ULAANBAATAR WEATHER

Prima di partire

Dal 2023 e fino al 2025 non è più necessario il visto (per viaggi non suepriori ai 30 giorni). È sufficiente il passaporto valido
Non è difficile né troppo costoso raggiungere Ulaanbaatar in aereo dall’Italia, anche se non esistono voli diretti. Si parte da diversi aeroporti, soprattutto Milano Malpensa, Roma Fiumicino, Venezia e Napoli. L’unico accorgimento è quello di acquistare con molto anticipo i biglietti perché, soprattutto d’estate, si finisce presto in lista d’attesa. Le compagnie di riferimento sono Turkish Airlines (interessante per quotazioni e servizio a bordo, con scalo a Istanbul) e Miat, flotta mongola. Aeroflot era sempre stata la soluzione migliore per prezzo e logistica ma con la guerra in Ucraina ovviamente tutto è compromesso.
Tre pasti al giorno - colazione, pranzo e cena - di buona qualità. Saranno preparati al momento presso i campi gher, oppure con veri e propri pic nic in luoghi estremamente suggestivi: tutto cibo fresco, nella tradizione mongola ma anche in varianti "occidentali", secondo il gusto dei viaggiatori. Si mangerà cibo bianco (latte e derivati) e cibo grigio (carne ed eventualmente pesce) ma potranno essere cucinati anche piatti vegetariani su richiesta. Non mancherà acqua imbottigliata. Si possono anche provare le specialità dei nomadi, come l’airag - il latte di cavalla fermentato - o la tradizionale marmotta cucinata con le pietre calde. Vai alla sezione Cibo per approfondire la cucina mongola e preparare ricette tradizionali.   COSA MANGIARE “I mongoli mangiano indifferentemente tutti i loro animali che muoiono, e tra tanti greggi e armenti che possiedono ci sono molti animali che muoiono. Durante l’estate tuttavia, fino a che hanno il cosmos, cioè il latte di cavalla, non si preoccupano di procurarsi altro cibo: perciò se accade che in quella stagione un bue o un cavallo muoia, mettono a seccare la carne, tagliandola a fette sottili e appendendole al sole e all’aria, così che si seccano subito senza bisogno di sale e senza alcuno cattivo odore. Con le interiora dei cavalli preparano delle specie di salsicce, migliori di quelle di maiale, e le mangiano fresche; riservano il resto della carne per l’inverno. Con le pelli dei buoi fabbricano grandi otri che fanno seccare al fumo in modo straordinario. Con la pelle di cavallo fabbricano bellissime calzature. La carne di un unico montone è sufficiente per sfamare cinquanta o cento uomini: essi, infatti tagliano la carne a pezzettini in una scodella aggiungendovi sale e acqua, poiché non preparano nessun altro tipo di condimento”. Mai più il francescano Guglielmo di Rubruc avrebbe immaginato che il suo attento resoconto sulle abitudini alimentari dei nomadi mongoli sarebbe stato saccheggiato, ottocento anni dopo, da una guida turistica sulla Mongolia. La verità è che non è cambiato nulla: la dieta è rimasta quella ed è uno dei mille incantesimi di questo Paese. Così in qualsiasi gher si potrà immaginare di essere a tavola con frate Guglielmo e, se siete più megalomani, con Gengis Khan e la sua scorta. Si può dire che la cucina mongola sia in bianco e nero, un po’ per la monotonia delle portate, un po’ perché la distinzione è fra alimenti grigi (la carne) e alimenti bianchi (il latte e i suoi derivati). Come scriveva Guglielmo nel suo “Viaggio nell’impero dei Mongoli”, i nomadi non adottano una macellazione sistematica ma generalmente si cibano degli animali “che muoiono” e non buttano niente, facendo seccare le parti non utilizzate subito, tagliandole in striscioline da conservare appese all’interno delle gher. Il modo più comune per consumare la carne, soprattutto di montone o di pecora, è quello di preparare delle zuppe con cipolla selvatica e aglio oppure dei ripieni per ravioli al vapore (buuz) o fritti (khushuur). Il boodog è considerato uno dei piatti più raffinati della cucina mongola. Viene preparato con la carne di capra o di marmotta. Attraverso il collo dell’animale vengono estratte ossa e viscere. Al loro posto si introducono sassi incandescenti. La carcassa viene richiusa e lasciata cuocere finché la carne diventa tenera, gustosa e fragrante. Una variante, con l’agnello, è il khorkhog: le viscere di pecora, una vera delizia per i nomadi, vengono utilizzate anche per la preparazione di salsicce. La carne, sempre piuttosto grassa e calorica, viene consumata soprattutto d’inverno mentre nei mesi più caldi i nomadi preferiscono una dieta a base di alimenti bianchi: latte e formaggi provengono da quelli che i mongoli definiscono animali a “muso caldo” (montoni e cavalli) e a “muso freddo” (capre, yak e cammelli). Contrariamente ad altre cucine asiatiche, quella mongola è priva di condimenti piccanti e anche il riso è abbastanza raro. Il pesce è abbondante nei corsi d’acqua ma i mongoli lo considerano un cibo non adatto a un popolo guerriero e raramente entra a far parte di un menù nella steppa. Per i vegetariani sembra un supplizio intollerabile, ma non è così. Ormai a Ulaanbaatar si trova di tutto: nei mercati, supermercati, negozi e bancarelle campeggiano frutta e verdura, provenienti dalla Russia o dalla Cina, ma anche pasta italiana, noodle coreani (ciotole di fettuccine e verdura liofilizzata che al contatto con acqua calda si trasformano in piatti unici), olio di oliva, vino, caviale (a prezzi stracciati ma a volte scaduto) e perfino dolci: ottimi quelli a base di fagioli mentre più discutibili le torte, tanto scenografiche quanto perfide, e i gelati che hanno un curioso retrogusto di petrolio. Nei mercati principali e allo State Department Store, il grande magazzino punto di riferimento di Ulaanbaatar, è possibile dunque fare rifornimento di tutti i beni alimentari e non, e portarli con sé nei lunghi itinerari fuori dalla capitale. Quindi tranquilli: tutti i vegetariani partiti per la Mongolia non sono morti di fame e non hanno dovuto cambiare filosofia alimentare. Cosa servono al ristorante? Un po’ dappertutto in Mongolia si incrociano i guanz, trattorie alla buona dove a prezzo molto contenuto si possono assaporare le specialità più tipiche, dalle zuppe di carne alle insalate di verza: gli ambienti sono fatiscenti ma pittoreschi e genuini. Ci sono però anche ristoranti di alto livello e piuttosto raffinati (un elenco con approfondimenti nella sezione dedicata a Ulaanbaatar). I mongoli sono abituati a consumare una colazione piuttosto veloce, un pranzo robusto in famiglia e una cena leggera e aperta alle sorprese. Lo testimonia benissimo un vecchio proverbio locale: “Fai colazione da solo, dividi il pranzo con le persone care e la cena con il nemico”. La cucina mongola, se pure poco frequentata dall’accademia internazionale, è molto gradita negli Stati Uniti dove ci sono delle vere e proprie catene gastronomiche caratteristiche. Negli ultimi tempi spopola il barbecue mongolo con cibi cotti alla piastra alla maniera dei guerrieri di Gengis Khan: lo scudo usato in battaglia veniva capovolto e posato sul fuoco per cuocere le carni. Anche nelle principali città italiane esiste una catena di Mongolian barcecue ma è generalmente gestita da cuochi e personale cinesi.   Cosa bere Le giornate dei nomadi cominciano spesso con una sorsata di vodka, chiamata anche arkhi (o shimiin arkhi) per distinguerla dalla vodka russa normalmente in commercio: è un distillato di 10-12 gradi, cristallino e senza sapore ma di ottima qualità. Per colazione e per merenda viene servito un tè salato, spesso mescolato al latte (di yak, di cammella, di cavalla, di capra o di mucca) e accompagnato dai boortsog (biscotti imburrati e fritti nell’olio) e anche da pezzi di carne eventualmente avanzati il giorno precedente. Con l’arrivo della primavera, i mongoli cominciano a utilizzare prodotti freschi, soprattutto il latte, che è alla base di zuppe, formaggi, bevande. Tra queste, spicca l’airag, l’alimento princi-pe della dieta mongola, composto da latte di cavalla: è una bevanda alcolica, acidula e frizzantina, molto proteica e, dopo un primo momento di stupore, perfino gradevole. Il latte appena munto viene versato in un otre di cuoio e battuto almeno mille volte fino a farlo fermentare (dai 3 ai 5 gradi alcolici). I mongoli bevono airag in ogni occasione, anche diversi litri al giorno. Ci mettono una grande cura a produrlo, un po’ come per noi il vino. Una coppa di airag viene consumata dagli stessi lottatori prima della gara del Naadam. I mongoli ritengono che l’airag abbia anche qualità medicinali: dà vigore, è antidepressivo, distrugge i germi patogeni nell’intestino e aiuta il metabolismo. Ancora Guglielmo di Rubruc nel suo reportage del 1253 ci riferisce quello che accade ancora oggi, esattamente con le stesse modalità (l’airag viene qui chiamato “cosmos”, dall’altra denominazione: koumiss): “Dopo aver raccolto una grande quantità di latte che, appena munto, è dolce come quello di mucca, lo versano in un grande otre e cominciano a sbatterlo con uno strumento di legno adatto a questo scopo, che nella parte inferiore è grande come la testa di un uomo e scavato internamente, mentre mescolano rapidamente il latte ricomincia a ribollire come il mosto e a inacidire o fermentare e continuano a scuoterlo fino a quando ne estraggono il burro. A questo punto lo assaggiano e quando ha un sapore piccante al punto giusto lo bevono. Mentre lo si beve, il cosmos pizzica la lingua come il vino di raspo e dopo che si è finito di bere rimane in bocca il sapore del latte di mandorla. Il cosmos fa molto bene all’intestino, inebria le persone abbastanza deboli ed è notevolmente diuretico”.
A Ulaanbaatar la sistemazione standard è in alberghi di buon livello ubicati nelle zone centrali. Fuori dalla capitale vivremo la magia di alloggiare nelle gher, le tradizionali "case" circolari dei nomadi, realizzate in legno di larice e ricoperte dal feltro che garantisce il massimo isolamento termico e acustico. Sono previste gher a 4 posti, ma si possono avere con supplemento gher a 2 posti o singole. Al centro della grande tenda è sempre presente una stufa tradizionale con il comignolo che buca la parte superiore del tetto in caso di notti particolarmente fredde. Dormire in una gher è un'esperienza quasi spirituale, a stretto contatto con la natura ma in piena sicurezza e confort. DOVE DORMIRE Anche per l’alloggio, la Mongolia si divide in due: la capitale e il resto del Paese. A Ulaanbaatar si trova ormai qualsiasi tipo di sistemazione e di prezzo. Si partedagli appartamenti in affitto e dalle guesthouse più semplici (da 5-10 dollari anotte), per arrivare ai 150 dollari a notte del quattro stelle Chinggis Khaan Hotelfino ai 2.000 per una suite al Sunjin. Fuori dalla capitale, generalmente si trattadi dormire nella steppa o nel deserto, quindi il comfort dovrà lasciare spazioallo spirito di adattamento. A parte qualche alberghetto nei villaggi o nelle altrecittà, molto economici ma anche mediamente malandati e senza i minimi servizi, la sistemazione più suggestiva e anche piacevole è quella dei campi gher, unorribile definizione che non deve però trarre in inganno. Di turistico c’è poco: letende sono identiche a quelle tradizionali dei nomadi, quindi spaziose, comodee calde. Generalmente si tratta di campi con grappoli di gher che ospitano finoa quattro turisti ciascuna, ma con la possibilità di prenotarle (con anticipo però)anche per coppie che vogliono starsene in solitudine. Di solito c’è una vicinastruttura che offre servizi igienici minimi, un water, dei lavandini e a volte perfino l’acqua calda. Fuori stagione però gran parte di queste strutture non è operativa. La quantità e il prezzo delle gher turistiche sono molto aumentati negli ultimianni: mediamente si pagano dai 30 dollari in su per una notte in una gher da 3 letti. Può capitarvi di fermarvi a dormire presso una famiglia di nomadi. Loro sistringeranno pur di ospitarvi, oppure troveranno una sistemazione da amici oparenti. Non bisogna però approfittare della tradizionale ospitalità dei mongoli. La loro porta è sempre aperta ma non per questo siete autorizzati a entrare euscire liberamente. La vostra presenza è gradita e accompagnata sempre da un sorriso ma comporta dei sacrifici, di spazio, di cibo, di tempo per tutta la famiglia. E’ come se uno sconosciuto entrasse in casa vostra a chiedervi cibo, alloggio e magari anche di dargli retta. Noi chiameremmo la polizia, loro ci accolgono. E allora cerchiamo di comportarci bene e ricambiare la loro gentilezza. Rispettiamo il codice antico dei mongoli, portiamo sempre dei doni da destinare al padronedi casa, alla moglie e ai bambini e, alla fine dell’ospitalità, lasciamo anche dei soldi, che non sono considerati un’offesa ma un regalo come un altro, forse piùutile. Con l’aumento sensibile del turismo, anche i mongoli si sono adeguati e,a volte, hanno già una sorta di tariffario per un pasto o per un letto. Non sonorichieste esagerate, quindi evitate di trattare sul prezzo. Altrimenti lasciate unacifra intorno ai dieci dollari o 10.000 tugrug.
Con accompagnatori mongoli appassionati, coinvolgenti ma discreti e con driver affidabili e collaudati, grandi conoscitori dei percorsi e dei luoghi. Ci muoveremo - per non più di 5-7 ore al giorno, fermandoci in qualsiasi momento per incontrare nomadi, ammirare il paesaggio o scattare foto. I mezzi utilizzati sono moderni fuoristrada giapponesi e coreani o minivan russi a seconda delle proposte. I minivan russi sono spartani ma hanno il vantaggio di essere solidi, economici, completamente meccanici e quindi facilmente e immediatamemnte riparabili. I fuoristrada giapponesi e coreani hanno il vantaggio di essere ammortizzati e dotati di aria condizionata.   COME MUOVERSI NEL PAESE La Mongolia è sterminata e per girarla tutta occorrerebbero mesi, anni, una vita. Considerando che le vacanze generalmente durano meno, bisogna organizzarsi con un itinerario limitato e utilizzando mezzi idonei: la compagnia aerea di bandiera Miat (sigla OM), che sarà presto privatizzata, e gli altri vettori nazionali AeroMongolia (MO) e Eznis (ZY), hanno una fitta rete di collegamenti interni anche se i costi per gli stranieri sono molto più alti che per i mongoli e spesso i voli vengono cancellati all’improvviso (per ghiaccio o vento) con la conseguenza di file d’attesa che durano anche giorni. Indubbiamente un volo interno (specialmente verso il Gobi, l’Altai o il Khuvsgul) vi farà guadagnare molto tempo e vi farà vivere esperienze, diciamo, singolari. Spostarsi in fuoristrada è l’alternativa per i lunghi tratti, ma le piste sono spesso accidentate e sofferte e quindi è difficile calcolare i tempi di trasferimento anche per i driver più esperti. La Millenium Road è una strada ormai quasi completamente asfaltata che taglia in orizzontale la Mongolia ed è stata realizzata in compartecipazione con Paesi stranieri (Cina, Giappone, Canada soprattutto), in cambio della concessione dello sfruttamento delle principali miniere mongole dalle quali si estraggono notevoli quantità d’oro, argento, carbone, bauxite, rame, uranio, molibdeno, tungsteno. Fuori da questa arteria, le piste diventano quasi improvvisate e c’è bisogno davvero di tutta l’abilità e l’istinto degli autisti. Ma spesso anche loro perdono l’orientamento o si ritrovano di fronte ostacoli naturali insormontabili. E allora scatta una delle parti più emozionanti del viaggio: il consulto con i nomadi. Non è solo l’indicazione della strada migliore, ma è l’occasione per una visita d’obbligo alla gher, la tenda tradizionale dei nomadi, dove vengono offerte libagioni tipiche (vodka, latte di giumenta, formaggio di yak, brodo di carne di montone) e ci si immerge nella realtà più autentica della Mongolia. Non bisogna avere fretta, vale la pena godersi il contrattempo. Dopo discussioni infinite, inframmezzate da solenni silenzi, viene stabilito il percorso migliore e si riparte. Se però è tardi allora si cena e si passa la notte nella gher. Gli autisti mongoli sono prodigiosi, bisogna solo stare attenti a vegliare sul loro stato di sobrietà. Per uno straniero guidare in Mongolia può diventare un incubo. A parte il traffico impossibile di Ub, il vero pericolo è quello di non essere in grado di affrontare i perigliosi sentieri della steppa e del deserto che costringono spesso a contorsioni e andature vicine a zero chilometri all’ora. Vi possono capitare confortevoli fuoristrada giapponesi, che vi eviteranno molte zuccate al tettuccio ma che, in caso di guasto, saranno più difficili da riparare. Oppure salirete sulle spartane jeep russe, anzi sovietiche vista l’antica immatricolazione, che sono dei muli tanto scomodi quanto affidabili: e se si guastano, qualunque mongolo sarà in grado di ripararle anche con geniali stratagemmi. Ad esempio, ritagliare un pezzo di pneumatico per sostituire guarnizioni disintegrate. Ci sono anche dei minivan, sempre di fabbricazione russa, che sono altrettanto avventurosi ma che possono trasportare fino a otto persone alla volta. Nel corso del viaggio vedrete sfrecciare dei nomadi in sella a motociclette degli anni Cinquanta o Sessanta, made in Urss. Saranno contenti di farvi fare un giro, sorridendo alla vostra difficoltà di restare in equilibrio sui terreni sconnessi. Esiste anche una rete di mezzi pubblici che collega le principali località della Mongolia, seguendo le strade più comode: costano pochissimo, sono sempre stipati e quasi mai in orario: un’esperienza imperdibile. Ma il mezzo di trasporto ufficiale in Mongolia è il cavallo. Da sempre. Non i nostri cavalli slanciati e un po’ altezzosi, ma i cavallini selvatici e instancabili delle steppe, quelli che hanno permesso a Gengis Khan di conquistare l’impero più vasto della storia e alla Mongolia di vantare il servizio postale più scrupoloso e veloce dell’antichità. Per i mongoli i cavalli sono animali sacri: vedrete campeggiare le loro foto perfino sugli altari delle gher o ascolterete struggenti canzoni d’amore dedicate non alle bellezze dell’amata donna ma alla morbida criniera di un purosangue. Ogni nomade sarà contento di farvi cavalcare, per lui sarà uno spettacolo esilarante: anche i provetti cavallerizzi troveranno difficoltà a domare e farsi obbedire dai testardi cavallini mongoli. Ma una volta presa la mano, si possono organizzare vere e proprie spedizioni lungo le zone più remote e inospitali della steppa e della taiga. Infine, si può anche provare l’esperienza di una galoppata sul cammello, ma solo per divertimento vostro. E soprattutto dei nomadi.
A gennaio 2022 1 euro vale circa 3.245 tugrug, la valuta mongola. Una volta pagato il volo dall’Italia e l’eventuale organizzazione del viaggio, toccherà a voi decidere quanto denaro portare. Dipende dagli acquisti che volete fare e dal trattamento che volete riservarvi. Tenete conto che la vita in Mongolia costa in proporzione, poco (ma in netto aumento) per i mongoli, molto di più per gli stranieri. Si può partire dall’Italia con dollari Usa ma anche con Euro, sempre più diffusi e che al momento a Ulaanbaatar hanno anche un cambio favorevole. La valuta mongola è il tugrug (rappresentato con T, Tg o MnT). Preparatevi a mettere via una mazzetta assai voluminosa, visto che il massimo valore della banconota è 20.000 tugrug (11 euro). Alcune banconote hanno un valore inconsistente e vengono utilizzate solo dai mongoli per spese minute o per i biglietti dei bus. Girano anche fogli da 1 tugrug che valgono 6 decimillesimi di euro!. Se non altro non avrete il peso delle monete che ormai non circolano più, se non nelle bancarelle dell’antiquariato. Si può cambiare presso le banche, i numerosi uffici di cambio presenti soprattutto lungo Peace Avenue o, con meno convenienza, presso gli alberghi Come riconoscere i Tugrug - 1 tugrug (valore: 0,0003 euro): ristampati nel 1983 con simboli stilizzati e colore marroncino - 5 tugrug (0,001 euro): colore rosa (retro: panorama con cavalli) - 10 tugrug (circa 0,003 euro): colore verdino - 20 tugrug (circa 0,006 euro): color rosa - 50 tugrug (circa 0,015 euro): color marroncino - 100 tugrug (circa 0,03 euro): color violetto - 500 tugrug (circa 0,15 euro): colore verde (retro: gher trascinata da buoi in un campo di battaglia) - 1.000 tugrug (circa 0,3 euro): colore turchese - 5.000 tugrug (circa 1,54 euro): colore rosato - 10.000 tugrug (circa 3,08 euro): colore grigio sfumato albicocca e verde scuro - 20.000 tugrug (circa 6,16 euro): color viola sfumato sul verdino. In circolazione dal 2006. Attenzione a non confonfonderla con la banconota simile da 5.000 Mongolia-Italia, prezzi a confronto (valori medi) I prezzi in Mongolia stanno aumentando vertiginosamente e anche il confronto con il costo della vita in Italia si è assottigliato negli ultimi anni. 1 litro latte vaccino: Mongolia 0,9 euro, Italia 1,4 euro 1 chilo carne bue: Mongolia 5 euro, Italia 16 euro 1 chilo riso: Mongolia 0.70-3,5 euro, Italia 1,8 euro 1 chilo farina: Mongolia 0,5 euro, Italia 1 euro 1 paio di scarpe: Mongolia 20 euro, Italia 50 euro 1 paio di jeans: Mongolia 15 euro, Italia 70 euro 1 camicia di cotone: Mongolia 7 euro, Italia 40 euro 1 maglione cashmere: Mongolia 80 euro, Italia 300 euro 1 taglio capelli: Mongolia 3-8 euro, Italia 15-30 euro 1 televisione al plasma: Mongolia 500-1000 euro, Italia 1.000 euro 1 personal computer: Mongolia 200-1000 euro, Italia 800 euro 1 mq casa in centro capitale: Mongolia 900-2000 euro, Italia 6.000 1 mese affitto casa 50 m2 centro capitale: Mongolia 500-800 euro, Italia 1.000 euro 1 km taxi: Mongolia 0,5 euro, Italia 5 euro 1 biglietto pullman urbano: Mongolia 0,2 euro, Italia 1 euro 1 biglietto treno per 100 km: Mongolia 3 euro, Italia 5 euro 1 h di collegamento in Internet point: Mongolia 0,3 euro, Italia 5 euro 1 biglietto cinema: Mongolia 0,5 euro, Italia 8 euro 1 minuto telefonata urbana: Mongolia 0,02 euro, Italia 0,2 euro
Un viaggio in Mongolia regala emozioni tutto l’anno ma le stagioni migliori dal punto di vista climatico sono la primavera e l'estate che corrispondono alle nostre. Ecco una breve guida mese per mese GENNAIO: è il mese più freddo, frequenti tempeste di neve e vento teso che soffia dall’Artico. Molti nomadi e animali sono condannati a morte. Temperatura media: -20°. Pioggia: 2 millimetri. FEBBRAIO: la temperatura comincia a salire anche se impercettibilmente. Chi si avventura in Mongolia per lo Tsagaan saar, il capodanno mongolo, starà volentieri in casa o nelle gher. Temperatura media: - 18°. Pioggia: 5 mm. MARZO: l’inverno allenta gradualmente la presa. Si possono organizzare ottime escursioni nel deserto del Gobi anche se le notti restano rigidissime e le nevicate frequenti. Temperatura media: - 10°. Pioggia: 5 mm. APRILE: la temperatura risale sopra lo zero e gran parte delle località della Mongolia torna a essere visitabile senza problemi, salvo il Nord e l’Altai: attenzione però alle violente tempeste di sabbia e polvere. Temperatura media: 0°. Pioggia: 10 mm. MAGGIO: la vegetazione torna rigogliosa, la steppa riprende il suo splen- dore indescrivibile. E gli animali ripopolano terra e cielo. Ma non mancano le nevicate improvvise. Temperatura media: + 5°. Pioggia: 20 mm. GIUGNO: il tempo è in bilico fra splendide giornate primaverili e gelate senza preavviso. I colori della campagna sono favolosi ed è un mese meraviglioso e ancora poco turistico. Temperatura media: + 12°. Pioggia: 60 mm. LUGLIO: è il mese più caldo e gradevole. Gli abitanti della città rispolverano gli abiti leggeri. Molti i turisti in circolazione anche per la festa del Naadam. Temperatura media: + 16°. Pioggia: 75 mm. AGOSTO: clima favoloso, caldo di giorno e fresco alla sera. E’ anche il mese più piovoso con rischio di brevi ma intensi acquazzoni che possono far sparire le piste. Temperatura media: + 14°. Pioggia: 80 mm. SETTEMBRE: la temperatura cala sensibilmente e i colori della steppa cominciano ad attenuarsi. È comunque un mese splendido per visitare il Paese. Temperatura media: + 8°. Pioggia: 40 mm. OTTOBRE: clima un po’ pazzo, tra freddo estremo e caldo improbabile. Si può vivere ancora il fascino di una terra magica che si prepara al lungo inverno. Temperatura media: 0°. Piogge: 10 mm. NOVEMBRE: il termometro precipita: animali e uomini si preparano per il lungo letargo. Il terreno comincia a gelarsi e si crea il fenomeno dello zud che decima i capi di bestiame. Temperatura media: - 12°. Piogge: 5 mm. DICEMBRE: il freddo diventa padrone, la vita sociale viene pesantemente condizionata. Ci si rifugia nelle case e nelle gher. Comunicazioni difficili, voli annullati e continua la strage di animali. Temperatura media: - 18°. Piogge: 2 mm.
VACCINAZIONI E NORME SANITARIE La Mongolia è un paese freddo, quindi sano. Siti istituzionali, presidi medici e guide turistiche consigliano vaccinazioni assortite ma sono solo raccomandazioni per togliersi di dosso ogni responsabilità. La verità è che è meglio non farne. Ovviamente bisogna stare molto attenti, soprattutto in considerazione delle scadenti condizioni degli ospedali di Ulaanbaatar e della quasi inesistenza di strutture sanitarie al di fuori della capitale. Conviene portare da casa il proprio kit di medicine. A nord est della città, all’incrocio tra la Ikh Toyruu e la Dorj, si trova l’Ospedale SOS (tel. 345526) che, almeno sulla carta, riconosce le tessere sanitarie italiane e offre visite e interventi gratuiti. L’acqua dei rubinetti cittadini è potabile ma non sempre sicurissima. Attenzione anche ad abbeverarsi ai ruscelli perché spesso trasportano i colibatteri degli escrementi animali. Inutile allarmismo è stato diffuso sui cani randagi, generalmente innocui e amichevoli. Alcuni episodi di peste si sono registrati nelle campagne, a causa principalmente della carne di marmotta non cotta sufficientemente. Anche in questo caso, bisogna proprio cercarsela. Fuori dalla capitale la sicurezza è assoluta, quasi commovente. Altro discorso per la capitale dove qualche rischio c’è, certamente inferiore rispetto a qualsiasi città occidentale. Si registrano a volte furti nei mercati principali all’aperto, come l’enorme Narantuul, o sui mezzi pubblici sempre stipati. Il pericolo maggiore è quello degli ubriachi che rappresentano la vera piaga sociale del Paese: solitamente è semplice schivarli ed evitare così spiacevoli avance, ma la sera è meglio non azzardare troppo. Resta l’ovvio consiglio di non ostentare aggeggi costosi, come gioielli e apparecchiature sofisticate, e di mantenere sempre un comportamento sobrio, semplice e gentile. Fino a qualche anno fa occorreva prestare attenzione anche ai poliziotti che, nei confronti degli stranieri, potevano avere un atteggiamento arrogante volto all’ottenimento di soldi per evitare grane. Ora la situazione è sotto controllo, anche se la difficoltà di comunicazione con le forze dell’ordine suggerisce di evitare di cacciarsi in inutili gineprai. Conviene girare con la fotocopia del passaporto, conservando l’orginale in un posto sicuro. Nel caso in cui un viaggiatore si macchi di reati di una certa gravità (droga, adescamento, sfruttamento della prostituzione, violenza) allora i rischi si moltiplicano esponenzialmente, fino al carcere duro e prolungato.   Ci sono molte zanzare? Quando si è immersi nella magia nomade della natura più incontaminata questa domanda sarà proprio fuori luogo, ma prima di partire è curiosamente una delle più gettonate dai viaggiatori. D’estate le zanzare ci sono anche in Mongolia, nonostante il clima glaciale di gran parte dell’anno. E ce ne sono moltissime nelle aree dei laghi, ma non in tutte. Nella sezione Luoghi, vengono segnalate le zone di maggiore densità e quella in cui si può stare tranquilli. Generalmente però non sono mai eccessivamente voraci e, in ogni caso, non portano nessun genere di malattia, tanto meno la malaria. A Ulaanbaatar d'estate le zanzare vi terranno compagnia né più né meno che in una città italiana. Come andare alla… toilette Per gli occidentali è un vero dramma, uno degli ostacoli psicologici più fastidiosi che incontrano in Mongolia: andare in bagno. Una “pratica” naturale che qui viene espletata in modo altrettanto naturale: se siete presso una gher di nomadi, vi basterà uscire, fare una passeggiata nella steppa e scegliere il posto che vi piace di più. Inutile andare a cercare un riparo ideale perché difficilmente lo troverete, a meno che siate nelle foreste del nord. La raccomandazione piuttosto è di portarvi da casa (o comprarla in un market di Ulaanbaatar) della carta igienica, che è poco utilizzata dai nomadi: per loro funziona meglio l’erba. In alcuni villaggi, o presso complessi di gher, troverete una toilette che ha però caratteristiche diverse dalle nostre: due assi parallele sistemate su una grande buca scavata nel terreno. Quando è piena di escrementi si chiude e se ne apre un’altra poco lontano. Cercate di non formalizzarvi troppo né giudicare con troppo snobismo questo metodo. Siamo in uno degli angoli più remoti del pianeta e ci si organizza come si può per sopravvivere, nel pieno rispetto della natura ma anche della convivenza reciproca. Se non ci fosse lo sterco degli animali (la legna è rara) a bruciare nella stufa della gher morireste di freddo. Se siete degli igienisti, dovrete cambiare leggermente le vostre abitudini. Muovendosi sulle piste della Mongolia si finisce regolarmente avvolti in una nuvola di polvere. Nei corsi d’acqua ci si può lavare ma senza utilizzare sapone o shampoo: sarebbe una tragedia per gli uomini e per le mandrie che si abbeverano. Quando siete in una gher potete utilizzare, ma con molta parsimonia, l’acqua potabile che viene conservata nelle piccole cisterne. Lavatevi i denti con una spazzolata veloce, toglietevi superficialmente la polvere ed evitate, se possibile, di “fare il bucato”. Nessuno noterà il vostro appeal non proprio impeccabile.
I nostri percorsi permetteranno di entrare a contatto con l'anima autentica della Mongolia. Trascorreremo molto tempo insieme agli ospitalissimi nomadi nelle accoglienti gher, conversando e condividendo emozioni, riti e attività: sarà possibile cavalcare, partecipare alla mungitura, al raduno degli animali, alla preparazione del cibo. Parteciperemo alle funzioni religiose lamaiste insieme ai monaci di splendidi monasteri sperduti nella steppa o nel deserto. Visiteremo le missioni dove sarà possibile incontrare i bambini e ascoltare le testimonianze di una vita difficile ma orgogliosa. E poi incontreremo una fauna stupefacente, cavalli, yak, cammelli, uccelli rari, rapaci e altri animali rari.   Il galateo della steppa Ecco le venti regole d’oro da imparare per farsi benvolere dai mongoli, quelli della città e soprattutto quelli della campagna. Molti di questi insegnamenti venivano già descritti da viaggiatori del XIII secolo come i frati Giovanni di Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruc, autori di straordinarie cronache dall’impero dei mongoli, e sono rimasti immutati ancora oggi. Illuminante la frase pronunciata dal nomade Erdenebold, 65 anni, che vive in una gher nell’Arkhangai, sulla strada per Karakorum: “Il viaggiatore può ignorare le nostre abitudini, ma deve essere intelligente nel comportamento”. 1) Mai calpestare lo stipite della porta entrando nella casa o nella gher. Tra- scinerebbe la sfortuna all’interno e per rimediare l’unico modo è quello di uscire di nuovo e rientrare stando più attenti (nel 1254 il frate Bartolomeo incespicò sull’uscio della gher del khan Mongke e rischiò la pena capitale: fu graziato in extremis dall’imperatore. Oggi si rischierebbe solo una brutta figura) 2) Non fischiare mai e non cantare quando si è a letto perché gli spiriti malvagi sarebbero svegliati e potrebbero perseguitarvi nella notte mentre state dormendo 3) Non rivolgere mai un coltello in direzione di qualcuno, è considerata una sfida o una maledizione 4) Stando seduti, non mostrare le suole delle scarpe a nessuno: è considerata una grande offesa 5) Non arrotolarsi le maniche, è un invito alla lotta (e attenzione: i mongoli sono campioni in questa disciplina) 6) Se si urta incidentalmente il piede di un’altra persona (maschio o femmina) stringerle la mano, altrimenti se ne perde l’amicizia 7) Offrire un regalo a chi vi ospita, ai bambini e alla moglie sempre con la mano destra, mentre la sinistra sorregge il gomito del braccio teso con il dono 8) Se si vogliono donare dei soldi, non arrotolarli o nasconderli ma spiegarli bene e appoggiarli accanto all’altare della casa o della gher 9) Accettare qualsiasi offerta (anche vodka o tabacco) con la mano destra o con le mani giunte 10) Non togliere il cappello entrando nella gher, ma al contrario indossatelo, se ne avete uno a disposizione 11) Sfilarsi sempre i guanti entrando in una gher anche se ci sono cinquanta gradi sottozero 12) Per rispettare l’usanza buddhista, nelle case (ma non nelle gher) togliere Mongolia: informazioni generali 36 le scarpe e lasciarle nell’ingresso, salvo una diversa indicazione da parte dei padroni di casa 13) Non entrare in casa d’altri in perfetto silenzio ma far notare la propria presenza, parlando o tossicchiando garbatamente 14) Non parlare mentre si mangia 15) Nelle gher il lato nord è quello d’onore, riservato ai padroni di casa e agli ospiti importanti, a est (entrando, a destra) le donne, a ovest (sinistra) gli uomini. Quando ci si muove in una gher occorre fare il giro all’interno in senso orario 16) Non portare mai armi (anche coltelli) in una gher o in una casa 17) Mai gettare acqua nel fuoco, significherebbe cercare di “spegnere” lo spirito di un antenato 18) Rispettare sempre gli animali 19) Quando si riceve in offerta una coppa con bevanda alcolica (normalmente vodka o airag, il latte di giumenta fermentato) ricordarsi, prima di bere, di intingere l’anulare e schizzare una goccia in aria per gli dei e gli antenati, una ad altezza uomo per tutte le creature viventi e una verso il basso per la madre terra. Questo rito antico, chiamato “sergim orgoh” va compiuto solo al primo passaggio della ciotola 20) Non parlare in italiano (o in inglese) troppo a lungo di fronte a una famiglia mongola che vi ospita. Come comunicare con i mongoli? Semplice. Basta conoscere il mongol khel, la lingua ufficiale mongola. Consolatevi: sono pochissimi gli italiani che la parlano, mentre per fortuna i mongoli sono più poliglotti: a Ulaanbaatar sono diffuse le scuole di italiano, frequentate soprattutto da giovani che vogliono intraprendere un’attività turistica o da cantanti lirici che desiderano capire il significato delle arie che intonano. Le nuove generazioni stanno abbandonando il russo (obbligatorio a scuola fino al 1990) per dedicarsi all’inglese e al giapponese. I mongoli, maestri del canto di gola e delle sonorità più estreme, dispongono fisiologicamente di una sterminata gamma di emissioni e fonemi: riescono quindi a pronunciare con precisione i suoni delle altre lingue, dal cinese al russo, dal giapponese al coreano, perfino italiano e francese. Quando però un mongolo sostiene di parlare inglese fate prima un test: alcuni sono davvero bravissimi, a livello Oxford. Altri conoscono giusto dieci vocaboli e vorrebbero combinarli per esprimere tutti i concetti del mondo. Fuori dalla capitale i più giovani, anche bambini, vi punteranno in quanto stranieri e snoccioleranno tutto il loro frasario in inglese: non si aspettano una conversazione, se ne andranno soddisfatti e orgogliosi. La grande maggioranza dei mongoli parla russo, soprattutto le persone più attempate, ma molti parlano anche spagnolo, retaggio di un’alleanza con Cuba, con cui ai tempi dell’Urss c’era uno scambio fitto di risorse umane e tecnologiche, soprattutto in campo medico. Dicono che il mongolo sia rude, una sorta di tedesco dell’Asia. In effetti il primo impatto è quello di una lingua dura e piena di spigoli. Ma superato lo choc iniziale, la cadenza diventa misteriosa, affascinante, soprattutto se si ascolta durante le quiete discussioni tra i nomadi dentro le gher. Il mongolo è una lingua fantastica, con milioni di sfumature, quaranta modi diversi per dire la stessa cosa semplicemente perché cambia lievemente la volontà di un’azione. Ad esempio se si deve esprimere il concetto di “andare”, occorre essere molto precisi sulle proprie intenzioni e decidere fra: vado, ho voglia di andare, devo andare, non posso restare, occorre proprio che vada, è mio preciso dovere andare, sarebbe meglio che andassi, se non andassi sarebbe un grosso guaio e avanti con i ricami. E poi ci sono meraviglie poetiche per esprimere concetti prosaici. E così un banale “quanti anni hai” si trasforma in “quant’è lunga l’ombra della tua vita?”. La lingua ufficiale, che è parlata dalla maggior parte della popolazione, è il mongolo khalkha ma esistono molti dialetti e variazioni. L’idioma mongolico discende dal ceppo altaico che comprende anche turco, tunguso, giapponese e coreano. Sette milioni di persone nel mondo parlano il mongolo, di cui 2 milioni e mezzo nella Repubblica della Mongolia, quasi quattro milioni nella regione cinese della Mongolia Interna e mezzo milione in Cina. L’alfabeto è stato rifondato nel 1944 dal governo filosovietico e oggi tutte le scritte sono in cirillico (con l’aggiunta di due caratteri rispetto al russo) anche se si assiste a una riscoperta dell’antica calligrafia ereditata dagli uiguri, una delle poche popolazioni seminomadi ad avere adottato un proprio alfabeto, anzi tre: iniziale, mediale, caudale. La lettera si scrive in modo diverso a seconda della posizione della parola, un piccolo rombo indica la fine della parola stessa, due rombi la fine del periodo. Si scrive in verticale e si legge partendo dall’alto a sinistra fino in fondo alla pagina spostandosi nelle righe verticali, verso destra.Vedi sezione LINGUA   RELIGIONE Ufficialmente la quasi totalità dei mongoli è buddhista lamaista, ma le ultime stime parlano di un cambiamento di rotta con il 40% circa di popolazione atea. I musulmani (4%) sono concentrati nelle regioni occidentali dell’Altai a maggioranza kazaka; in aumento i cristiani (2%). Vedi sezione RELIGIONE Giocare con i mongoli I mongoli? Quando si gioca, meglio averli dalla propria parte altrimenti si rischiano delle grandi batoste. La loro acutezza gli consente di competere (e di vincere) anche nei giochi a loro sconosciuti. In quattro e quattr’otto imparano le regole e... vi massacrano. Figuriamoci quando si tratta di passatempi che già praticano, come ad esempio gli scacchi. Se volete sfidarli, almeno fatelo con i pezzi occidentali perché gli scacchi mongoli differiscono per certi aspetti dai nostri, con le torri rappresentate da cammelli e gli alfieri che diventano yak con carretto trainato mentre la regina di solito è un leone. Ma il gioco “da tavolo” ufficiale dei mongoli è lo Shagai che comprende 4 ossa di malleolo di pecora. Le varianti sono numerosissime: si va dalla divinazione sciamanica (la stessa che praticava Gengis Khan prima delle battaglie) a una “corsa di cavalli” semplice e avvincente, chiamata Mor Uraldah. In questo caso la tradizione vuole che si disponga un centinaio di malleoli, uno vicino all’altro, fino a snodare il percorso su cui ogni concorrente muoverà il proprio cavallo-segnalino come in un gioco dell’oca. Si prendono le 4 ossa e si tirano come dadi. Le facce sono 4, e non è facile distinguerle a prima vista. Quella che ha due specie di cerchi alle estremità  rappresenta il cavallo; il lato opposto, quello con due fossette, è il cammello. Se esce la faccia con la gobba accentuata è la pecora; quella opposta con il buco è la capra. A seconda della combinazione viene spostato il segnalino. Ogni cavallo che esce si avanza di una casella; se le ossa sono tutte uguali si procede di due, se sono tutte diverse di 4. Se per caso un osso resta in bilico su una delle due facce più piccole si procede di 4. Vince chi arriva alla fine del percorso. Un gioco facile ma avvincente.   FUSO ORARIO [GMT +8] Il fuso orario viaggia con 7 ore di ritardo rispetto al nostro (8 rispetto a Greenwich). Quando in Italia è mezzogiorno, a Ulaanbaatar sono le 7 di sera. Ma attenzione: se siamo in regime di ora legale (dall’ultima domenica di marzo all’ultima domenica di ottobre), le ore di differenza diventano 6, visto che la Mongolia mantiene sempre l’ora solare. Nella parte occidentale del Paese (le regioni dell’Altai) vige un altro fuso, con un’ora più vicina alla nostra.   ELETTRICITÀ Nelle prese di corrente, a 220 volt, possono essere inserite le normali spine italiane (ma a soli due ingressi) e le spine tedesche. La corrente elettrica è presente solo nelle città, in alcuni villaggi e in qualche gher dotata di generatore autonomo. Ma anche in questi casi si verificano spesso black out improvvisi.  
Partite leggeri, portate l’indispensabile e quello che vi manca compratelo a Ulaanbaatar. Nella capitale ormai si trova di tutto, nei mercatini, al grande Zakh, nelle botteghe, in particolare allo State Department Store, che qui chiamano ikh delgur (grande negozio), punto di riferimento irrinunciabile sulla Peace Avenue. Prima di tornare in Italia, potete anche fare la buona azione di lasciare indumenti e accessori, se ancora in buone condizioni, ai mongoli che avrete conosciuto e così farete spazio nel bagaglio ai vostri ricordi. Se scegliete il periodo estivo, regolatevi come se foste in una località di montagna: caldo di giorno, freschino la sera. Nella stagione invernale, che qui in Mongolia risulta glaciale, occorre prevedere capi pesanti, dalla testa ai piedi. Quello che non deve mancare alla partenza dall’Italia è tutto racchiuso qui: - Passaporto e visto, ovviamente validi, con fotocopia da tenere da un’altra parte. Biglietto aereo, documenti, soldi - Medicine di uso personale, toilette, crema idratante e protettiva per pelle e labbra, salviettine umidificate, carta igienica, una salvietta - Vestiti essenziali da combinare “a cipolla”. Per il periodo da giugno ad agosto, indumenti leggeri, maglioncino, giacca a vento, pile, pantaloni e scarpe comode ed eventualmente scarponcini. - Sacco a pelo, leggero nella stagione estiva, pesante in quella invernale. Servirà nelle tende o negli appartamenti per difendersi dal freddo ma anche per creare una sorta di corazza igienica. Altro materiale utile: - Una tenda canadese per chi vuole andare alla totale avventura - Macchina fotografica, pile di ricambio, ricariche (tenete conto che le prese elettriche, dove esistono, sono come le nostre, a due prese – non tre - da 220 volt), binocolo - Torcia (molto utili quelle tipo minatore per avere le mani libere), accendino, candela - Per periodi più freddi: berretto con paraorecchie, magliette e pantaloni termici, guanti - Un repellente per gli insetti, se siete destinati alle zone settentrionali dei laghi - Un paio di occhiali scuri per ripararvi dalla luce molto intensa della Mongolia. Se portate lenti a contatto, fondamentale avere anche degli occhiali a causa della polvere e del clima secco - Regali da destinare ai bambini e ai nomadi che incontrerete (vedi capitolo) Quali libri leggere prima o da portarsi in viaggio Per conoscere la Mongolia nell’anima è indispensabile conoscere “La storia segreta dei Mongoli”, epopea del 1240 che ancora oggi viene studiata nelle scuole come testo base. E’ la storia di Gengis Khan, ma anche l’origine del popolo mongolo: orgoglio, passione, violenza, “una prosa tutta sangue, tendini e ossa” come osserva Fosco Maraini che ha curato l’introduzione per l’edizione riproposta nel 2009 da Guanda. Fra gli scritti antichi, ma dallo stile così straordinariamente moderno, vanno letti “Il viaggio nell’impero dei Mongoli” di Guglielmo da Rubruc (raccomandata la splendida edizione del 2011 della Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori a cura di Paolo Chiesa) e la “Historia Mongalorum” di Giovanni di Pian del Carpine: sono due reportage ante litteram di frati inviati da Papa e re per conoscere il temutissimo impero mongolo. Due racconti emozionanti del 1200 sugli usi e costumi di un popolo che ancora oggi, a ottocento anni di distanza, resta ancorato miracolosamente a quelle tradizioni. Con un salto di otto secoli, nel 2012 Michele Bernardini e Donatella Guida propongono una summa definitiva della conoscenza storica di questo popolo in “I Mongoli - Espansione, imperi, eredità”. Per chi vuole approfondire la conoscenza di Gengis Khan, c’è l’imbarazzo della scelta ma una menzione speciale è per “Il conquistatore del mondo” di René Grousset (scritta nel 1944 e riproposta da Adelphi nel 2011). Tra le biografie, le più aggiornate sono quelle di John Man (2006) e del professore barese Vito Bianchi (2005). Per gli appassionati di kolossal narrativi vale la pena citare “Il respiro del deserto” (2009) del maestro del romanzo epico italiano Marco Buticchi, “Il tesoro di Gengis Khan” (2008), dal grande fantaromanziere Clive Cussler, “Gengis Khan” (1999) di Homeric, un affresco visionario sulla vita di Temujin e la sontuosa saga di Conn Iggulden aperta con “Il figlio della steppa – La stirpe di Gengis Khan” (2007) e conclusa con “La città bianca” (2010). Abbandonando l’epoca delle conquiste, per conoscere la Mongolia più intimamente si possono leggere gli unici libri di autori mongoli pubblicati finora in Italia, quelli di Galsan Tschinag, in particolare “Il cielo azzurro” (1996), languido racconto della sua infanzia nomade tra sogni e riti. Una lettura brillante e sorridente della Mongolia ce la regalano il viaggiatore svizzero Fritz Muhlenweg nel suo “Segreti della Mongolia”, tredici racconti ambientati nella steppa degli anni Venti, e il reporter italiano Luigi Barzini che, ne “La metà del mondo vista da un’automobile”, ci narra la spedizione da Pechino a Parigi in 60 giorni a bordo dell’Itala. Tra reportage e saggio, “Tempesta dall’est” (2001) del documentarista della Bbc Robert Marshall, con qualche sbavatura storica ma avvincente, e “L’impero di Gengis Khan” di Stanley Stewart, un diario di viaggio intenso anche se a volte sfora nella tipica altezzosità occidentale: un libro ricco di informazioni ma ben poco amato dai mongoli così come “Mongolia” (2005) del brasiliano Bernardo Carvalho, molto perfido nella descrizione degli abitanti delle steppe. Più intrigante e delicato “Dove volano gli uccelli – Un anno in Mongolia” (2005) della tedesca Louisa Waugh, decisa a cambiare vita facendosi assumere come insegnante di inglese in un villaggio dello sperduto Altai mongolo. Sempre al femminile, “Tutto questo mi appartiene” affresco nostalgico della scrittrice ceca Petra Hulova. Discorso a parte per “Il totem del lupo” (2006), inno alla vita nomade mongola contro la decadenza cinese: un caso letterario mondiale, firmato con uno pseudonimo da un dissidente cinese e censurato dal regime di Pechino. Nel 2009 Rupert Isaacson ha trasformato la storia del figlio Rowan in un grande successo editoriale, “The horse boy”, la guarigione dall’autismo grazie agli spazi della Mongolia e a un amico cavallo. Dopo nove anni, Massimo Zamboni (ex del gruppo musicale Csi) ripropone “In Mongolia in retromarcia”, narrazione intima di un viaggio diventata anche un documentario di Davide Ferrario, “45° parallelo”. Anche Meridiani (editoriale Domus) ha dedicato alla Mongolia nel 2010 una delle sue preziose monografie, affidata ai reportage di Elena Bianchi, Elisabetta Lampe, Federico Pistone e altri autori. Per gli appassionati di favole e leggende, da citare le “Fiabe dalla Mongolia” (1994) raccolte da Michela Taddei Saltini, “Fiabe della Mongolia” di Aldo Colleoni e Pea Desantis e “Salik, il piccolo vento della steppa” (2004) di Federico Pistone. Di Aldo Colleoni, già Console onorario, “Mongolia” riassume tutto il suo lavoro e dà indicazioni utili per approfondire la conoscenza del Paese. Nell’ampia produzione di Roberto Ive, spicca “Mongolia – La storia, le storie” (1996), racconto in prima persona del passaggio dal regime sovietico alla nuova dolorosa libertà. Un altro argomento di estremo interesse legato alla realtà mongola è quello dello sciamanismo, un rituale sacro tornato a essere diffuso e popolare dopo decenni di repressione sovietica. Tanto, anzi troppo, si è scritto sugli sciamani e non è facile individuare testi seri e divulgativi nello stesso tempo. Imperdibile lo straordinario classico “Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi” del geniale romeno Mircea Eliade. Nel 2009 Utet ha riproposto il prezioso “Testi dello Sciamanesimo siberiano e centro-asiatico” a cura di Ugo Marazzi. Per provare a fare qualche rito “in casa”, si può tentare con “I cavalli nel vento” (2000) della sciamana acquisita Sarangerel che con competenza e un pizzico di provocazione descrive i metodi di guarigione e divinazione secondo le tecniche degli sciamani mongoli. Fra le varie pubblicazioni dell’autore di questa guida, Federico Pistone, “Uomini renna”, intimo racconto di un’avventura etnica. Per la bibliografia completa sui libri dedicati alla Mongolia rimandiamo alla relativa sezione LIBRI.
Subito un avvertimento: evitate di acquistare articoli d’arte, antichità, statuette, uova di dinosauri e altre rarità. Nella migliore delle ipotesi sono falsi, spesso comprati a badilate in Cina a prezzi irrisori e spacciati per reperti preziosi nei mercati, per strada e soprattutto nei paraggi delle mete più frequentate dai turisti. Ma se questi oggetti sono autentici il rischio è un altro e ben più serio: all’aeroporto sarete implacabilmente intercettati dalla polizia, invitati ad aprire il bagaglio, estrarre tutti gli acquisti sospetti e abbandonarli in dogana, o affidarli a qualche amico mongolo che verrà a ritirare in seguito il “bottino”. Con pazienza e fermezza, gli agenti vi spiegheranno che certi oggetti non si possono esportare perché fanno parte del patrimonio artistico della Mongolia. L’unica possibilità di non abbandonarli è quella di chiedere preventivamente un’autorizzazione ufficiale alla Sovrintendenza dei beni culturali ma la procedura è complessa ed è consigliabile sia effettuata da cittadini mongoli su vostro incarico. Ogni oggetto sarà accompagnato da una scheda con fotografia per un prezzo dai 5 ai 10 dollari ciascuno. Alcuni negozi autorizzati (e cari) della capitale vi consegnano insieme all’acquisto una certificazione che dovrebbe, il condizionale è opportuno, consentirvi l’esportazione senza problemi. Vietatissimo l’acquisto di armi, di ossa e uova di dinosauro e anche di resti di animali (tipo corna di gazzella eccetera) che si possono trovare nel deserto del Gobi. Difficile resistere alla tentazione di portare a casa un pezzettino di Mongolia, oltre ai ricordi e alle immagini. Nella capitale si moltiplicano i negozi riservati ai turisti, con tutto quello che il Paese può offrire: dall’abbigliamento tradizionale al cashmere, dagli oggetti di artigianato ai gioielli d’argento e corallo, dai cd ai libri, dagli scacchi intarsiati in legno ai tappeti, dai francobolli alle monete antiche, dai dipinti alle statuette, dalle bambole in feltro agli strumenti musicali, dal materiale religioso alle bottigliette in pietra per il tabacco… Una scelta immane, con qualche avvertenza. 1) Fuori da Ulaanbaatar è difficile trovare oggetti da acquistare se non direttamente realizzati dai nomadi che incontrerete o in fabbriche specializzate, quindi vi conviene concentrare lo shopping nella capitale 2) Al mercato dello Zakh alle porte di Ub si trova un’esagerazione di oggetti d’uso comune a prezzi irrisori, ma esiste un settore occupato da venditori di reperti straordinari, non necessariamente autentici: lì potete trattare sul prezzo ma senza esagerare. I mongoli non sono arabi. E attenzione: questi oggetti sono ad altro rischio intercettazione alla dogana e le eventuali ricevute che vi lasceranno i rivenditori non valgono nulla 3) Al quarto piano dello State Department Store, in fase di ristrutturazione, troverete un compendio di tutto quello che potete comprare in Mongolia. I prezzi sono medio-alti (e non trattabili), ma c’è il vantaggio che in un sol colpo potete fare una spesa unica e definitiva 4) Per la strada incontrerete venditori ambulanti che vi proporranno molte delle cose che avete già visto nei negozi, ma a prezzi molto più bassi e trattabili. A volte è merce rubata, ma non siate troppo severi perché questa gente ha davvero bisogno di denaro per sopravvivere. Soprattutto quelli che propongono gli immancabili acquarelli, alcuni veramente splendidi, e di cui si assegnano la paternità (qualche volta è vero). Se comprate l’intera cartella dei disegni potrete spuntare un forfait di realizzo, farete felice il venditore e avrete una trentina di regali originalissimi da portare agli amici 5) Se volete acquistare del cashmere, potete farlo nei negozi del centro (un po’ più cari) oppure direttamente alla fabbrica Gobi appena fuori da Ub o alla neonata concorrente Goyo, poco lontano. La qualità è ottima, i prezzi sono nettamente inferiori rispetto ai nostri. Si possono scegliere maglioni, polo, calze, cappellini, sciarpe ma non sempre i gusti degli stilisti mongoli incontrano i nostri. Più interessante acquistare una coperta, singola o matrimoniale: sono meravigliose, soprattutto quelle dalle tinte uniformi e naturali. Attenzione però ai tessuti tagliati con una percentuale di lana normale. Sull’etichetta c’è sempre scritto 100% cashmere made in Mongolia ma qualche volta il vero cashmere arriva all’80-90%. Ci sono due modi per sapere distinguere il cashmere 100% da quello ibrido (che resta comunque di pregevolissima fattura): dal tatto (toccate le varie coperte e riconoscerete da soli quelle più morbide) e dal prezzo. Per una matrimoniale al 100% cashmere si parte da circa 500 dollari. Un’altra idea più economica (da 80 dollari), ma altrettanto suggestiva e confortevole, è quella di una coperta di cammello. NEGOZI, BANCHE E UFFICI PUBBLICI Nella capitale e nelle principali città mongole è cresciuta a dismisura la presenza di negozi, locali, istituti di credito, uffici postali e altri sportelli utili. Fuori dai centri urbani non c’è traccia di questi punti di riferimento.
Che cosa immortalare? Basta fare clic e avrete un capolavoro. Sì, la Mongolia è un paese estremamente fotogenico: i paesaggi sconfinati di steppa, deserto, foresta e montagna, le luci sontuose, gli animali selvatici che vi passano davanti all’obiettivo, ma soprattutto i nomadi sempre sorridenti e disponibili, con i vestiti tradizionali, durante il pascolo o la mungitura, a cavallo, nelle tradizionali gher; o i monasteri, i templi, i monaci in preghiera, le feste religiose, gli sciamani, il Naadam. Una galleria talmente ricca e suggestiva che sarebbe un peccato lasciarsela sfuggire. L’autorevole rivista American Photo sul numero di Giugno 2008 indica i dieci luoghi da fotografare più belli del mondo e, naturalmente, c’è la Mongolia insieme a Roma, Sicilia, Toscana, le isole greche, l’Alaska, le Smoky Mountains, la Sierra Nevada, lo Zambia e le Galapagos. Ma come affrontare la Mongolia e i mongoli dietro una macchina fotografica o una videocamera? Con molta naturalezza, con un sorriso, con discrezione: i nomadi della campagna saranno contenti di farsi ritrarre ma è sempre meglio chiedere l’autorizzazione, anche solo con un cenno. La risposta sarà quasi sempre sì, a meno che il soggetto sia particolarmente timido e allora preferirà evitare l’impatto con l’obiettivo. In quel caso, è opportuno non insistere. Un’avvertenza: in alcuni templi (ad esempio nel monastero di Gandan) l’ingresso costa di più se intendete fare fotografie o riprese. Non fate i furbi rubando immagini di straforo: quei pochi soldi servono effettivamente per preservare il patrimonio storico e religioso. Che apparecchiatura utilizzare? Ovviamente quella che si ha, dalla compattina alla reflex più evoluta, dalla handycam alla telecamera professionale. In ogni caso tornerete con le immagini più belle del vostro repertorio. Il problema che si pone per tutti è quello dell’elettronica. Come ricaricare le pile? Facile, attaccando il caricatore alla corrente elettrica. Unico dettaglio: la corrente c’è solo nella capitale, nelle città principali e in qualche villaggio. Raramente si incontrano dei generatori nelle gher, alimentate da pannelli solari. Il vantaggio è che le prese sono come le nostre (ma solo a due buchi), non servono adattatori. Bisogna quindi sfruttare tutte le occasioni, soprattutto quando siete a Ulaanbaatar, e possibilmente disporre di un buon ricambio di batterie. Potrebbe venire utile un polarizzatore, vista la luce molto intensa che irradia i paesaggi mongoli. Per i più precisi, sarà prezioso un cavalletto o uno stativo soprattutto se disponete di un teleobiettivo e avete intenzione di riprendere animali in velocità, come cavalli selvatici, gazzelle, uccelli o, se siete fortunati il leopardo delle nevi o l’orso del gobi, se non addirittura l’almas (lo yeti mongolo), avvistato ripetutamente tra le montagne dell’Altai. Da non sottovalutare il clima: nel Gobi si passa dal frigorifero di meno 50 gradi al forno di più 50, secondo la stagione. Da ottobre a marzo preparatevi a proteggere dal gelo l’apparecchiatura. Un’altra minaccia che vale tutte le stagioni è la polvere: quando vi spostate in fuoristrada entrerà dappertutto e non c’è bisogno di attraversare il deserto. Assicurate macchine fotografiche e videocamere in appositi involucri, altrimenti rischiate di raccontare a voce i vostri ricordi o di perdervi i meravigliosi colori della Mongolia.   Un arcobaleno di simboli Anche i colori assumono da sempre un significato evocativo per i mongoli, creando una tavolozza cromatica di intrecci simbolici dalle mille sfumature. Questi i colori principali. Bianco: colore fondamentale per i nomadi delle steppe. Simbolizza la nascita (il capodanno viene chiamato Tsagaan Sar, il mese bianco), la purezza, la sincerità, la gentilezza, la sacralità. Agli sciamani vengono offerti doni “bianchi”, dagli indumenti al cibo (latte e derivati) Nero: è l’antitesi del bianco. Significa morte, sfortuna, povertà, solitudine. Blu: insieme al bianco, è da sempre l’altro colore chiave della simbologia mongola. Rappresenta il cielo, il sacro Tengher già invocato da Gengis Khan. I mongoli amano chiamarsi “il popolo blu” e gli khadag, le sciarpe buddhiste e sciamaniche che vengono posizionate sui portoni o sugli altari sono soprattutto di colore azzurro. Rosso: è il colore della forza, della superiorità sul nemico ma anche della gioia, della felicità e dell’ospitalità. Nella tradizione, le giovani donne si legano i capelli con fiocchi rossi che simboleggiano l’innocenza. Gli utensili vengono solitamente pitturati di rosso o arancione, così come i mobili, le porte e gli ornamenti. Attenzione però a non usare penne all’inchiostro rosso: rappresentano una minaccia per chi legge. Giallo: colore importante e istituzionale perché viene associato alla preziosità dell’oro. I documenti governativi rilevanti vengono vergati su carta o su seta gialle. Lo stesso colore del Soyombo, il simbolo della Mongolia che campeggia sulla bandiera rossa e blu, è di colore giallo-oro.