Letteralmente “il centro del Gobi”: poco più di cinquantamila pastori popolano questa regione grande come l’Austria, transito obbligato per chi vuole raggiungere il deserto via terra. A parte qualche zona verde a nord, popolata da rare specie faunistiche, il resto è un paesaggio arido, colpito negli ultimi anni dal rovinoso fenomeno del permafrost o zud al quale la popolazione ha reagito con la migrazione verso la capitale o con la creazione di numerose aziende alimentari. La regione è ricca di miniere di carbone e rifornisce buona parte delle risorse destinate al riscaldamento della capitale. Siamo al centro della pianura di Khalkhsain a un’altitudine media di 1.500 metri con un picco di quasi duemila metri con il monte Delgerkhangai. Anche se è un territorio desertico, sono molti i corsi d’acqua che lo attraversano, tra ruscelli e piccoli laghi. Il fiume Onghi lambisce il Dundgobi nella parte occidentale. Il capoluogo è Mandalgobi, un polveroso villaggio di undicimila abitanti a 280 chilometri da Ulaanbaatar, formato da gher, baracche e abitazioni di cemento armato che fanno macchia in mezzo a una depressione del deserto. Dal 2007, in un modesto giardino, si può ammirare la statua di un morin khuur alta 7,40 m che ci rammenta quanto la regione sia orgogliosa di aver dato i natali ai più famosi cantanti di urtyn duu quali Norovbanzad e Dorjdagva. Per chi avesse visto Home e Human i meravigliosi documentari di Yann Arthus-Bertrand, sono urtyn duu il tema iniziale del film. La cittadina rappresenta un comodo e piacevole punto di riferimento per alcune escursioni nel Gobi, anche se siamo lontani dalle principali attrattive, concentrate più a sud, nell’Ömnögobi. Mandalgobi oggi offre un piccolo aeroporto a tre chilometri dal centro, scalo sulla rotta Ulaanbaatar-Dalanzadgad, alcuni alberghetti (come il pittoresco Gobi hotel) con ristoranti improvvisati, un supermercato, il museo dell’aimag (dove è conservato un prezioso Buddha in bronzo di Zanabazar, splendide reliquie religiose e armi antiche) e il monastero di Dashghimpel, costruito nel 1991 per ricordare i 53 templi distrutti nel Dundgobi nel 1937 dalle purghe sovietiche. Il monastero è raccolto e consiste semplicemente in un tempio di recente costruzione e di gher per ospitare i trenta monaci. I viaggiatori vengono accolti con un sorriso, ma resta la raccomandazione di un comportamento acconcio. Su una collina facilmente raggiungibile potrete individuare un ovoo (il cumulo sacro di rami e pietre), chiamato Mandalyn khar: da qui potete godervi un intenso panorama su Mandalgobi.
Baga Gazryn Chuluu
60 chilometri a nord-est di Mandalgobi e a 230 da UB, si trova il Baga Gazryn (Rocce del piccolo territorio), questa cresta granitica modellata dal tempo in forme fantasiose e canyon. Le sue rocce affiorano a intermittenza per una quindicina di chilometri, elevandosi fino a 300 metri al di sopra della steppa circostante e, trovandoci su un altopiano con altitudine di 1.450 m, il punto più alto raggiunge i 1.768 m sul livello del mare. La particolarità delle sue rocce, atte sia alla ritenzione che alla percolazione delle acque, ha contribuito alla ricchezza di acque sotterranee e sorgenti, una delle quali è famosa per la sua azione benefica sulla vista (Nüdnii Rashaan). Zona di frontiera fra la steppa e il Gobi, è da millenni area di caccia e pastorizia, come testimoniano petroglifi dell’età del bronzo e numerose tombe unne. Con la forma delle sue rocce e la ricchezza della natura è un luogo ideale per un pic-nic, una palestra meravigliosa per la fantasia di un bambino e forse anche per questo motivo è una meta prescelta da molte famiglie mongole. 110 Km ad est un’altra formazione rocciosa è Ikh Gazryn Chuluu (Rocce del grande territorio), più estesa, altrettanto suggestiva e ricca di flora e fauna selvatica. Da segnalare un teatro all’aperto, creato in onore di Norovbanzad, famosa cantante locale di urtyn duu (i canti tradizionali mongoli). (foto 1, di Federico Pistone)
Sum Khökh Bürd (Tempio dell’Oasi Azzurra)
Le sue vestigia si trovano nella provincia di Adaatsag su un’isoletta posta in mezzo a un lago le cui acque, a causa della recente siccità, si stanno lentamente abbassando con possibili conseguenze sull’habitat finora luogo di appuntamento di varie specie di uccelli. Le rovine del Khökh Bürd sono quanto resta di un monastero-fortezza costruito con pietre provenienti da imprecisati luoghi remoti, datato fra il XVI e il XVII secolo, a cui sono legate molte storie che sconfinano misteriosamente nella leggenda e nelle credenze sciamaniche.
L’edificio, costruito per volere di un maestro buddhista tibetano, rimase incompleto a causa della sua morte decisa dal potere manchu. In seguito cercò di completarlo l’illustre ed erudito Danzaravjaa ma invano, si dice per una maledizione lanciata dal maestro tibetano prima di morire.
Monastero Onghiin khiid
È uno dei luoghi più significativi dell’aimag con gli spettacolari resti di un monastero inaugurato nel XVIII secolo per opera di un maestro buddhista e il suo allievo. L’Onghiin khiid, che comprende i due complessi in rovina del Barilama khiid e del Khutagt khiid, era frequentato da circa cinquecento monaci prima di essere chiuso nel periodo sovietico e trasformato in un deposito. Dei ventotto edifici originali rimangono solo ruderi e gli ampi terrazzamenti utilizzati per creare spazi a ridosso del monte Saikhan-Ovoo. Nel 2004 è stato inaugurato un piccolo tempio adibito anche a museo il quale conserva molti oggetti e suppellettili dell’antica vita monastica e importanti sutra. Le rovine si estendono in una bella zona attraversata dal fiume Onghi, popolato da molte specie di uccelli. Sulle rocciose colline adiacenti gli abitanti del luogo hanno eretto una statua alla divinità Lus, signore dei monti e delle acque, affinché regoli il regime del fiume evitando inondazioni o siccità. (foto 2)
Tsagaan Suvarga (Stupa bianco)
Si trova nella zona più meridionale della provincia di Ölziit. Merita una visita se si è appassionati di geologia, fotografia e fossili. Un tempo infatti era un placido fondale marino, come testimoniano i reperti di cui è ricco. Oggi sfoggia la bellezza asciutta e cupa delle zone aride. È uno scalino scolpito dal tempo, largo 400 metri e alto 60, un suggestivo dirupo rivolto ad est che, visto da lontano, fa pensare ad una costruzione umana e da ciò deriva il nome di Stupa bianco. Provenendo da ovest potrebbe essere pericoloso se si arrivasse di notte; qualche incidente si è verificato con il bestiame, soprattutto in caso di violenti fenomeni atmosferici. Nelle vicinanze dello Tsagaan Suvarga, in direzione sud-ovest, vi sono delle formazioni rocciose famose soprattutto per i petroglifi denominate Del uul. Coprono un’area di 17 x 8 km e oltre agli innumerevoli petroglifi che ritraggono scene di caccia, di guerra, natura, animali domestici e carri, nascondono anche scritture paleoturche e scritture cinesi dell’epoca Tang (618-907 d.C.) È inoltre un importante sito archeologico dove sono state rinvenute 40 tombe risalenti alla tarda età del bronzo.
Riserva naturale Zaghiin Us
Questa riserva naturale che si estende a cavallo tra il Dundgobi, l’Ömnögobi e il Dornogobi, a sudest di Mandalgobi, è stata istituita nel 1996 principalmente a protezione dello Zag (Haloxylon ammodendron) denominato anche Saxaul. Si tratta di un albero a portamento arbustivo le cui radici elicoidali si protendono nel terreno, sia in profondità che in estensione, per 5 metri o ben oltre, conferendo stabilità alle sabbie e ostacolando il processo di desertificazione, un problema mondiale.
Purtroppo, a causa del suo potere calorico che si avvicina a quello del carbon fossile (i mongoli chiamano quest’albero “il carbone che vegeta”), è stato oggetto, in Mongolia come altrove, di irresponsabili saccheggi. Solo in tempi recenti si è pienamente compresa l’importanza dello Zag, facendone oggetto di studi e progetti di propagazione. È la foresta di Zag più a nord della Mongolia, nonché la più giovane e oltre al suo valore ecologico può essere apprezzata per la sua bellezza che le ha fatto guadagnare un secondo soprannome, “la foresta d’argento del Gobi d’oro”. Nonostante sia una zona particolarmente desertica e argillosa (si contano solo una decina di pozzi) ospita specie botaniche e faunistiche di particolare interesse. Fra le piante della riserva naturale Zaghiin Us si possono menzionare artemisie, potentille, stipe e un amatissimo (dai mongoli) aglio selvatico, in mongolo Taana (allium polyrhizum). Fra gli animali selvatici annovera la gazzella mongola, la volpe delle steppe, il gatto di Pallas (vedi capitolo 3), puzzole e roditori. Fra le poche specie di uccelli, tenuti a bada dall’aridità della regione, vi sono due specie di fagiani e un columbiforme.
Testo di Federico Pistone e Dulamdorj Tserendulam