%) può vivere fino a 15/20 anni. La crescente frammentazione del suo habitat, unita alla costruzione di steccati, linee elettriche, nuove coltivazioni intensive, riforestazione, incendi e caccia illegale inducono gli esperti a prevedere una netta riduzione della specie nel giro di tre sole generazioni. UBARA GRANDE Houbara Bustard – Chlamydotis undulata (foto 14) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 49.000/62.000 in decrescita L’Ubara Grande è anch’esso un gruiforme. È uno strano robusto animale (60/75 cm) dalle forti zampe e dal particolare piumaggio mimetico color sabbia con macchie scure e ventre bianco. Sul capo ed alla base del collo il maschio possiede delle speciali piume erettili che mette in mostra durante la sua sofisticata  danza di corteggiamento. E’ un uccello solitario, perfettamente adattato a vivere in luoghi desertici, aridi e sassosi, dove si nutre prevalentemente di serpenti, grilli, locuste e piccoli invertebrati, come pure di semi e germogli vari. Le popolazioni presenti in Mongolia, per superare i freddissimi inverni, migrano verso l’India e l’Asia occidentale dove possono trovare un habitat ideale. Negli ultimi 20 anni la popolazione globale dell’Ubara si è ridotta di oltre il 35%, principalmente a causa dell’insostenibile livello di caccia che i falconieri  medio-orientali praticano tradizionalmente con i rapaci ammaestrati. Il crescente degrado dei territori dove vive e si riproduce non fa che aggravare il  triste rapido declino della specie. E' di vitale importanza che la caccia all'Ubara venga regolamentata a livello internazionale. GRU SIBERIANA Siberian Crane - Grus leucogeranus (foto 15) 2009 IUCN Red List  CE = In pericolo critico di estinzione Stima popolazione globale: 3.200 in decrescita Delle tre specie di gru universalmente in pericolo, quella Siberiana è la più minacciata, principalmente a causa della costruzione della Diga delle tre Gole, in Cina. Si teme che la perdita  di grandi estensioni di territorio, dove la maggior parte della popolazione di Gru Siberiana svernava, possa portare questo magnifico uccello all’estinzione già nel giro delle tre prossime generazioni. Fra le 15 specie di gru esistenti al mondo, la Siberiana è la più specializzata, quella che richiede un habitat particolare. E’ una grande gru (140 cm) migratrice completamente bianca, dalla caratteristica maschera facciale rossa che si estende fin sopra agli occhi, ha una voce melodiosa e musicale, simile al suono di un flauto. Particolarità unica nel mondo delle gru, la Siberiana possiede un becco dentellato che le permette di nutrirsi agevolmente anche di radici o di prede limacciose. E’ onnivora come tutte le gru. In Mongolia è presente d’inverno solo in una piccola porzione di territorio, al confine fra Russia e Cina ed è protetta dalle leggi sull'ambiente. Nidifica nella taiga e nella tundra siberiana dove sceglie di preferenza bassi acquitrini, paludi di marea e altre zone umide che presentino ampia visuale. In generale sceglie un habitat non frequentato dall’uomo ed è in pericolo anche a causa della caccia e all'uso di pesticidi. I cambiamenti climatici rappresentano la minaccia più grave a lungo termine, poiché lo scioglimento del permafrost causa l’espansione delle acque con conseguente perdita degli isolotti e dei bassi tratti di costa dove questo splendido uccello nidifica. GRU COLLOBIANCO White-naped Crane – Grus Vipio (foto 16) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 6.500 in decrescita La Gru Collobianco, leggermente più piccola della Gru Siberiana (125 cm), nidifica principalmente nell'est della Mongolia, nella Dauria (al confine fra Russia, Mongolia, Cina)  e nel bacino dei fiumi Amur e Ussuri in Russia, migra poi verso il sud della Cina fino alla penisola coreana, nella zona demilitarizzata fra le due Coree, e in Giappone. E’ stata classificata vulnerabile a causa del  declino che sta subendo la sua popolazione, principalmente per la perdita di territorio dovuta alle attività umane e all’effetto ambientalmente disastroso della grande diga sullo Yangtze. Ha una elegantissima livrea color grigio-ardesia con strisce bianche sul dorso. Il collo è completamente bianco, con una linea scura sinuosa come un segno calligrafico, e una vasta area priva di piume intorno agli occhi, color rosso vivo. Quando ritorna ai luoghi di nidificazione in primavera, ogni Gru collobianco è in grado di ritrovare il compagno dell’anno precedente inscenando un complicato rituale di richiami. Costruisce il nido a terra fra le alte erbe palustri e si ciba di insetti, piccoli vertebrati, semi e parti di piante acquatiche. In Mongolia siccità, incendi primaverili e sfruttamento intensivo dei pascoli mettono in pericolo la nidificazione di questa bellissima gru che è comunque protetta nel Paese e a livello internazionale. GRU MONACA Hooded Crane - Grus monacha (foto 17) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 2.500/9.999 in decrescita È una piccola gru (100 cm) nidificante in zone talmente remote della Siberia sud-orientale che i biologi ne hanno localizzato il primo nido solo nel 1974!  Appare più tozza delle sue cugine alte ed eleganti, con la sua livrea color ardesia scuro, collo e testa bianchi, ma gli adulti hanno una particolarità unica: una zona rossa e calva sul capo, da dove spuntano delle setole nere che sembrano una corona. Vive in un territorio molto ristretto, costruisce il nido fra paludi boscose, piatte zone di acquitrini e pianure alluvionali, prevalentemente nella zona del permafrost. Da alcuni indizi si ritiene che nidifichi anche nel nord della Mongolia. Oltre l’80% delle Gru monache sverna in Giappone, sull’isola di ripopolamento Kyushu dove viene nutrita artificialmente, anche se esiste la possibilità che grandi concentrazioni di uccelli possano risultare fatali alla specie in caso di pandemia. La gru Monaca, come tutte le altre gru, è onnivora. La sua dieta include piante acquatiche, bacche, insetti, rane, salamandre, rizomi e piccoli animali, mentre nella stazione di ripopolamento viene nutrita con riso, grano ed altri cereali. Anche questa specie è vulnerabile, principalmente per la costante perdita di habitat, poiché la costruzione della Diga delle Tre Gole ha sottratto molto prezioso territorio; sono  inoltre stati segnalati odiosi casi di bracconaggio fra esemplari nidificanti. In Mongolia la Gru Monaca trova rifugio nelle aree protette di Daguur e Ugtam. GRU DELLA MANCIURIA Red-crowned crane – Grus japonensis (foto 18) 2009 IUCN Red List EN = Pericolo di estinzione Stima popolazione globale: 1.700 in decrescita È fra le gru più grandi (ben 158 cm) ed anche la seconda al mondo maggiormente in pericolo di estinzione. Ha il primato della gru più pesante, può arrivare ad oltre 11 Kg., ed è certamente uno dei più splendidi rappresentanti della specie. Il suo piumaggio candido, la testa e la parte terminale della coda nerissimi e la macchia rosso vivo sul capo la rendono oltremodo elegante. In tutto l’Oriente è considerata sacra, simbolo di fedeltà, buona fortuna, amore e longevità. Questo berllissimo uccello ha una dieta che varia molto in funzione dei luoghi che frequenta, con la sua particolare tecnica “becchetta e cammina” si ciba di insetti, invertebrati acquatici, anfibi, roditori, pesci e diversi tipi di semi e piante d’acqua. Pure se in Giappone il numero di queste gru risulta attualmente stabile, è in costante declino la popolazione asiatica, a causa del degrado delle zone umide e della loro trasformazione ad uso agricolo e industriale. La Gru della Manciuria nidifica in Russia, Cina, Giappone ed anche in Mongolia, dove i primi nidi sono stati censiti nel 2003 e, tranne che in Giappone (Isola di Hokkaido) dove è stanziale e stabile di numero, è un uccello migratore che sverna in Cina lungo il Fiume Giallo e nella zona demilitarizzata fra la Corea del Nord e la Corea del Sud, ma la proliferazione di dighe che abbassa il livello dei corsi d’acqua sta distruggendo i luoghi adatti alla nidificazione, rendendo inoltre i nidiacei molto più vulnerabili all’attacco dei predatori. In alcune zone di svernamento sono state registrati alti tassi di mortalità, apparentemente dovuti ad avvelenamento, in alcuni uccelli trovati morti sono stati rilevati alti livelli di contaminazione da metalli pesanti. GABBIANO RELITTO Relict Gull – Larus relictus (foto 19) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 2.500/9.999 in decrescita In un primo momento, negli anni ’20, il Gabbiano relitto venne classificato come una sottospecie del gabbiano mediterraneo (Larus melanocephalus), ma nel 1971 è stata riconosciuta come specie a sé. È un uccello di taglia media (44-45 cm) con la testa completamente nera, il ventre bianco e le ali grigio-azzurre. In Mongolia è protetta dalla legge e nell’area di Protezione totale di Mongol Daguur può nidificare senza essere disturbato. E’ piuttosto esigente circa il luogo di riproduzione, cambia sito ogni anno e non si riproduce se il livello dell’acqua che circonda il nido è troppo basso o troppo alto. E’ un uccello sociale che si raccoglie in colonie non troppo numerose, raramente associato ad altre specie di gabbiani; si nutre di larve di moscerino, piccoli pesci e foglie nella stagione degli accoppiamenti, mentre in inverno il cibo principale è rappresentato dai granchi. Il Gabbiano Relitto è considerato vulnerabile a causa dei cambiamenti climatici che sovente asciugano innanzi tempo le paludi temporanee dove nidifica e per la competizione e predazione che si innesca con gabbiani di altre specie. Grandine e allagamenti sono pure causa di alta mortalità. E’ urgente che in Mongolia vengano predisposte altre zone di rispetto per studiare meglio la biologia di questo uccello e assicurarne il futuro.  FORAPAGLIA CODONE GIAPPONESE Marsh Grassbird - Locustella Pryeri (foto 20) 2009 IUCN Red List NT = Prossimo alla minaccia Stima popolazione globale: 10.000/15.000 in decrescita Il Forapaglie Codone Giapponese è un piccolo passeriforme (14 cm) insettivoro canoro, con una popolazione abbastanza numerosa ma dispersa in piccoli gruppi isolati fra loro. E’ un migratore che nidifica prevalentemente in Cina e Giappone, ma è stato recentemente segnalato come nidificante nell’est della Mongolia. Costruisce il nido di preferenza in fitti e bassi canneti, in zone paludose con acque poco profonde, accanto ad alberi su cui si posa per cantare, ma è piuttosto esigente in fatto di habitat e non tollera zone con vegetazione troppo alta o troppo bassa. In genere è molto riluttante ad alzarsi in volo ed è difficile da avvistare. E’ stato catalogato NT a causa della distruzione delle zone umide dove nidifica e sverna. E’ necessario che a questa specie venga assicurata protezione legale in ciascuna delle zone dove vive. SASSICOLA DI HOGDSON White-throated Bushchat – Saxicola insignis (foto 21) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 2.500/9.999 in decrescita La Sassicola di Hogdson è un passeriforme della famiglia dei pigliamosche la cui etologia è ancora poco conosciuta. E’ un insettivoro abbastanza grande (17cm) dai bei colori – il maschio ha le piume del petto arancio-rossiccio - che nidifica solo sulle montagne di Mongolia e alcune zone adiacenti in Russia. Una volta era abbondante,  ora è raro nei territori di svernamento (Nord dell’India e Nepal) a causa della progressiva scomparsa del suo habitat ideale, composto da paludi alpine e boschi umidi in quota. Durante la migrazione può superare montagne di oltre 4.500 mt per giungere ai territori ricchi di praterie e ai greti dei fiumi dove abbondino arbusti di tamerici. La rapida ed estesa perdita dei territori di svernamento dovuta al prosciugamento delle paludi, alla conversione all’agricoltura specie per la mietitura di paglia (anche se pare si stia parzialmente adattando ai campi di canna da zucchero) e in alcuni casi anche alle recenti gravi alluvioni avvenute nelle valli dell’India, sta seriamente minacciando questa specie. SORDONE DI KOSLOW Mongolian Accentor – Prunella Koslowi (foto 22) 2009 IUCN Red List LC = Rischio minimo Stima popolazione globale = sconosciuta Includiamo questo piccolo passeriforme della famiglia dei prunellidi perché è l’unico ad avere un habitat molto ristretto, esclusivamente in Mongolia (zona desertica del Gobi-Altai) più altre tre aree montuose e una zona nel nord della Cina. Non è stato incluso fra le specie vulnerabili perché il trend della popolazione appare stabile.  E’ un uccello assai poco conosciuto, dopo molte ricerche siamo riusciti a reperirne due sole immagini che non pubblichiamo, non avendo potuto chiedere il consenso agli autori. Invitiamo i nostri amici viaggiatori a colmare questa lacuna!  Una piccola curiosità: il nome a questa specie è stato dato nel 1887 dal grande esploratore russo di origini polacche Colonnello Nikolai Przhewalski, pioniere degli studi naturalistici in Asia centrale, che diede il nome anche al celebre cavallo Takhi, lo spirito di Mongolia. ZIGOLO DAL COLLARE Yellow-breasted Bunting  Emberiza aureola (foto 23) 2009 IUCN Red List VU = Vulnerabile Stima popolazione globale: 120.000/1.000.000 Lo zigolo dal collare nidifica  in tutta la zona Paleoartica, dalla Finlandia fino al Giappone e nonostante in alcuni luoghi sia ancora abbondante, in altri ha avuto un declino rapidissimo (come in Mongolia) o è del tutto scomparso (Finlandia). Per motivi precauzionali la specie è stata considerata “vulnerabile”, in attesa di provvedimenti e ulteriori studi che ne verifichino una auspicabile inversione del trend negativo. E’ un piccolo passeraceo dai colori brillanti, specie il maschio nella stagione degli amori esibisce un bel giallo vivo sul petto, striature brune sui fianchi, striscia sulla gola e testa neri. Costruisce il nido in zone paludose provviste di alta vegetazione o boscaglia sparsa dove si ciba di insetti, e sverna in grandi stormi presso luoghi coltivati, risaie e praterie. La minaccia principale alla sua sopravvivenza è dovuta all’insostenibile livello della caccia: lo zigolo viene catturato in gran numero e venduto sui mercati già cotto spacciandolo come “passero” e viene mangiato come accompagnamento al riso. Era una pratica legata prevalentemente ad una piccola zona nel sud della Cina, ma con la globalizzazione ora questo – si fa per dire – cibo è divenuto comune. Anche se in alcune zone questo commercio è illegale, si calcola che ogni anno oltre un milione di zigoli vengano uccisi per essere venduti come “snack”. Sempre in Cina, centinaia di maschi vengono imbalsamati e venduti come portafortuna da tenere in casa per attirare la felicità. Testi di Mara Tamburino per mongolia.it