Il Padiglione della Mongolia (nella foto) alla cinquantottesima edizione della Biennale di Venezia propone un progetto interdisciplinare intitolato A temporality, curato da Gantuya Badamgarav con la collaborazione di Carsten Nicolai, meglio conosciuto come Alva Noto: per la sua terza partecipazione alla mostra veneziana, il paese asiatico porta in Laguna le installazioni scultoree dell’artista Jantsankhorol Erdenebayar, alias Jantsa, e una performance sonora interattiva di canti di gola tradizionali mongoli, accompagnati dall’artista e compositore tedesco Carsten Nicolai, alias Alva Noto. Gli antichi mongoli hanno sempre mantenuto uno stile di vita nomade in cui lo sviluppo e l’accumulo di creazioni tangibili, come la letteratura e l’arte, sono stati limitati dallo stile di vita pastorale, che richiedeva un costante movimento. A causa di questo limitato contesto, le tradizioni orali sono emerse e si sono evolute come principale mezzo di espressione e sono state tramandate attraverso le generazioni. Con lo scorrere del tempo, le tecniche di espressione orale hanno acquisito forme uniche e complesse, che sono ora riconosciute dall’UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. In origine, i mongoli praticavano il canto di gola come mezzo per comunicare con i loro sé interiori, l’ambiente intorno e il mondo animale. I suoni differivano a seconda dell’ambiente e delle menti più o meno evolute, dei corpi e gli spiriti delle persone che li emettevano. Al giorno d’oggi, l’interazione tra esseri umani e natura è drasticamente attenuata e al contrario gli ambienti creati dall’uomo si sono sovrapposti a secoli di relazioni naturali, con il risultato che blocchi di cemento, vetri, pannelli e asfalti diventano i punti focali dell’interazione.Tenendo presente questa alterazione e le opere precedenti dell’artista Jantsa, che si sono concentrate sulle trasformazioni e gli aggiustamenti tra esseri viventi e non viventi, il curatore Gantuya ha commissionato all’artista la creazione di installazioni scultoree che dialoghino con le stanze anguste e interconnesse con pareti in mattoni della vecchia casa veneziana in calle del Forno dove è stato allestito il padiglione mongolo. Inoltre, ha invitato Alva Noto ad unirsi al progetto ed esibirsi insieme ai cantanti mongoli per trasformare e tradurre gli antichi strumenti delle espressioni orali in una forma d’arte contemporanea interagendo con lo spazio creato da Jantsa. Nato in una famiglia di artisti, Jantsa ha conseguito la laurea presso l’Hunter College di New York e sta attualmente completando il programma MFA presso l’University of California, a Los Angeles, California. Profondamente consapevole delle sue radici, Jantsa è sempre stato affascinato dai racconti mongoli, dagli indovinelli, dai proverbi e dalle strutture mentali intellettuali e comunicative che sono state costruite dai suoi predecessori. Indaga le trasformazioni dei tabù, dei rituali, delle superstizioni e delle abitudini socialmente costruite e crea un dialogo tra passato e presente. Giustapponendo le opere contemporanee con lo spirito della vecchia casa veneziana, le installazioni scultoree di Jantsa offriranno agli spettatori momenti di fugace oblio e reminiscenza, in cui gli artisti potranno interagire con lo spazio e gli oggetti, e creare performance emettendo suoni astratti usando tecniche tradizionali di canto di gola e musica elettronica. I suoni saranno installati nello spazio espositivo durante l’Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia. A Temporality si propone di imporre l’idea dell’effimero all’interno delle nostre percezioni, cercando di evocare una miscela di forme, materiali e suoni che vuole mettere in discussione le mentalità socialmente costruite e indagare diverse forme di resistenza. (fonte Finestre sull'Arte)