ULAANBAATAR WEATHER

ULAANBAATAR

Capitale semovente, città nomade. Si spostava lungo i fiumi per centinaia di chilometri seguendo il flusso di pastori e mercanti. Un gigantesco grumo di tende bianche e circolari che si aggiungevano e si staccavano come amebe. Fino all’inizio del Settecento si chiamava Urguu che in mongolo significa “palazzo” ma che di stabile e di massiccio aveva solo la nostalgia per l’antica sontuosa Karakorum, quella voluta da Gengis Khan come centro dell’impero mongolo e quindi come dentro del mondo. Una capitale eterna, almeno nei progetti, durata meno di trent’anni (fin quando Khubilai la spostò a Pechino nel 1264) e resistita un secolo e mezzo (fin quando i manchu la rasero al suolo nel 1380). Dal XVIII secolo il “palazzo” si spostò verso l’attuale Ulaanbaatar, smise di viaggiare a ritmi frenetici e divenne Ikh khuree, “grande cerchio”, inteso come accampamento. Ogni due anni circa si effettuava il cambio di campo, una transumanza in massa di pochi chilometri quando il territorio occupato era ormai sfruttato e invivibile per uomini e armenti. La città divenne stabile nel 1911, con la proclamazione dell’indipendenza della Mongolia dalla Cina, e fu battezzata con pochi fronzoli “accampamento della capitale” (Niislel khuree). Sotto il dominio sovietico, all’agglomerato di gher si affiancarono gradualmente strade, palazzi, uffici, industrie mentre i monasteri furono quasi tutto abbattuti. Nel 1924 nacque Ulan Bator (eroe rosso) il soprannome del generale Sukhbaatar, protagonista della liberazione dai cinesi: da allora la città non ha smesso di crescere. Solo nel 1987 la denominazione si è trasformata nella più corretta traslitterazione in Ulaanbaatar. Oggi la capitale della Mongolia (foto 1, di Nick McCormack) ha gli stessi abitanti di Milano e con un ritmo vertiginoso di crescita, tra nomadi che si affollano con le gher ai margini della fascia urbana e uomini d’affari stranieri pronti a cogliere le opportunità che la giovane economia mongola può offrire, soprattutto nel campo minerario. Ogni estate sempre si vedono sempre più turisti che a Ulaanbaatar di solito dedicano giusto il tempo per organizzare spedizioni nella steppa e nel deserto, rinunciando a scoprire la magia di una città seducente ma non facile da conquistare. Le reazione dei viaggiatori provenienti dall’aeroporto Chinggis Khan possono essere delle più svariate. Chi la pensa come la scrittrice Emanuela Audisio che definisce Ulaanbaatar una città orribile, “peggio di Kiev”, chi invece se ne innamora a prima vista, come la giornalista televisiva Mimosa Martini, che la giudica romantica e piena di sorprese. La verità è che UB, come la chiamano per comodità i turisti e da qualche anno anche i mongoli, è una città strana, singolare, moderna di aspetto e antica d’anima, freddissima d’inverno eppure sempre così accogliente e familiare, intasata da un traffico che gira intorno a se stesso ma sempre pronta a offrire scorci e opportunità degne di una grande capitale. Con il vantaggio di avere intorno il silenzio del vento e della natura più intatta per migliaia di chilometri in ogni direzione. (foto 2, di Ariukamo) Benvenuti in città L’hanno ribattezzato Chinggis Khan, ma qualcuno lo chiama ancora col vecchio nome, Buyant Ukhaa. È l’aeroporto di Ulaanbaatar, il cancello d’ingresso della Mongolia per quasi tutti i visitatori, anche se da anni è in cantiere un nuovo progetto fiammante. Qualche negozietto di souvenir da tenere d’occhio per il ritorno e poco altro, ma un’atmosfera già molto intima e accogliente. Di solito si sbarca al mattino presto e l’aria, anche d’estate, è sempre frizzante e balsamica: i fumi carichi e pericolosi della capitale sono sedici chilometri più in là, direzione est. Prossimamente il "Chinggis Khan" diventerà uno scalo minore, destinato solo ai voli interni: sta nascendo infatti un nuovo aeroporto internazionale molto più lontano dalla città (circa 45 chilometri) ma che consentirà l’atterraggio di velivoli di stazza maggiore. Muoversi in Mongolia è facile, basta alzare un braccio e qualcuno si ferma, taxi o non taxi. La richiesta economica, irrisoria fino a poco tempo fa, ha subito un ritocco: siamo intorno ai 1.000 tögrög al chilometro (circa 50 centesimi di euro). Quindi aspettatevi di pagare il corrispondente di circa 10-15 euro per il trasporto in auto dall’aeroporto in città. Dal gennaio 2010 il Governo ha cominciato a regolamentare il servizio dei taxi ufficiali, cercando di limitare l’utilizzo delle auto private per gli spostamenti urbani. Durante il percorso vedrete già un assaggio di Mongolia vera, con steppe sterminate, gher, pastori, mandrie. Piano piano vedrete venirvi incontro la civiltà: il palazzo dello sport, le grandi ciminiere di carbone, le baracche, il traffico. Quando vi troverete sulla sinistra la fabbrica Gobi, la più rinomata della Mongolia per la produzione del cashmere, siete quasi arrivati in città. Correrete paralleli al fiume Selbe per alcune centinaia di metri fino a incrociare il meraviglioso Palazzo d’inverno del Bogd Khan (ci torneremo) stagliato sulla collina Zaisan, dove è stata inaugurata nel 2006 la più alta statua del Buddha in Mongolia e dove si respira un’aria di rievocazione storica dell’alleanza mongolo-sovietica contro i giapponesi con un carrarmato disteso su un basamento inclinato. Proseguendo si incontra lo stadio dove si svolgono le gare di lotta del Naadam e anche gli incontri di calcio su un terreno di erba sintetica donato proprio dai giapponesi. La strada piega decisamente a sinistra per il Chinggis Khaany örgön chölöö (che possiamo tradurre in Viale Gengis Khan) che attraversa con una sopraelevata il Selbe prima del benvenuto su un ponte bianco panoramico costellato da piccole pagode e chiamato “ponte della pace”. State accedendo al centro città e ve ne accorgerete dai palazzi moderni, dalle banche che crescono come a Lugano e dal traffico sempre più intenso. Pensare che fino a pochi anni fa queste strade erano quasi deserte! Sulla sinistra svettano le due slanciate torri del Bayangol hotel, a destra si intravede la scuola monastero del Choijin Lama e finalmente incrociate la Enkh taivny örgön chölöö, il viale della Pace, la strada più importante e battuta di Ulaanbaatar. Proprio di fronte a voi, annunciata dal Blu Sky Tower, il moderno grattacielo di vetro a forma di vela, si apre la piazza principale, dedicata a Sükhbaatar. E da qui comincia il nostro tour dentro la capitale. (foto 3, di Ariukamo) Piazza Sükhbaatar, il cuore di UB È un po’ più grande di Piazza San Marco a Venezia e, se fino a pochi anni fa era un semplice spiazzo delimitato in fondo dal Parlamento e interrotto solo dalla statua dedicata all’”eroe rosso”, oggi si presenta con un colpo d’occhio decisamente più vivace e moderno. Nel 2006, per gli ottocento anni dell’Impero mongolo, è stato eretto uno sfarzoso colonnato a cui si accede da un’ampia scalinata. In fondo, accomodato sul trono, il gigantesco monumento a Chinggis Khan che con la sua mole sembra vegliare su tutta la piazza ridimensionando perfino la statua di Sükhbaatar che impenna sul cavallo a pochi metri di distanza. (foto 4, di Federico Pistone) Ai lati dell’antico condottiero, due altre sculture equestri di guerrieri mongoli e alle estremità Ögödei Khan (a destra) e Khubilai Khan (a sinistra). Sulla destra, guardando il Parlamento, ecco la Central tower, il palazzone con uffici, negozi e abitazioni di lusso. Di fronte il Blu Sky tower, la spettacolare “vela” popolata da hotel e uffici, che piace molto ai mongoli, ma, in verità, toglie atmosfera romantica al cuore cittadino. Sempre su quel lato si succedono il Teatro dell’Opera con il relativo museo e il Centro della cultura mentre gli altri edifici della piazza sono sedi di partiti e sindacati, la Borsa, l’Ufficio postale e poco discosti i più importanti musei. La piazza Sükhbaatar, che per qualche mese nel 2015 aveva cambiato nome in piazza Chinggis Khan per poi tornare al battesimo originale, è il vero salotto della città, anche se d’inverno si spopola e diventa dominio del freddo e del vento. È anche un punto di riferimento per gli stranieri: da qui ogni luogo della città è facilmente raggiungibile. testo di Federico Pistone e Dulamdorj Tserendulam per mongolia.it
GANDAN È il monastero più grande e frequentato della Mongolia con 400 monaci e centinaia di fedeli ogni giorno (a sinistra, foto di Federico Pistone). Eppure conserva un'atmosfera di gioia mistica unita ad allegria terrena che lo rende una vera oasi nel caos della città. Il nome completo è lungo e impronunciabile, Gandantegcinlen khiid (significa “il monastero della felicità perfetta”) ma per tutti è semplicemente Gandan. Dalla collina spunta improvvisa la sagoma del tempio principale, il Megjid janraiseg (il dio che guarda ovunque), uno splendido edificio candido in stile tibetano sovrastato da una struttura a pagoda tipicamente cinese con porticati in legno rosso e tegole verdi. E’ questo il vero simbolo di Ulaanbaatar. Per entrare in questa cittadella della fede dovete prima varcare un delizioso porticato sempre a forma di pagoda ornato di fregi religiosi. Il piazzale è costellato da strutture sacre: muri, pedane e pali dove i mongoli, dai bambini ai più anziani, si affollano per pregare con gesti semplici e suggestivi. La prima cosa che catturerà la vostra attenzione appena entrati nel tempio principale è la statua alta più di 26 metri. Non è Buddha come molti potrebbero credere ma Megjid Janraiseg, il Dio che guarda ovunque, conosciuto anche in molte altre denominazioni come Avalokiteshvara e Chenrezi. Il Dalai Lama in persona, considerato la reincarnazione di questo santo, ha consacrato la statua nel 1996 dopo cinque anni di lavoro affidato a cinquanta artigiani e artisti: la struttura pesa 20 tonnellate ed è in acciaio e rame proveniente dalle miniere di Erdenet con fregi d’oro e argento dal Nepal e dal Giappone e duemila pietre preziose. I monaci assicurano che all’interno sono conservati molti gioielli, una quantità enorme di piante medicinali e più di trecento libri di preghiera. Per sessant’anni la zona centrale del tempio era rimasta vuota, dopo che i sovietici, nel 1937, avevano trafugato la meravigliosa scultura precedente, in oro e bronzo, alta 20 metri che il Bogd Khan aveva fatto erigere nel 1911 dedicandola sempre a Janraiseg. Quando riuscirete a distogliere lo sguardo dal santo, potete girare intorno, in senso orario, alla statua e ammirare il resto del tempio. Il dio della longevità, Amitayus, vi guarda dal chiaroscuro di centinaia di immagini che ornano le pareti ma anche dagli inquietanti personaggi dei tankha, gli arazzi sacri del buddhismo. Le funzioni religiose, a cui si può assistere sempre nel massimo silenzio e senza fotografare, cominciano di solito alle 10 del mattino. Sulla sinistra, sempre dando le spalle al tempio, si apre un altro cortile dove si possono ammirare altri templi. L’Ochidara (o Vajradara), costruito in pietra e mattoni nel 1841, ospita le principali funzioni lamaiste sotto la protezione della statua di Tsongkapa, fondatore dell’ordine dei berretti gialli del buddhismo tibetano. Nello stesso cortile si trovano il tempio Zuu (tempio di Buddha), detto anche tempio del gioiello, edificato nel 1869 per accogliere il giovanissimo settimo Buddha vivente (Bogd gegeen) e il tempio di Didan-Lavran che ospitò la biblioteca del quinto Buddha e lo stesso Dalai Lama nel 1904. Gandan è ufficialmente aperto dalle 9 alle 11 tutti giorni, dalle 9 alle 13 la domenica, ma ci si può recare anche nel resto della giornata fino alle 21. Sito ufficiale: www.gandan.mn (foto 1) GHESAR Fa parte del monastero di Gandan ma è leggermente discosto verso nord est e separato dai templi principali da una strada trafficata, la Khuvisgalchdyn gudamj. E’ dedicato al mitico re tibetano Ghesar ed è una deliziosa struttura in stile cinese molto frequentata dai fedeli mongoli che qui possono comprare delle benedizioni e delle erbe “miracolose”. L’ingresso, dalle 9 a mezzogiorno, è gratuito anche per gli stranieri. BAKULA RENBUCHI A chiudere il triangolo con Gandan e Ghesar, sorge questo tempio simbolo della cooperazione religiosa fra Mongolia e India. Fondato nel 1999 dall’ambasciatore indiano Bakula Renbuchi, reincarnazione di un lama del Ladakh, ospita un centro di medicina buddhista e testimonianze dell’antica scrittura uigura. All’interno di uno stupa sono conservate le ceneri di Bakula. CHOIJIN LAMA Torniamo in centro città: dando le spalle alla piazza principale, percorriamo cento metri e sulla sinistra, inconfondibile, si apre un complesso di templi rossi con il tetto verde: è il monastero-museo di Choijin (pronuncia Cioigin, è un alto grado gerarchico dei monaci) Lama, aperto tutti i giorni d’estate dalle 10 alle 17 e con orario più incerto nel resto dell’anno. Qui visse il fratello minore del Bogd Khan dal 1908, Luvsan Haidav, potente monaco lama. Il monastero fu poi chiuso nel 1938 e trasformato in museo nel 1942, evitando così la distruzione. Oggi non si svolgono più riti religiosi ma una visita ai cinque templi è obbligatoria sia per la bellezza della struttura esterna, impreziosita da dipinti dedicati al Buddha, sia per i capolavori contenuti. Il primo padiglione (Maharaja) è protetto da quattro minacciosi guardiani e porta al tempio principale, detto anche “della passione”. Qui si ammirano una statua di Buddha, i resti mummificati di Baldanchoinbol, tutore del Bogd Khan, antichi libri di preghiera, maschere Tsam, splendidi thanka e, in mezzo alla sala, il trono. Si prosegue nel tempio di Zuu, dedicato al Buddha Sakyamuni. Il tempio di Yadam è solitamente chiuso ai visitatori e contiene tesori d’arte religiosa fra cui una statua di Sitasamvara scolpita da Zanabazar. L’ultimo tempio, di Amgalan, è ricco di oggetti preziosi fra cui molte opere dello stesso Zanabazar. (foto 2) PALAZZO D’INVERNO DEL BOGD KHAN Dopo il ponte sul fiume Selbe potete già distinguere le sagome del Palazzo d’inverno dove per vent’anni visse il Bogd Khan (foto a destra, di Federico Pistone), personaggio singolare che per primo governò la Mongolia dopo l’indipendenza del 1921. Il suo vero nome è forse il più lungo della storia, 44 lettere: Agvaanluvsanchoooyjindanzanvaanchigbalsambuu. Era a metà strada fra un santo, reincarnazione di Zanabazar, e un condottiero senza scrupoli: nel 1872 si impadronì del potere e nel 1911 viene proclamato Bogd Khan e posto al vertice del movimento di indipendenza mongolo sui manchu prima di essere eletto a capo del Governo Popolare della Mongolia senza però nessun potere effettivo. Muore nel 1924 tra alcolismo e scandali sessuali. Il suo spirito eccentrico lo si intuisce dall’inquietante esposizione nel palazzo di una quantità esagerata di animali rari imbalsamati e di una gher rivestita con le pelli di 150 leopardi delle nevi che, anche grazie a questo signore, oggi sono quasi estinti. Il complesso del Palazzo, ristrutturato alla fine del 2007, è gradevolissimo con una serie di stanze affondate nel verde. I gestori vi seguiranno con le chiavi aprendo le varie sale di volta in volta e richiudendole appena ne uscirete. Troverete aperto il complesso di solito dalle 9.30 alle 16.30 (gli orari però sono piuttosto elastici: attenzione perché resta chiuso, misteriosamente, il mercoledì e il giovedì). L’ingresso del Palazzo del Bogd Khan, diventato museo dal 1961, è un sontuoso portone di legno realizzato senza l’utilizzo di nessun chiodo ma con 108 incastri, numero sacro per il buddhismo. Ma i visitatori entrano da una porticina laterale, alla cui destra si apre il vero e proprio Palazzo d’inverno, un edificio bianco arredato da sfarzosi doni portati al padrone di casa da autorità straniere, come un paio di stivali d’oro massiccio offerti dallo zar di Russia, gioielli, magnifici vestiti e mobili d’epoca. Al piano superiore si trova una decina di sale: si possono ammirare il trono e altre poltrone di pregio, una notevole collezione di thanka, da non perdere, la parrucca e i gioielli della regina, una catena di teschi in avorio, una pelliccia del sovrano confezionato con 80 pelli di volpe oltre a una giacca che è costata il sacrificio di 600 zibellini, il documento originale della dichiarazione d’indipendenza dalla Cina e, paradossalmente, alcuni vasi cinesi. Proseguendo nel cortile del Palazzo si può passeggiare fra i vari templi e padiglioni, che conservano autentici gioielli di arte e religione, fra cui capolavori di Zanabazar, il più grande artista mongolo vissuto nel Seicento. Di fronte alla residenza del Bogd Khan si trova il Tempio di Maharajas che custodisce strumenti musicali, pitture e oggetti religiosi; più avanti il Tempio degli Apostoli (detto Naidan) con due tempietti laterali addobbati da pitture buddhiste e, in fondo, il tempio principale, chiamato Nogoon laviran: questo era il luogo riservato al Bogd Khan per le sue preghiere. E’ arricchito da sculture di artisti mongoli e tibetani del Settecento e dell’Ottocento. (foto 3) DAMBADARJAA Anche se resta poco dell’originale di fine Settecento, è interessante una breve escursione a nord della città per ammirare questo monastero costruito dall’imperatore manchu che accoglieva circa 1.200 monaci. Nel 1937 è stato trasformato in ospedale ma conserva ancora alcuni dei 30 templi originali. DASH CHOILON Attraversando la piazza principale da via Sukhbaatar e proseguendo mezzo chilometro a nord est, si incontra il Dash Choilon, un monastero ricostruito nel 1991 all’interno di tre strutture che ricordano delle enormi gher, ereditate dal circo di stato. Un centinaio di monaci vivono qui ma, contrariamente a Gandan e ad altri monasteri mongoli, sono “berretti rossi”, concorrenti dei “berretti gialli” legati al Dalai Lama. Aperto dalle 10 a mezzogiorno, con possibilità di assistere, discretamente, alle funzioni religiose. OTOCHMAARAMBA Proseguendo un chilometro a nordest rispetto al Dash Choilin (siamo già nella polverosa periferia della capitale, oltre la “tangenziale” dell’Ikh toiruu nel distretto Bayanzurk), c’è l’Otochmaarambam. Come monastero non offre molto di interessante ma, sulla base delle tradizioni conservate dai monaci, ospita la sede del Mamba Datsan, clinica di medicina buddhista. E’ aperta dalle 9 a mezzogiorno.
MUSEO NAZIONALE DELLA STORIA MONGOLA Aperto dalle 10 alle 16.30 da martedì a sabato (ma gli orari sono piuttosto elastici), chiuso domenica e lunedì. Si trova appena a sinistra rispetto al Parlamento nella piazza principale: è una struttura grigia e squadrata ma dentro custodisce dei veri gioielli della storia mongola, dalle origini fino agli usi e costumi quotidiani, passando attraverso le reliquie del grande impero di Gengis Khan. Primo piano: antiche pitture, petroglifi (incisioni su pietra), steli e altri oggetti risalenti al periodo unno e uiguro. Secondo piano: splendida collezione di costumi di tutte le etnie mongole con corredo di cappelli e ornamenti. Terzo piano: è il più entusiasmante. Si possono rivivere le gesta epiche di Gengis Khan e dei guerrieri mongoli attraverso armature antiche perfettamente conservate, armi e altri strumenti bellici, selle, ma anche una gher completa, strumenti musicali e il carteggio originale del 1246 tra papa Innocenzo IV e il khan Guyuk, con tanto di sigillo imperiale. Ci sono anche oggetti religiosi, come l’inquietante corno Ganlin realizzato con femori umani e utilizzato dai monaci per chiamare i fedeli alla preghiera e allontanare gli spiriti maligni. Il sito Internet ufficiale è www.nationalmuseum.mn (foto 1) MUSEO DI STORIA NATURALE Poche decine di metri più a nord rispetto al Museo nazionale della storia mongola, si incontra un ampio edificio candido a tre piani che ospita l’emozionante Museo di storia naturale, un vero e proprio balzo nella preistoria. Senza troppi fronzoli estetici, sono esposti alcuni scheletri integrali di dinosauri rinvenuti nel deserto del Gobi negli anni Venti dal paleontologo Ray Chapman Andrews. Tra questi, un Saurolophus, bestione con il becco d'anatra che raggiungeva 8 metri di altezza cibandosi di sola erba, ma si resta a bocca aperta di fronte al cugino asiatico del tirannosauro, 12 metri in lunghezza e 5 in altezza: è il Tarbosauro, vorace divoratore di carogne chiamato Tarbosaurus. Ci sono anche fossili, ossa e uova di dinosauro, meteoriti. Al secondo piano, il museo del cammello. (foto 2, di Sergio Conti) MUSEO DI BELLE ARTI (ZANABAZAR) Se arrivate al Parlamento in piazza Sukhebaatar, imboccate la strada subito a sinistra (la Khudaldaany gudamj) e percorretela per circa cinquecento metri. Sulla destra troverete un civettuolo edificio verde acqua che ospita la più bella galleria d’arte della Mongolia dedicatA a Zanabazar (1635-1724), il Leonardo da Vinci delle steppe. Ristrutturato in occasione degli 800 anni dell’Impero nel 2006, è aperto ogni giorno dalle 9 alle 18. Fondato nel 1966, raccoglie testimonianze antiche, oltre diecimila opere d’arte, molte delle quali provenienti da monasteri distrutti dalle purghe sovietiche e soprattutto la migliore produzione delle raffinatissime sculture di Zanabazar. Il museo è diviso in  varie sezioni. Arte antica: sono esposte sculture in roccia del neolitico fino al periodo turco del VII secolo. Zanabazar: i capolavori dell’artista sono concentrati in questa sala, la più suggestiva del museo. Oltre alle sue meravigliose statue buddhiste in bronzo, si possono ammirare dipinti, molti dei quali sono stati realizzati dai suoi allievi che hanno ritratto Zanabazar come un dio. Thanka e mandala: migliaia di meravigliosi arazzi sacri di ogni dimensione, secondo la tradizione tibetana, sono esposti in diverse sale. Oggetti rituali: tutta l’arte buddhista in questo padiglione che comprende costumi e maschere Tsam, oltre a una bellissima esposizione di oggetti religiosi. Galleria Sharav: i dipinti del pittore Marzan Sharav (1869-1939) diventati ormai patrimonio tradizionale mongolo. I due più famosi sono “La festa dell’airag” e soprattutto “Un giorno in Mongolia” che descrive come in un mosaico tutte le attività classiche che si svolgono nella comunità, alcune anche piuttosto forti o scabrose. Pitture moderne: collezione di quadri dal XIX secolo a oggi, realizzati con tecniche tradizionali, su legno, fino ad arrivare alle più recenti tendenze artistiche. All’interno dl museo c’è anche una sala dedicata alle mostre temporanee, che ospita soprattutto i pittori giovani ed emergenti. Il museo di belle arti Zanabazar si può anche visitare su Internet all’indirizzo: www.zanabazarmuseum.org (foto 3) MUSEO DELLE VITTIME DELL'OPPRESSIONE POLITICA Cinquecento metri dalla piazza principale, dandole le spalle, si trova una casa di legno a due piani che custodisce gli orrori delle persecuzioni sovietiche dal 1930 al 1952. Ventottomila mongoli, soprattutto monaci, intellettuali e scienziati ma anche donne e bambini, morirono in nome del comunismo. La loro memoria è nei documenti, nelle fotografie e nei nomi incisi sulle pareti di questo museo triste ma molto interessante, oltre che doveroso. Il museo è dedicato al premier Genden, assassinato a Mosca dal Kgb per aver rifiutato gli ordini di Stalin che trovò invece un partner prezioso in Choibalsan. La figlia di Genden nel 1996 mise a disposizione questa casa per trasformarla in un museo della memoria. E’ aperto da lunedì a venerdì dalle 10 alle 16.30 e il sabato dalle 13 alle 14.30. MUSEO INTERNAZIONALE DELL'INTELLETTO Un paio di chilometri a est della piazza Sukhbaatar, non lontano dal palazzo dei lottatori,  sorge questo delizioso appassionante museo ingiustamente snobbato dai tour classici della città: è un vero e proprio elogio all’intelletto umano attraverso 11.000 oggetti provenienti da tutti i paesi del mondo. Sono esposti (ma in molti casi si possono anche maneggiare) migliaia di puzzle di ogni dimensione e difficoltà, giochi che sembrano magie ma che si basano su illusioni ottiche, inerzia, equilibrio, gravità, migliaia di bambole proveniente da cento Paesi, alcune antichissime. E poi c’è una scacchiera gigantesca (oltre 7 metri per lato), dove sono rappresentati personagi epici come Gengis Khan e la principessa Mandhukai, e una scacchiera minuscola, di dieci centimetri per lato e con pezzi intagliati nel legno alti 4 millimetri. Aperto ogni giorno dalle 10 alle 18. MUSEO DI ULAANBAATAR Un chilometro e mezzo da piazza Sukhbaatar, percorrendo il viale della Pace in direzione opposta a Gandan, si raggiunge il museo cittadino di Ulaanbaatar, davanti all’ambasciata inglese e di fianco al palazzetto dei lottatori. Questa casetta bianca a un solo piano, aperta d’estate dalle 9 alle 16, chiusa sabato e domenica racconta la storia della capitale dalla sua fondazione nel 1639 ai giorni nostri attraverso documenti rari, illustrazioni e foto d’epoca. C’è anche una bizzarra veduta di Ulaanbaatar incisa su una zanna di elefante e opere intagliate sul legno dell’artista mongolo Natsagdorj, a cui pure è dedicato un piccolo museo autonomo vicino alla biblioteca nazionale sul viale Gengis Khan. MUSEO MILITARE Alla periferia est della città, qualche chilometro dal centro, un edificio che assomiglia a una nave ed è annunciato da pezzi di artiglieria e carri armati parcheggiati di fronte. All’interno si possono visitare due sezioni distinte: il padiglione orientale propone reperti dall’età della pietra fino al XIX secolo, in quello occidentale c’è la storia bellica più recente, dalla rivoluzione del 1921 alla Seconda guerra mondiale, con armi, bandiere, uniformi e pitture. Il museo è aperto d’estate, tranne martedì e mercoledì, dalle 10 alle 17.