ULAANBAATAR WEATHER
1 settembre 2023 PRIMO PIANO

“Il deserto ci faccia capire il silenzio”

di Stefano Vecchi, inviato del Corriere della Sera 
ULAN BATOR — Difficile, fare diplomazia in tempi di guerra? «Non immaginate quanto. A volte bisogna avere un po’ di senso dell’umorismo…». Nel volo che lo ha portato in Mongolia prima dell’alba di venerdì, quando in Italia erano le 4 del mattino, Francesco passa come sempre a salutare uno a uno i giornalisti che lo seguono nel suo quarantatreesimo viaggio internazionale, il primo di un pontefice nella terra di Gengis Kahn.
Cammina appoggiato al bastone, l’aria un po’ stanca. La giornata di oggi non prevede impegni, Francesco riposerà nella prefettura apostolica per smaltire il fuso e sabato mattina, quando in Italia sarà ancora notte, incontrerà le autorità rivolgendo loro il suo primo discorso. E ci si attende che, in un Paese che si trova giusto tra Russia e Cina, il Papa torni a invocare il dialogo e la pace, in un mondo minacciato da quella «terza guerra mondiale a pezzi» che denuncia dall’inizio del pontificato. Anche di recente è stato contestato in Ucraina per le parole di elogio alla cultura e alla storia della Russia rivolte ad un gruppo di giovani cattolici riuniti a San Pietroburgo, che peraltro aveva invitato ad essere «seminatori e artigiani di pace in mezzo a tanti conflitti e polarizzazioni». Mentre sorvolava i cieli della Cina, dall’aereo è stato inviato il telegramma di Francesco al presidente cinese Xi Jinping, com’è consuetudine per ogni capo di Stato dei Paesi sulla rotta. Ma nel caso cinese ha un significato particolare, anche questa volta l’aereo del pontefice ha ottenuto il permesso di sorvolo come quando, tra il 13 e il 14 agosto 2014, nel volo che lo portava in Corea del Sud, Bergoglio fu il primo Papa della storia a poter attraversare i cieli della Cina. Nel telegramma di saluto a Xi Jinping e al popolo cinese, Francesco ha scritto: «Assicurandovi le mie preghiere per il benessere della nazione, invoco su tutti voi le benedizioni divine di unità e pace». Il deserto dei Gobi, la steppa, l’aereo papale ha sorvolato le distese sterminate della terra mongola, «ci farà bene capire questo silenzio così lungo, così grande, capire cosa significa non intellettualmente, ma con i sensi», ha detto Francesco citando il compositore russo Aleksandr Borodin, autore di una sinfonia sulle steppe dell’Asia centrale: «Farà bene forse ascoltare la musica di Borodin, che è stato capace di esprimere questa grandezza della Mongolia». A Ulan Bator sono gli ultimi giorni miti, qui d’inverno le temperature scendono oltre i quaranta sotto zero ma Francesco è arrivato in una giornata di sole. Il Paese è grande cinque volte l’Italia ma ha solo tre milioni e trecentomila abitanti, poco meno della metà concentrati nella capitale. Condomini modulari tirati su in serie, grattacieli sparsi, ciminiere, gru, la capitale porta i segni del passaggio brusco all’economia di mercato, dopo la caduta del comunismo. I primi missionari cattolici ritornarono negli Anni Novanta dopo secoli di assenza del cristianesimo. Il Papa incontrerà una delle comunità cattoliche più piccole del pianeta, appena millecinquecento fedeli in una nazione a maggioranza buddista. All’aeroporto è stato accolto dal prefetto apostolico Giorgio Marengo, 49 anni, il missionario che l’anno scorso il Francesco ha voluto fare cardinale, il più giovane porporato del mondo: un altro segno di attenzione alle «periferie» del pianeta.