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2 settembre 2020 PRIMO PIANO

"Solo lingua cinese" La protesta dei mongoli

Sono gli eredi di un impero che, pur se brevemente, tra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo, unì politicamente Oriente e Occidente e fu il secondo più vasto della Storia. Il suo fondatore, Gengis Khan, è avvolto ancora da un’aura di grandezza (e terrore). Oggi, i discendenti dei guerrieri che non scendevano mai da cavallo, nemmeno per dormire o mangiare, sono andati in strada, nella regione rimasta in mano alla Cina e che oggi è chiamata Mongolia Interna, per salvare l’ultima vestigia della loro identità: la lingua. In migliaia, riferisce il New York Times, hanno manifestato contro la decisione delle autorità di Pechino di «armonizzare» i curriculum scolastici nazionali togliendo alle minoranze, mongoli e coreani ma anche tibetani e uiguri, la facoltà di insegnare materie come letteratura o storia nella propria lingua, sostituendola con il «putonghua», ovvero il cinese standard (da noi spesso chiamato Mandarino). Pechino ha giustificato la decisione con l’intento di favorire l’integrazione delle minoranze nella società - la Cina è al 91% etnicamente Han, come i cinesi definiscono se stessi - ma la reazione è stata immediata e i genitori hanno minacciato di non mandare più i loro figli a scuola. Per i mongoli che vivono nella provincia che confina con la Repubblica di Mongolia (per i cinesi: Mongolia Esterna), indipendente dal 1921, la lingua è forse l’ultimo baluardo di una civiltà che sta affogando nella modernizzazione. Abituati all’isolamento, alle distese erbose senza fine, i mongoli sono stati sempre attenti a non irritare le autorità comuniste in cambio di un’autonomia culturale che solo da poco, sotto la presidenza di Xi Jinping, è stata messa in discussione. Difficile dire come finirà: tutte le testimonianze delle proteste che hanno invaso la Rete da giorni, sono state cancellate dalla censura. Ci sono stati arresti ma poco sfugge all’ordine del silenzio. Per quest’ultima battaglia i mongoli avranno bisogno di qualcosa di più veloce dei loro cavalli.

(Corriere della Sera - Paolo Salom)