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È una regione meravigliosa, comoda da raggiungere e raramente inserita negli itinerari classici soprattutto per chi visita la Mongolia per la prima volta. Il motivo forse va cercato in un equivoco di fondo: le guide che descrivono il Khentii lo segnalano esclusivamente per il legame con Chinggis Khan. Qui nacque (forse), qui fu incoronato imperatore (forse), qui venne sepolto (forse) insieme ai tesori, ai cavalli e alle donne. Ma al di là di queste evocazioni storiche, indubbiamente suggestive, resta comunque una zona paradisiaca di boschi e specchi d’acqua in fila lungo il Khentii, la catena montuosa (non oltre i duemila di quota, salvo il picco del Khentii khan di 2.350 metri) che dà il nome alla regione. A offrirci le coordinate della storia di Temujin è la “Storia segreta dei mongoli”, il libro scritto pochi anni dopo la sua morte e probabilmente ritoccato a più riprese, a volte anche per motivi di interesse campanilistico, come affermano gli stessi studiosi mongoli. Nel Khentii ci sono diverse statue che celebrano il grande condottiero mongolo, ma le ipotesi sui luoghi veri del suo passaggio sono ancora allo studio di storici, di scienziati e di spedizioni ipertecnologiche interessati soprattutto alla tomba e al favoloso tesoro di Chinggis Khan. Per fortuna, fino a oggi, le ricerche sono ancora a un punto morto, anche se viene sistematicamente annunciata la scoperta del sepolcro, poi puntualmente smentita. Del resto il desiderio, anzi l’ordine, del khan era quello di poter riposare in santa pace. E quando la tomba verrà scoperchiata la Mongolia perderà il suo mistero più grande e forse l’ira di Chinggis Khan tornerà a colpire. Un po’ come fece Tutankhamon con lo staff di Carter, reo di aver scoperto il suo sepolcro. Sugli archeologi si abbatté la maledizione del faraone: in pochi mesi tutti i componenti della spedizione morirono per cause drammatiche e misteriose. Naturalmente non è un augurio quello lanciato dai mongoli, ma un avvertimento. Nel vano tentativo di scoprire la sepoltura di Chinggis Khan sono state rinvenute in tutto il territorio della regione migliaia di tombe antiche, generalmente tumuli di pietra risalenti all’epoca degli unni ma anche dell’età del bronzo, oltre a una serie impressionante di incisioni dell’età della pietra. Il Khentii è popolato, oltre che da khalkh, da buriati stanziali che vivono prevalentemente in baracche di legno piuttosto che nelle gher di feltro, anche se le tende vengono preferite d’inverno perché più resistenti al freddo. Il Khentii potrebbe rappresentare un itinerario a sè, dai cinque ai dieci giorni, partendo e tornando a Ulaanbaatar. Il capoluogo è Öndörkhaan, facilmente raggiungibile da Ulaanbaatar grazie a un’ottima strada (la millennium road) o a cinquanta minuti di aereo. Non c’è molto da vedere o da fare, ma si trova lo stretto necessario: qualche hotel, ristorantini, negozi, mercati, ufficio postale, teatro, due musei (etnografico e cittadino, dove si può ammirare un’armatura del XIII secolo) e il Gündgavirlan khiid, risalente al 1660, prima scuola buddhista in Mongolia. Chiuso negli anni Trenta e poi quasi completamente distrutto nel dopoguerra, il monastero è oggi dinamico, ospita una decina di monaci ed è aperto a fedeli e viaggiatori. In centro, inaugurata nel 2003, non poteva mancare una statua a Chinggis Khan. Ma il vero Khentii è molto più a nord di Öndörkhaan, verso il confine con la Siberia. Occorre quindi uscire dalle strade asfaltate e monotone e avventurarsi tra le piste più sofferte, ricordando però che in estate anche un breve acquazzone può scompaginare tutti i piani di viaggio, ingrossando uno dei settanta fiumi che attraversano il Khentii, tra cui i leggendari Onon e Kherlen. Area protetta Khan Khentii La particolarità di quest’area, che occupa la parte centrale della catena Khan Khentii e attraversa tre aimag per un’area di 12.270 kmq, sono le precipitazioni particolarmente copiose. Il clima e le cime ghiacciate dei monti alimentano molti fiumi, fonti termali e fitte foreste dall’insolito condominio di rocce e paludi, difficilmente attraversabili. Questo angolo sperduto tra Mongolia e Siberia potrebbe essere la zona dove è sepolto Chinggis Khan e comunque la montagna Burkhan Khaldun è stata frequentata e magnificata a più riprese dal condottiero, secondo la testimonianza della Storia segreta. I mongoli hanno disseminato questa zona con ovoo votivi per il loro “dio condottiero”. (foto 1, la congiunzione dei fiumi Onon e Kherulen, dove Gengis Khan fu battezzato, di Federico Pistone) Lago Khökh nuur Se abbandonate la millennium road per Öndörkhaan all’altezza del villaggio di Tsenkhermandal, in un’ora di pista verso nord incontrerete il Khökh nuur, lago blu. Per non essere fraintesi è consigliabile, come fanno i mongoli, denominarlo Khökh nuur del monte Khar zurkh (Khar zurkhni Khökh nuur) per distinguerlo dagli omonimi. Una meta gradevole, impreziosita dai ricordi storici che qui aleggiano: davanti a mille cavalieri, ottocento anni fa, Temujin venne incoronato in questo luogo Chinggis Khan, traducibile grosso modo in “imperatore grande come un oceano”. Il lago è di dimensioni modeste ma molto suggestivo, incorniciato da erba e canne. Sulla riva del lago, in occasione dell’840° anniversario di Chinggis Khan (2002), è stato creato un originale giardino monumentale ad arco di cerchio. Lungo l’arco si ergono, come totem, 37 sculture in legno dei re appartenenti alla stirpe del grande condottiero. Dinanzi ad ogni statua se ne può leggere la storia, in mongolo e in inglese. Al centro dell’area si stagliano quattro grandi lastre di pietra con epigrafi in Mongol bichig e i bassorilievi dei volti di Chinggis Khan, dei suoi genitori e di sua moglie. Infine, come a difesa del giardino, vi è una porta in legno e le statue dei nove fidati generali di Chinggis Khan, fertile fonte di storie e leggende mongole. (foto 2, Kokh nuur, dove Gengis Khan è stato incoronato imperatore, di Federico Pistone) Monastero Baldan Baraivan khiid Dinanzi alla sacra vista del monte Mönkh Ölziit e non lontano dal Khökh nuur, il monastero di Baldan Baraivan è stato il luogo religioso più importante dell’est della Mongolia. La fondazione dei primi edifici risale al 1777 mentre il tempio principale, lo Tsogchin Bileg Ölziit, fu eretto nel 1813. Il monastero, costruito secondo i principi e l’estetica della geomanzia sciamanica e buddhista, nel suo massimo splendore accoglieva 4 scuole, 20 templi per le preghiere quotidiane ed era frequentato da 5/6.000 monaci. Attualmente sono rimasti tre templi restaurati, frutto di un progetto incompiuto. All’intorno numerose statue, epigrafi religiose e incisioni su roccia e pietra con immagini del pantheon buddhista. Binder Uno dei millantati luoghi di nascita di Chinggis Khan, sulla confluenza dei fiumi Onon e Khürkh. A ribadirlo, poco prima dell’ingresso in paese, un piccolo recinto con una statua di Chinggis Khan che viene visitata e venerata come un santuario dalla popolazione del luogo. Il villaggio di Binder offre il minimo indispensabile ma i luoghi intorno sono affascinanti e meritano anche una sosta prolungata per gite a piedi o a cavallo. Dadal Quando si parla di Chinggis Khan, Dadal è la località che ricorre più spesso. È alla confluenza tra i fiumi Onon e Balj, evocati dalla saga mongola come luogo di nascita di Temujin: siamo nel parco nazionale che si chiama proprio Onon-Balj e custodisce le meraviglie naturalistiche in una striscia di 25 chilometri fino alla Siberia. È un’area di circa 4.000 kmq dove si incontrano steppa e foresta, testimoni di un habitat complesso e delicato che si estende in una depressione dall’altitudine media di 800 m slm. Ci troviamo a 600 km da Ulaanbaatar e a 270 da Öndörkhaan. Dadal è una cittadina accogliente, con negozi in cui si trova di tutto e qualche sistemazione spartana per la notte. A un paio di chilometri da Dadal, in un bellissimo contesto naturale, si aprono le colline di Delüün Boldog e il lago Gurvan nuur. Qui nel 1962, in occasione degli 800 anni della nascita di Chinggis Khan, venne inaugurata una statua a lui dedicata (la prima in assoluto) di grande significato sociopolitico perché fu eretta in pieno governo sovietico, che vietava qualsiasi manifestazione a favore dell’eroe mongolo, considerato un “imperialista”. Il funzionario che approvò il progetto fu rimosso dal partito e Makhbal, lo scultore, fu licenziato in corso d’opera. La statua in marmo bianco, alta 12 metri, dalla forma che simboleggia il fuoco, non fu però mai rimossa e conserva tuttora un enorme valore simbolico per i mongoli. Nei pressi della statua, sulle rive del Gurvan nuur, si affaccia un campo turistico frequentato soprattutto dai mongoli, dato il modestissimo afflusso di viaggiatori. Poco più a nord, ormai sul bordo della Siberia, si apre la grotta più profonda della Mongolia, Süügtiin agui (in alcuni testi viene chiamata Galtai agui); ha la forma di un sacco e una profondità di circa 80 metri. Un piccolo lago sul fondo è la speleodimora di fantastici organismi ipogei quali pesci senza occhi e formiche senza colore. La grotta si affaccia sulla confluenza dei fiumi Süügt e Galtai.  
Propaggine orientale della Mongolia, in bilico sui confini cinese e russo, è la regione alla quota più bassa, con la media di 750 metri sul livello del mare e il punto inferiore ai 550 metri del Khökh nuur (da non confondere con l’omonimo lago di Chinggis Khan). È anche una delle zone meno frequentate dai viaggiatori. Chi si avventura nel Dornod non sottovaluti la scarsa presenza di distributori di carburante e l’estrema difficoltà a orientarsi dentro questo mare d’erba infinito, piatto e sempre uguale. Gran parte del territorio è occupato dalla Menenghiin Tal, una pianura sterminata dove si muovono immensi branchi di antilopi e animali selvatici. Nella regione sono presenti numerose aree protette e alcuni siti di memoria antica (rovine Kitan) e recente (siti della guerra contro i giapponesi del 1939). Lungo tutto il territorio di Choibalsan si dipanano i seicento chilometri di quello che è stato ribattezzato il “muro di Chinggis Khan”, utilizzato dai cinesi nel tentativo di rintuzzare gli assalti delle orde mongole. La costruzione è piuttosto suggestiva e può essere seguita per alcuni chilometri partendo dal villaggio di Gurvanzagal. Choibalsan, il capoluogo dedicato al piccolo Stalin mongolo, è stata costruita dai sovietici come avamposto nel secondo conflitto mondiale e dopo il crollo del comunismo è stata abbandonata a se stessa. Oggi ha 38.000 abitanti, la metà dell’intera regione. Le uniche risorse sono una ferrovia (un paio di corse alla settimana per raggiungere il confine russo) e la miniera di uranio di Mardai, un centinaio di chilometri a nord del capoluogo. L’attività estrattiva ha avuto vita breve, solo cinque anni dal 1985 al 1990: da qui l’uranio finiva sulle testate nucleari sovietiche ma presto la miniera fallì e centinaia di operai russi e mongoli restarono senza lavoro. Oggi Mardai è una città fantasma e gli edifici minerari sono occupati da famiglie mongole che hanno abbandonato il nomadismo. Choibalsan però è collegata a Ulaanbaatar (655 chilometri) da tre voli settimanali: l’aeroporto, otto chilometri dalla città, sorprende per il suo aspetto moderno, retaggio della base militare sovietica. A Choibalsan si trovano sistemazioni confortevoli e spartane, dei discreti ristorantini, un mercato, un supermercato, qualche locale notturno. Un chilometro a ovest dal centro si ammira il più spettacolare dei numerosi monumenti presenti nel Paese sull’amicizia fra mongoli e sovietici: un guerriero a cavallo sguaina la spada affiancato da un carrarmato. Bello il monastero Danrig Danjaalin (oggi ospita una decina di monaci), edificato nel 1840, popolato da una fitta comunità di religiosi (circa 800) e chiuso, ma non distrutto, nel 1937. Un pentolone poteva cuocere montone per 500 commensali. Lo si può ancora ammirare nel museo dell’aimag che custodisce anche oggetti legati al despota Choibalsan e rare fotografie. Rovine Kherlen Bars Khot Siamo nel sum di Tsagaan-Ovoo, sulla riva sud-est del lago Baruun Döröö. Questa zona protetta dal governo mongolo dal 1971, novanta chilometri a ovest di Choibalsan, era il centro religioso dello stato dei Kitan (dal IX all’XI secolo), come testimoniano i numerosi ritrovamenti di statuette buddhiste nonché lo stile architettonico delle torri, proveniente dall’India; era sicuramente anche una base militare, considerate le tracce di un possente muro di cinta e la posizione geografica. Dalle rovine si intuiscono tre città fortificate, ribattezzate Kherlen Bars Khot, utilizzate dal grande impero mongolo di Chinggis Khan. Cosa resta? Nella prima città le rovine di quattro templi, alcuni stupa, il piedestallo di quattro statue e le rovine di due torri una delle quali, crollata negli anni ’40, era di sette piani per un’altezza di 22 metri. Dal 2012 sono iniziati dei lavori di restauro. Pianura Menenghiin tal Immaginate un oceano di steppa pura completamente vuoto. Poi immaginate decine di migliaia di gazzelle e altri animali selvatici che attraversano questa pianura in uno spettacolo di transumanza unico al mondo. La vista si smarrisce e muta percezione dinanzi a questo spazio sconfinato, suggestione descritta dal poeta mongolo B. Yavuukhulan (1929-1982): “Che strano vedere una yurta / lontana giorni di viaggio / Che strano il sorgere del sole / a una distanza uguale al lancio di un lazo”. Questa è area strettamente protetta dal 1992 e rappresenta il territorio stepposo più ampio del pianeta, interrotto solo per sette chilometri quadrati dal lago salato Sanghiin Dalai. Raggiungere la Menenghiin tal non è difficile: comincia subito a est della città di Choibalsan. Il problema è sapersi orientare, sopportando le durissime piste che il terreno offre. Il sum di Matad, ove si trova la pianura, è anche noto per aver dato i natali a Tsendiin Damdinsüren (1908-1986) scrittore e linguista amatissimo dai mongoli. Lago Buir  Un lago che comincia in Mongolia e finisce in Cina, o viceversa, non promette bene. Infatti non sono rare le dispute fra pescatori dei due Paesi che si contendono la pregiata fauna ittica di questo luogo da favola; un ulteriore problema è l’eutrofizzazione, monitorata in anni recenti. L’equilibrio del lago è strettamente legato ai fiumi Khalkh e Orshuun, l’uno immissario e l’altro emissario. Questa importante riserva di acqua dolce si trova nel sum di Khalkhgol, è il lago più grande della Mongolia orientale (615 chilometri quadrati, la profondità raggiunge i 50 metri) ed è fuori da ogni rotta turistica. In fuoristrada da Choibalsan (285 chilometri) occorre calcolare almeno una giornata di viaggio per raggiungere il Buir nuur, sempre che un acquazzone non cambi l’orografia del paesaggio e vi costringa a soste forzate, non necessariamente spiacevoli. Per la cronaca, il lago è un allevamento di zanzare. Una trentina di chilometri a est, per i patiti degli eventi bellici, c’è uno dei campi di battaglia più celebrati dai mongoli, il Nomonkhan, nella valle di Khalkhyn. Le truppe mongole appoggiate da quelle sovietiche riuscirono a infliggere all’esercito giapponese una durissima sconfitta che compromise il disegno nipponico di annettere Manciuria e Siberia. Complesso Ikh Burkhant Il sito Ikh Burkhant si trova nel sum di Khalkhgol, 90 km a sud di Buir nuur e rappresenta per i mongoli una delle mete di pellegrinaggio più importanti. Si può ammirare una gigantesca statua (30 metri per 26) distesa sul versante dolcemente inclinato di una collina che le fa da cuscino. È un monumento a Janraiseg (versione mongola di Avalokitesvara) rappresentato con otto braccia a protezione di otto pericoli, tenuti nel palmo delle mani. L’opera fu costruita negli anni 1859-1864 da un nobile signore della zona, Bat-Ochiryn Togtokhtör (comunemente denominato To Van), a protezione apotropaica del luogo dopo un periodo di grandi calamità naturali ma anche come misura economica, per evitare la fuga di doni e offerte verso altri luoghi sacri e lontani. La statua è circondata da due cornici, quella più esterna di 220 per 97 metri. All’interno delle cornici un mosaico di pietre recita una breve preghiera buddhista che inizia con il mantra “Om mani padme hūm”. Tutti intorno, 12 stupa e 20 statue in pietra, lavorate con tecnica sconosciuta. Le opere sono sopravvissutea indenni alla battaglia di Khalkhgol del 1939 con l’esercito giapponese, grazie alla grande comunanza del pantheon buddhista mongolo e giapponese. Il complesso è stato restaurato negli anni ’95-’97 e inaugurato liturgicamente con una cerimonia religiosa nel 1997. Area protetta Dornod Mongol L'enorme riserva Dornod Mongol, chiamata anche “steppe orientali”, si estende per duecento chilometri lungo il confine cinese e per una cinquantina all’interno delle steppe mongole, fino a occupare un lembo della regione di Sükhbaatar. In quest’area, monitorata costantemente per mantenere un equilibrio faunistico, è teoricamente proibito l’ingresso ai visitatori sprovvisti di un permesso speciale che però viene concesso solo in caso di partecipazione a progetti di salvaguardia ambientale. Area protetta Nömrög È la propaggine più orientale della Mongolia, circondata dalla regione cinese della Mongolia interna. Questa era una zona di rigogliose foreste ma dopo un sistematico abbattimento (la vicinanza della Cina è stata fatale) il territorio boscoso (betulle, pini e salici) si è molto ridimensionato. Resta comunque una zona affascinante e quasi completamente popolata da animali endemici, come l’alce ussuri, preda purtroppo di troppe battute di caccia organizzate da occidentali. Riserve naturali monte Ugtam e Yakhi nuur A sud della miniera di Mardai si aprono queste due aree protette distanti una ventina di chilometri e quindi possibili mete di uno stesso itinerario. Il monte Ugtam e il gemello Khairkhan rappresentano uno spartiacque tra foreste a nord e steppe a sud. La riserva dello Yakhi nuur consiste esclusivamente del lago e delle sue rive. Riserva naturale Mongol Daguur Si compone di due aree distinte, per un totale di 1.081 kmq: la prima e la più grande è una steppa collinosa a sud del lago Baruun Taryn, adiacente al confine russo; la seconda è una pianura alluvionale del fiume Ulz. Entrambe le aree hanno una speciale importanza per la nidificazione e il transito di uccelli migratori acquatici e non, di cui sono censite 260 specie. La riserva è inclusa fra le zone umide di importanza internazionale ed è area protetta dal 1992. Anche se il popolo del cielo si è ridotto drasticamente negli ultimi anni (a causa della caccia e dei cambiamenti climatici), qui è facile osservare le più rare specie di gru, tra cui quella siberiana e manciuriana. È anche il territorio dove vive il meraviglioso Pallas, considerato il progenitore di tutti i gatti a pelo lungo del mondo. Intorno al Mongol Daguur, ci sono due elementi paesaggistici “azzurri” (khökh). Il primo è il Khökh nuur, da non confondere con l’omonimo lago del Khentii sulle cui rive Chinggis Khan fu incoronato imperatore. Quest’altro “lago azzurro” si trova a pochi chilometri dalla strada principale ed è famoso per essere il punto più basso di tutta la Mongolia, ufficialmente 552 metri sul livello del mare. Più a nord, in comproprietà con la Siberia vera e propria, c’è il Khökh uul (monte azzurro), alto poco più di mille metri, quindi molto più basso rispetto alla capitale Ulaanbaatar.  
L’aimag è rinomato in Mongolia per i suoi cavalli, considerati fra i più veloci, e per i suoi artigiani nella lavorazione dell’argento, eredi di un’antica tradizione. Regione intitolata all’eroe a capo del movimento di liberazione della Mongolia dai cinesi, il cui padre era nato proprio qui. A Sükhbaatar sono dedicati anche il capoluogo dell’aimag Selenghe e la piazza principale di Ulaanbaatar. Questo è un territorio estremo ma dolce, una sterminata distesa di steppa verde, interrotta solo da qualche morbido rilievo e da laghi e corsi d’acqua. Sono davvero pochi i viaggiatori che raggiungono questa zona, che può essere invece una suggestiva alternativa ai consueti itinerari, anche per la cordialità proverbiale dei pochi nomadi che la popolano, meno di sessantamila abitanti, metà dei quali nel capoluogo Baruun-Urt. È una città che ospita quasi esclusivamente famiglie dei minatori che lavorano per le compagnie estrattive della zona. La città è del tutto avulsa dal turismo anche se offre qualche soluzione di alloggio e di cibo, oltre a rappresentare un’oasi (anche per ricaricare le batterie della macchina fotografica) in un territorio completamente selvaggio. Da Ulaanbaatar (a 560 chilometri) c’è un aereo alla settimana per Baruun-Urt, con scalo a Öndörkhaan. Da visitare, oltre al solito museo dell’aimag, c’è il monastero Endenemandal, ricostruito sull’antico edificio distrutto negli anni Trenta, che custodisce alcune reliquie preziose, sfuggite alle falcidie sovietiche. La provincia è ricca di meraviglie geologiche. Ben 220 sono i vulcani estinti (qualche nome? Shiliin Bogd, Zotolkhan, Altan-Ovoo, Ayabadar, Asgat, Senjitiin Öndör, Dösh, Ganga, Tsagaan ovoo). Abbondano le sorgenti (venti in tutto, tra cui Dalai bulag, Arnuur, Talbulag, Dashin e Ereen tolgoi), anche se i turisti preferiscono bearsi dei laghi di Ganga nuur, Duut e Dösh. L’incanto albicocca dei deserti di sabbia si apre nella zona meridionale dell’aimag, movimentato sensualmente dalle dune di Moltsog (estese per 248 kmq), Ongon (128 kmq) e Süüj. Dariganga È la meta più sorridente di questa regione, grazie al villaggio intimo e allegro, agli incantevoli paesaggi con laghi e montagne sacre e ai siti archeologici. Il toponimo è nato dai nomi del monte Dari e del lago Ganga. Nella pianura di Dariganga si incontrano e si confondono le sabbie del Gobi e l’erba della steppa. A nord della città si erge un antico vulcano estinto, considerato sacro dai mongoli, dove sorge il frequentato Altan ovoo. Lo stupa nei pressi, ricostruito nel 1990 dopo la distruzione sovietica dell’originale del 1820, è proibito alle donne. Intorno si trovano resti di antiche rocce funerarie (balbal) infrante, dalle oscure origini. Tradizione locale vuole che al balbal siano fatte offerte, inserendole nel calice che regge nella mano sinistra. Se il genere vi appassiona, al confine nord della città si stagliano tre balbal, detti “il re, la regina e il principe”. Si può dedicare una giornata per arrampicarsi in vetta e godere della splendida vista sulle valli. Impressionante, a sud di Dariganga, il paesaggio che circonda il Ganga nuur, fatto di rocce scolpite dal vento. Le acque del lago, situato ad appena tredici chilometri dalla città, sono fresche e limpide, l’ideale per una ripulita da tanta sabbia e polvere. Sono alimentate da 21 sorgenti la più importante delle quali è Dagshin Orghikh, 50 metri a nord-est quasi accanto al lago, un’acqua freddissima e squisita che sorge come per incanto dalla sabbia. Tra l’inizio del mese di agosto e la fine di ottobre, il lago è rallegrato dalla presenza di migliaia di uccelli migratori, soprattutto cigni. Purtroppo l’equilibrio del lago inizia a vacillare per motivi ancora non valutati con precisione, quali le attività antropiche e i mutamenti climatici. Qualunque siano le ragioni, il livello del lago si sta abbassando e i cigni diminuendo. Il Ganga nuur è anche riserva naturale, estesa per quasi trentamila ettari, e ricca di altri sei laghi. Di questi, il Kholboo e lo Tsagaan si prestano a fresche nuotate. Una breve disgressione etimologica: il termine “Ganga” deriverebbe, secondo una leggenda, dal fiume Gange (ovvero Ganga, in diverse lingue dell’India), perché un monaco avrebbe trasportato e versato nella sabbia un po’ delle sue acque sacre, facendo nascere sorgenti e lago; secondo un’ipotesi più profana deriverebbe invece dal verso dei cigni che appunto in mongolo viene espresso dal verbo onomatopeico “ganganakh”. A otto chilometri da Ganga nuur, lungo la strada per Shiliin Bogd, date un’occhiata alla statua che sembra guardare verso il confine cinese. La scultura è nuova e non particolarmente incantevole, ma è dedicata a un simpatico eroe locale, Toroi-Bandi. Era una sorta di Robin Hood della Mongolia, rubava i preziosi stalloni dei governanti manchu della città e li nascondeva nei pressi di Shiliin Bogd uul. Il fatto che la statua di Toroi adocchi maliziosamente verso la Cina è un’ulteriore testimonianza dell’arguzia inesauribile del popolo mongolo (e anche di certe tensioni etniche…). Al confine sud-est della città si possono ammirare le rovine del monastero di Ovoon khiid. Costruito nel 1820, ospitava seicento monaci, poi le fiamme lo hanno incenerito. Oggi sullo stesso sito è stato costruito un altro edificio che ospita solo sei religiosi. Monte Shiliin Bogd Lungo il confine della Mongolia interna, sessanta chilometri a est di Dariganga, spunta questa vetta sacra, la più alta della regione (1778 metri). Molte leggende sono legate allo Shiliin Bogd, che darebbe forza straordinaria a chi lo riesce a scalare (solo uomini, però: l’ascesa è strettamente proibita alle donne). In verità, più che di una montagna si tratta di un vulcano estinto in epoca antica, uno dei numerosi presenti in questa zona. In cima si può ammirare un cratere di due chilometri di diametro e profondo circa 300 metri. L’alba vista da quassù spezza il cuore tanto è bella, la più suggestiva di tutte le albe della Mongolia (già eccezionali di loro). Però attenzione: per scalare la montagna, considerata per metà cinese, occorre un permesso rilasciato dalla polizia di Baruun-Urt. Una quindicina di chilometri a nord, vale la pena visitare Talyn agui, una caverna di basalto lunga 240 metri, coperta di ghiaccio anche in agosto e ricca di suggestive stalagmiti che formano un caleidoscopio di colori. Si possono visitare le sue sette camere anche da soli, ma occorrono due cose: una torcia e molta attenzione. Khörghiin Khöndii (Valle dei ritratti) Quaranta chilometri a nord-est di Dariganga, ci si imbatte nella Khörghiin Khöndii, una valle popolata da una dozzina di antiche statue (erette qui ben prima del grande Chinggis). Alcune sembrerebbero delle donne nude, con scarpe e cappello. La loro funzione e perfino il loro sesso fa accapigliare gli studiosi: per alcuni infatti si tratta di ritratti in pietra di boriosi notabili della regione. Secondo altri, si tratta di statue commemorative, costruite per ricordare le tante donne morte di crepacuore. Pare infatti che le ragazze scontente del matrimonio preferissero gettarsi in un crepaccio, piuttosto che dividere la gher con un uomo che non amavano. Forse anche per questo alle signore è proibito salire sulle montagne. Notabili influenti o infelici Bovary, le statue sono però ben mimetizzate nel paesaggio, ed è meglio farsi aiutare dal driver per vederle tutte. A due chilometri si può fare una sosta per ammirare il bel canyon Bichigtiin Shakhaa.