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16 marzo 2023

Marengo: «Il Papa ci insegna la piccolezza»

Giorgio Marengo è il giovane vescovo della Mongolia che Bergoglio ha creato cardinale: «Francesco», dice, «ci insegna il valore della “piccolezza” davanti agli occhi di Dio e ha reso la Chiesa veramente universale» (intervista da Famiglia Cristiana, autore Paolo Affatato)

Piccolezza, comunione, trasparenza. In sintesi: Vangelo. Sono gli aspetti e le parole che, pensando ai dieci anni di pontificato di papa Francesco, sottolinea in questa intervista a Credere il cardinale Giorgio Marengo, vescovo e missionario della Consolata, dal 2020 prefetto apostolico di Ulaanbaatar, in Mongolia.

Cardinale Marengo, quali sono i suoi sentimenti e le valutazioni sui dieci anni di pontificato di Francesco?

«Le valutazioni le lascerei agli storici. Da parte mia, sento di ringraziare Dio perché continua a guidare la sua Chiesa e ci ha dato in papa Francesco un successore di Pietro che concretamente garantisce la Chiesa nell’unità della fede e continua a governarla con passione».

Quali sono le “lezioni” che, a livello personale e come Chiesa in Mongolia, avete appreso da lui?

«Ne vedo nitidamente due, sia come persona, sia come Chiesa in Mongolia: la prima è la centralità data alla fede, un richiamo continuo alla relazione personale con Cristo vissuta nella Chiesa. Accanto a questa, il valore della “piccolezza evangelica”: ciò che agli occhi del mondo è piccolo è invece importante agli occhi di Dio. Citerei, poi, l’importanza della coerenza e l’amore verso le persone ai margini. A livello personale, ammiro molto la sua capacità di toccare questioni molto profonde usando parole semplici, con linguaggio diretto, non autoreferenziale. A volte noi sacerdoti e vescovi rischiamo di “parlarci addosso”, mentre Francesco, con parole comprensibili, va dritto al punto. Vorrei provare a imitarlo nel servizio della Parola a cui sono chiamato anch’io, come pastore di questa Chiesa, per andare veramente al cuore. C’è una parresìa evangelica che tutti riconoscono a papa Francesco, unita alla capacità di essere anche poetico e parlare con immagini».

Un Papa venuto “dalla fine del mondo” ha scelto cardinali anch’essi “dalla fine del mondo”, come nel suo caso: cosa vuol dire?

«Questo ci ha insegnato a pensare in termini di maggiore universalità della Chiesa. Le scelte di papa Francesco ci aiutano a cogliere maggiormente l’ampiezza della comunità ecclesiale e la sua ricchezza, in termini di varietà, sempre dentro la fondamentale comunione che ci fa un unico Popolo di Dio. Il Papa dimostra grande attenzione alle realtà che sembrano più lontane, promuovendo anche quelle esperienze di marginalità che gli stanno tanto a cuore probabilmente perché vi riconosce degli elementi di potenziale arricchimento per tutti».

Sono cambiati, in questi dieci anni, la visione, lo stile di vita, il modo di “essere comunità” per i cattolici in Mongolia e poi, a livello universale, per i cattolici in tutto il mondo?

«Gli ultimi dieci anni costituiscono il terzo decennio di vita della Chiesa cattolica in Mongolia, un tempo in cui vi è stato un cammino di appropriazione sempre più personale della fede. Dopo il primo ventennio, dove tutto era ancora nuovo, in questa terza decade – che corrisponde al pontificato di papa Francesco – si sono visti processi di consolidamento dell’identità ecclesiale. Anche a livello universale forse si può parlare di un processo analogo, naturalmente con le specificità esistenti: con la sua acutezza di vedute, papa Francesco provoca tutti i credenti a non dare per scontato il nostro vivere la fede, chiamandoci a riscoprirne sempre e di nuovo la bellezza. E a proporla agli altri con serietà, coraggio e gioia. Questa dimensione del pontificato di papa Francesco è molto importante: dalla sua testimonianza traspare l’urgenza di una conversione continua, a cui tutti siamo chiamati».

E come è cambiata la percezione della Chiesa dall’esterno, da parte di membri di altre comunità religiose o dei non credenti?

«Vivendo in Mongolia, posso confermare che di papa Francesco si apprezza molto la schiettezza, accanto alla sua personale coerenza. Sento spesso persone completamente estranee al mondo ecclesiale citare le frasi di papa Francesco proprio per il suo “andare al cuore delle questioni”. Nei suoi discorsi, c’è un richiamo continuo a valori universali, sui quali costruire ponti e collaborazioni con tutti. Il fatto che un Papa parli di temi di attualità come la difesa del creato e la promozione della giustizia, credo abbia fatto sì che la Chiesa venga percepita come un’istituzione viva e coinvolta nelle vicende del mondo, con qualcosa di importante da dire»

Nell’ambito della missione evangelizzatrice della Chiesa, ha notato, nella sua sensibilità, una sfumatura peculiare, desunta dalle parole o dai gesti di papa Francesco?

«Per me l’attenzione ai piccoli e un maggior coinvolgimento di tutta la compagine ecclesiale, come esperienza sinodale, sono elementi che emergono più di altri. Papa Francesco è anche un esempio di grande libertà interiore, pure nel parlare di temi di attualità. Questo nasce da quella franchezza che accompagna chi osserva, pondera, porta nella preghiera e poi si lascia condurre dallo Spirito, anche per decisioni difficili o impopolari. Non conta tanto il “si è fatto sempre così”, Francesco si preoccupa perché le sue decisioni siano autenticamente in sintonia con il Vangelo mantenendosi con forza nella tradizione apostolica. Vuole che tutto nella Chiesa abbia sapore di Vangelo».

Ci sono alcune parole-chiave e documenti del magistero del Papa che oggi porta nel cuore in modo speciale?

«Innanzitutto direi “Vangelo”: rimettere il Vangelo e la relazione personale con Cristo al centro della vita ecclesiale. Direi anche “comunione”. E, legata a queste prime due parole, direi “missione ed evangelizzazione”. Vorrei citare anche la parola “trasparenza”, come invito a lasciarsi attraversare dalla luce di Cristo, in tutti i processi interni alla Chiesa. Poi “piccolezza”, come ho già detto. E “vicinanza”, cioè farsi vicini a ogni persona. Aggiungo la parola “discernimento”, modalità con cui ci poniamo nel mondo come discepoli di Cristo. Tra i documenti del suo magistero, sono legato in modo speciale alle due esortazioni apostoliche Evangelii gaudium e Gaudete et exsultate. Il richiamo alla gioia del Vangelo penso sia molto bello, è una parola centrale»