4 luglio 2025
PRIMO PIANO
Gobi March: 250 km a piedi
fra le steppe della Mongolia
Nelle steppe della Mongolia, ai margini del deserto del Gobi, tra dune sabbiose, antiche foreste e la rocciosa Valle dell’Orkhon, patrimonio mondiale UNESCO, l’ultra runner ravennate Alberto Marchesani ha portato a termine in autosufficienza la Gobi March, una delle più impegnative ultramaratone al mondo. Un viaggio di 250 chilometri suddiviso in sei tappe, condiviso con 120 partecipanti provenienti da 31 Paesi, dove la passione per la corsa si intreccia con il significato più profondo della fatica, vissuta come esperienza catartica e introspettiva. Per il ravennate Alberto Marchesani, 47 anni, si tratta dell’ottava impresa estrema completata. “L’ultra più emozionante che abbia fatto ad oggi, capace di farmi comprendere ancora una volta come, seppur piccoli e limitati, siamo parte di una vastità immensa e meravigliosa – racconta Marchesani –. Una prova in costante progressione, conclusa anche con un buon 29° piazzamento”. “Non dimenticherò mai la prima giornata, partita alle 8 con 30° all’ombra: tra il caldo e i 10 kg di zaino sulla schiena, al 15° km sono andato in ‘fame d’aria’ e, a causa di una leggera disidratazione, dopo 5 km mi sono sentito male – ricorda l’atleta -. Grazie a un bastoncino prestato da un runner greco, ho raggiunto il checkpoint per riposare ed essere assistito da un medico. In seguito ho concluso la tappa, da cui si sono ritirati in dieci. Nella quarta, la più lunga da 80 km, ci hanno avvisato al 76° km dell’arrivo di una tempesta di fulmini. Con poncho e lucetta frontale ho cercato di affrontare i km finali, correndo e accovacciandomi per proteggermi, fino a quando, a 750 m dal traguardo, sono stato improvvisamente trascinato nel furgone dello staff, che aveva deciso di sospendere la corsa”. “È un’esperienza che si costruisce con la programmazione ma devi essere disposto a stravolgere in un attimo tutti i piani, adattandoti ai cambiamenti – prosegue Alberto Marchesani – Con il tempo sono diventato consapevole della fatica che devo sostenere e la so dosare: è una grande alleata perché amplifica la sensibilità e ti permette di scavare nel profondo. E poi arriva sempre il momento liberatorio, per me l’ultima tappa di 42 km: temperatura ottima, zaino leggero e un paesaggio completamente diverso con tanto verde, dolci montagne e persone deliziose circondate da cavalli, mucche, pecore, cammelli. Mozzafiato l’arrivo al monastero buddista di Erdene Zuu vicino Karakorum, antica capitale mongola, festeggiato con un banchetto dei locali”. (fonte ravennanotizie.it)