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1 dicembre 2015 AMBIENTE

Riscaldamento climatico, cashmere a rischio

Il 30 novembre è iniziata a Parigi la XXI Conferenza sul clima, a cui partecipano più di 190 leader mondiali, per decidere come rallentare l’aumento della temperatura terreste nei prossimi decenni. I cambiamenti climatici, provocati soprattutto dalle emissioni di gas serra, riguardano anche l’industria della moda: molte materie prime fondamentali – come lana, cotone, seta – dipendono dall’ambiente circostante, e sono particolarmente minacciate dalla desertificazione. Secondo un rapporto della multinazionale del lusso Kering e di Business for Social Responsibility (un’organizzazione che si occupa di sostenibilità ambientale), l’innalzamento della temperatura e la conseguente desertificazione rendono più difficile allevare e far pascolare adeguatamente gli animali. Il settore che in futuro potrebbe risentirne di più è quello del cashmere, come scrive l’importante sito di moda Business Of Fashion (BOF). Secondo dati della società di consulenza Bain, i prodotti in cashmere valgono quattro dei 60 miliardi di euro fatturati dal mercato del lusso. Mentre il cotone, la seta o la pelle possono essere prodotti anche artificialmente, il cashmere si ottiene soltanto da un’unica specie di capre, che vive nelle praterie di aree geografiche ben definite. Il cashmere è realizzato con il pelo invernale delle capre hircus: la loro lana tosata ogni anno in tutto il mondo è compresa tra le 15 mila e le 20 mila tonnellate, con 6500 tonnellate di cashmere puro, cioè quello ottenuto dopo la pulitura (un maglione è fatto con la lana di circa quattro animali). La maggior parte del cashmere proviene dalla Cina, dove vivono circa 100 milioni di capre. I marchi del lusso sono molto esigenti e utilizzano soprattutto quello proveniente dalla Mongolia e dalla Mongolia Interna, una regione autonoma della Cina, caratterizzato da fibre più fini, lunghe e chiare. Secondo il Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite, il 90 per cento della Mongolia è a crescente rischio di desertificazione. Nel 2010 a causa prima della siccità, che d’estate ridusse l’erba nelle praterie, e poi di un inverno troppo rigido, sono morti nove milioni di capi di bestiame, tra cui anche capre hircus. In generale la resa del cashmere è determinata dalle condizioni invernali, che influiscono sulla crescita della lana: temperature più alte possono alterare la normale produzione. Negli ultimi anni le richieste di cashmere sono aumentate: oggi non viene venduto solo nel settore del lusso ma anche dalle catene di fast fashion come Zara e H&M, che producono molte collezioni a basso costo per ogni stagione. Di conseguenza gli allevatori hanno cercato di aumentare la quantità di bestiame: dal 1993 al 2009 in Mongolia le capre hircus sono passate da 23 a 44 milioni. Il risultato è un circolo vizioso: più animali che forniscono lana comportano una maggiore necessità di pascoli e un degrado ulteriore delle praterie. Inoltre le capre non nutrite adeguatamente sviluppano un pelo più grosso e ruvido, facendo abbassare anche la qualità del cashmere. Due anni fa il governo cinese ha limitato il numero di acri da destinare ai pascoli – un tentativo per ridurne l’impoverimento – ma la Mongolia e altri paesi come l’Afghanistan non sono in grado di imporre limitazioni di questo tipo. Una soluzione per le aziende del lusso è intervenire direttamente al livello della produzione. Nel 2009 Loro Piana, un marchio italiano specializzato nella produzione di capi in cashmere, ha lanciato un programma di allevamento di 24mila capre hircus in Cina, della durata di cinque anni. Ha allevato così solo le capre dal mantello migliore, ha ottenuto una minore quantità di cashmere ma di maggior qualità, e contenuto nel suo piccolo la desertificazione di quella zona. (fonte ilpost.it, foto Federico Pistone)